Jakub Jankto ha scoperchiato un vaso di Pandora rimasto sigillato per troppi anni: il coming out dell’ex calciatore dell’Udinese ha scosso le fondamenta di un mondo apertamente maschile e maschilista come quello del calcio, in cui palesare il proprio orientamento sessuale continua a rappresentare un segnale di debolezza.
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«Ciao, sono Jakub Jankto – dice nel video pubblicato su Instagram il calciatore ceco – come tutti gli altri, ho i miei punti di forza, i miei punti deboli, una famiglia, i miei amici, un lavoro che svolgo al meglio da anni, con serietà, professionalità e passione. Come tutti gli altri, voglio anche vivere la mia vita in libertà. Senza paure. Senza pregiudizio. Senza violenza. Ma con amore. Sono gay e non voglio più nascondermi».
Il gesto è stato salutato dalla quasi totalità della stampa italiana come una di prova di coraggio e celebrato da titoli altisonanti che hanno sottolineato l’importanza della decisione del calciatore.
In principio fu Carlo Carcano, che nel 1934, in un clima di aperta ostilità in cui gli omosessuali venivano etichettati variamente come invertiti, sodomiti, pederasti o uranisti, balzò agli onori delle cronache per la sua estromissione dalla panchina della Juventus, dovuta a uno “scandalo gay” che lo avrebbe visto legato all’attaccante della Nazionale Placido Borel. Le sue presunte frequentazioni indussero la società a optare per la damnatio memoriae: per un decennio abbondante, Carcano fu relegato all’estrema periferia del calcio italiano. Alfio Caruso, un giornalista catanese, ha ben delineato i contorni della vicenda nel suo libro Un secolo azzurro.
Scrive Caruso: «L’omosessualità di Carcano era diventata un problema. Un suo calciatore raccontava sorridente nei ritrovi torinesi: mai abbassarsi i pantaloni davanti a lui. A far esplodere il caso la denuncia di alcuni dirigenti bianconeri: accuse di pederastia a Carcano, Mario Varglien, Monti e a un paio di consiglieri. Hanno sostenuto che attentavano alla virtù di Borel. Nella realtà pare che proprio gl’indignati difensori della morale ambissero alle grazie di Felicino. Agnelli jr. ha avuto la forza di evitare lo scandalo, il regime ha però preteso che venisse cancellata l’onta».
Sono trascorsi quasi novant’anni dal caso Carcano, eppure quel clima surreale da caccia alle streghe sembra continuare a resistere a ogni mutamento intervenuto nella società: nel microcosmo del pallone i coming out si contano sulla punta delle dita, e quando vengono palesati continuano a fare notizia.
A confermare che lo spirito dei tempi è rimasto immutato sono gli stessi addetti ai lavori: nel 2021, l’ex-nazionale tedesco Philipp Lahm ha dichiarato che, se un collega gli avesse chiesto se fosse il caso di fare coming out, gli avrebbe sconsigliato di farlo: «Non potrebbe contare sulla stessa maturità nei suoi avversari o sui campi, dovrebbe sopportare insulti e diffamazioni. Ancora manca la capacità di accettare, nel mondo del calcio e nella società in generale». Dello stesso avviso anche Patrice Evra, ex giocatore della Juventus: «Se da calciatore dici che sei gay, sei morto» – ha detto in un’intervista concessa a Le Parisien lo scorso anno. «Ricordo che una volta venne una persona a parlare di omosessualità alla squadra: certi colleghi dissero che l’omosessualità era contro la loro religione, e che se c’era un gay in spogliatoio bisognava cacciarlo dal club”»
Le loro parole sono la dimostrazione che l’omertà e la chiusura non sono una caratteristica tipica del contesto italiano: nel maggio dello scorso anno Jake Daniels, attaccante classe 2005 del Blackpool (un club della championship inglese) ha dichiarato pubblicamente la propria omosessualità a più di trent’anni dall’ultimo precedente – l’ultimo era stato Justin Soni Fashanu, nel 1990.
Jankto potrebbe aver rotto un soffitto di cristallo, ma la strada è ancora lunghissima: il miglior auspicio possibile è che, nel giro di qualche anno, l’omosessualità nel calcio non faccia più notizia.