Tra poco più di un anno la città di Parigi ospiterà la trentatreesima edizione dei Giochi Olimpici, un evento sportivo che ogni quattro anni raduna i migliori atleti di tutto il mondo, specializzati in decine di discipline differenti. Manifestazioni così grandi necessitano di un’enorme preparazione, che comincia già molto tempo prima della data d’inizio ufficiale. E se da una parte tecnici e organizzatori sono già a lavoro per garantire che tutto sia pronto nei limiti di tempo stabiliti, dall’altra qualcun altro si sta muovendo per mandare all’aria scadenze e scalette.
“Saccage 2024”, che sta per “Distruzione 2024”, è un collettivo nato nel 2020 con lo scopo di boicottare le prossime Olimpiadi. «Ci opponiamo alla distruzione ecologica e sociale causata dai Giochi Olimpici di Parigi nel 2024. Noi, abitanti di Seine-Saint-Denis e dei suoi dintorni, insieme alle associazioni, ci siamo uniti per difendere gli spazi che viviamo, dove ci incontriamo, costruiamo relazioni, ci aiutiamo a vicenda e ci divertiamo», si legge sul sito del movimento.
In che senso distruzione ecologica e sociale? Riguardo al primo punto, il gruppo sostiene che i cantieri messi in piedi per i Giochi, nonostante abbiano cominciato a funzionare praticamente da subito – non li ha fermati neppure l’emergenza sanitaria – nel tempo abbiano in realtà accumulato un forte ritardo. E ora, messi alle strette dal conto alla rovescia, stiano cercando di recuperare a discapito di condizioni di lavoro dignitose e ambiente. Con il risultato che «l’aria nei quartieri è irrespirabile per via delle continue colate di cemento, gli spazi pubblici e i parchi dove vivono numerose specie protette sono sempre più ridotti». E altro ancora.
Non solo. Il gruppo è convinto che oltre all’impatto ecologico negativo, la messa in piedi di manifestazioni di questo tipo abbia numerose ripercussioni sociali, tra cui «speculazioni immobiliari, eccesso di controllo e polizia», oltre a portare vantaggi solo alle grandi imprese e all’élite. Mentre, a chi in quelle zone ci vive, tocca poi raccogliere i cocci. In generale, come ha spiegato Jules Boykoff, politologo dell’Università dell’Oregon, non è la prima volta che gli attivisti approfittano di grandi eventi per promuovere le proprie cause, visto che «mentre per le Olimpiadi i soldi ci sono, i bisogni primari dei cittadini come l’alloggio, l’istruzione, l’assistenza sanitaria e le pensioni restano a bocca asciutta».
Ma c’è un punto, in particolare, su cui la propaganda del ‘Saccage 2024’ martella fin dalla nascita: la condanna della logica del volontariato con cui nelle grandi manifestazioni si recluta manodopera, un’opportunità fatta passare come unica (che altrimenti non si avrebbe) per partecipare in maniera più diretta all’evento di turno. «Il volontariato dovrebbe esistere solo se si tratta di eventi benefici, e non è il caso dei Giochi Olimpici», dicono.
Una catena di sfruttamento che il movimento ha dichiarato di voler interrompere dal di dentro, provando ad infiltrare tra i volontari – per le Olimpiadi ne servono 45mila – alcuni dei suoi membri. A patto che questi superino le selezioni. Se dovessero riuscire nell’intento, il piano procederebbe in questo modo: alcuni ‘falsi’ volontari proverebbero a ritirarsi dal ruolo un momento prima dell’inizio dei Giochi, mentre altri compirebbero delle azioni proprio durante l’evento sportivo, per tentare di interromperlo.
Allarmati, per testare la “buona fede” delle “reclute” gli organizzatori delle Olimpiadi si sono detti pronti ad analizzare da cima a fondo ogni singola candidatura. Scavando, se necessario – come se non bastasse – anche nel passato dell’individuo.
In realtà negli anni di polemiche sullo sfruttamento della figura del ‘volontario’ ce ne sono state parecchie, tra fiere, festival ed eventi. Quelli scelti per l’Eurovision 2022, tenutosi a Torino, oltre a dover lavorare a tutti gli effetti e senza alcuna remunerazione, si sono visti recapitato un messaggio con su scritto «vi ricordiamo che non avrete la possibilità della consumazione a buffet. Potete uscire a fare una pausa dalla lounge solo se vi siete portati da mangiare e/o bere». Una situazione denunciata da USB (Unione Sindacale di Base), per cui si è trattato dell’ennesimo «grande evento volto a portare avanti un modello di città vetrina, svenduta agli interessi privati e basata sullo sfruttamento e la speculazione», in un periodo in cui la disoccupazione giovanile a Torino ha toccato il 20% e la metà dei lavoratori è stata a rischio povertà per i salari troppo bassi e l’aumento generalizzato dei prezzi.
Tutto questo è lecito?
La risposta è nel Decreto Legislativo “Codice del Terzo settore” del 2017, una normativa entrata in vigore per modificare la legge 266/91, quella cioè di riferimento in materia di volontariato. Secondo la nuova direttiva, il volontario può essere impiegato da tutti gli enti del terzo settore, e non più solo dalle organizzazioni di volontariato e cooperative sociali. Così finisce che centinaia di persone diventano le colonne portanti di grandi eventi sportivi, e che svolgano mansioni che per qualità e quantità invece dovrebbero essere retribuite (e quindi occupate da un lavoratore contrattualizzato). Accade pure nei musei, per la cui gestione del servizio spesso l’ente pubblico si affida al privato – che a sua volta può rivolgersi a enti non profit. Così decine di volontari, anziché affiancati e a supporto del lavoratore, come prevede la legge, sostituiscano fisicamente il dipendente: un gran risparmio per il ministero dei Beni Culturali ma un’enorme fregatura per chi sta dall’altra parte.
A questo punto, il problema di fondo è abbastanza chiaro. Non è la legge né le successive modifiche, o almeno non solo. È, piuttosto, la normalizzazione del lavoro gratuito, una pratica ampiamente accettata e radicata anche tra i palazzi del Governo, nonostante l’Istat dica che in Italia vivano in povertà assoluta 2 milioni di famiglie (7,5% del totale, dati 2021) e 5,6 milioni di individui (9,4%), e che il tasso di disoccupazioni giovanile si aggiri attorno al 23%. Non è tutta colpa del lavoro che manca, perché «se è possibile fare volontariato significa che quei posti di lavoro esistono» ma «non si è disposti a retribuirli».