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Il centrodestra ha bocciato il certificato europeo di filiazione

Dopo la sospensione della registrazione dei figli di coppie omogenitoriali a Milano, ieri la commissione Politiche europee del Senato ha respinto la proposta europea che punta a garantire, ai genitori residenti nell'Unione, il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli in tutti gli Stati membri

Foto di Stefano Montesi Corbis/Getty Images

Dopo la sospensione della registrazione dei figli di coppie omogenitoriali a Milano, ieri la commissione Politiche europee del Senato ha bocciato l’adozione di un certificato europeo di filiazione, un documento unico in grado di provare la filiazione dei minori e garantire ai genitori residenti in Unione europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli in tutti gli Stati membri.

Il voto della commissione non ha valore legislativo, dato che la proposta di regolamento europeo è ancora in discussione e dovrà essere votata in futuro dal Consiglio europeo; eppure, si tratta di uno sviluppo significativo: il centrodestra ha ribadito la sua posizione di contrarietà alla possibilità di allargare il ventaglio delle tutele concesse alle famiglie composte da persone dello stesso sesso.

La proposta della Commissione è interamente finalizzata a questo scopo: permetterebbe alle coppie che hanno avuto figli al di fuori del proprio territorio nazionale di essere riconosciute come genitori in qualsiasi stato dell’Unione. Un progresso che semplificherebbe la vita di tutte le famiglie (anche quelle eterosessuali) che hanno fatto ricorso alla gestazione per altri – una forma di procreazione assistita nella quale una donna (detta gestante) porta a termina la gravidanza per conto di una coppia o un singolo genitore intenzionale.

In Italia, attualmente, la gestazione per altri è una pratica vietata: chi vuole avere un figlio ricorrendo a questa procedura deve farlo all’estero. I giudici italiani sono stati chiamati più volte a decidere se il reato può essere esteso anche a questi casi. Ma la giurisprudenza ha stabilito, per diversi motivi, che la pena non si applica ai genitori che vanno all’estero: per il principio di reciprocità, per cui non si può condannare un fatto commesso all’estero se in quello stato è legittimo, e perché secondo l’articolo 9 del codice penale se la pena minima prevista per il reato è inferiore a tre anni è il ministero della Giustizia a dover autorizzare il procedimento.

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