Consoliamoci col poco che abbiamo a disposizione: in un periodo di estrema compressione della politica e degli ideali come quello che abbiamo la ventura di vivere, Marco Cappato è forse la nostra ultima spiaggia.
Con un governo in carica da due mesi scarsi ma che, a ben guardare, ha già scelto di rituffarsi a capofitto in campagna elettorale per cavalcare finte emergenze vecchie (l’infame lotta senza frontiere alle navi umanitarie combattuta al di fuori del diritto, il prevedibile revival della retorica dei “taxi del mare” di dimaiana memoria, l’enfasi discorsiva su un’immaginaria “invasione” smentita da ogni numero e dato di realtà) e nuove (l’emersione nel dibattito pubblico di un incomprensibile “decreto anti–rave”, in un contesto in cui le morti direttamente imputabili ai free party nell’ultimo anno in Italia equivale a quello di una mezz’ora di escursione all’interno della gloriosa famiglia tradizionale: uno), abbiamo disperatamente bisogno di una voce che possa riportarci a stretto contatto con l’essenziale, sobbarcandosi l’onere di riportare al centro del dibattito pubblico i tanto vituperati “temi etici”, troppo scomodi, complessi e poco funzionali alla propaganda per trovare il proprio spazio all’interno dell’agenda politica.
E, quando l’opposizione all’interno dell’emiciclo fa acqua da tutte le parti, la politica extra–parlamentare fa tutta la differenza del mondo: da questo punto di vista, l’ennesimo atto di disobbedienza civile compiuto da Cappato per scoperchiare il vaso di Pandora dei diritti negati e riportare in auge il tema del suicidio assistito, be’, merita tutta l’attenzione possibile.
I fatti: oggi la procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che sabato scorso si era autodenunciato per aver accompagnato in una clinica svizzera Romano, un uomo di 82 anni malato di Parkinson che voleva accedere al suicidio assistito ma che non ne aveva diritto in Italia.
Ancora un viaggio di fine vita in Svizzera per una persona gravemente malata che, in base alla legge italiana, non ha il diritto di terminare la sua esistenza col suicidio assistito. Questa volta Marco Cappato ha accompagnato Romano, un 82enne affetto da Parkinson pic.twitter.com/j03S6MCUZt
— Tg3 (@Tg3web) November 25, 2022
Nel nostro Paese, infatti, non è stata mai approvata una legge idonea a disciplinare questa procedura: l’unico appiglio su cui i richiedenti possono contare è rappresentato dalla sentenza 242 del 2019 pronunciata dalla Corte Costituzionale (la cosiddetta “Sentenza Cappato”): con questa decisione, infatti, la Consulta ha stabilito che non è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale (norma che si occupa di assistenza e istigazione al suicidio e che, di fatto, le equipara) «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente».
Tuttavia, Romano era sprovvisto di uno dei requisiti fondamentali che la Consulta richiede di integrare per poter attivare la procedura, ossia l’essere mantenuto in vita da «trattamenti di sostegno vitale»: di conseguenza, in questo caso, Cappato ha agito al di fuori del tracciato stabilito dalla Corte, tornando a intersecare il terreno della disobbedienza civile – era già accaduto quest’estate, quando aveva accompagnato in Svizzera Elena, una donna veneta di 69 anni affetta da una patologia polmonare irreversibile, per consentirle di accedere al suicidio assistito. Per quel caso Cappato non ha ancora ricevuto notizie dalla Procura: né l’avviso di chiusura delle indagini, né un’eventuale richiesta di archiviazione.
La trappola del requisito del sostegno vitale.
Oggi si può accedere al suicidio assistito in Italia soltanto rispettando i 4 requisiti della sentenza 242. Uno di questi è il sostengo vitale che Romano non aveva. pic.twitter.com/p6ZLivkYQN
— Filomena Gallo (@Filomena_Gallo) November 26, 2022
L’associazione Soccorso Civile ha già fatto sapere che, a dicembre, Cappato accompagnerà in Svizzera un uomo per consentirgli di avere accesso al suicidio assistito e, di conseguenza, porre fine a una violenza di Stato in piena regola. Se il parlamento approvasse per tempo una legge che possa confermare quanto espresso dalla sentenza della Corte e, anzi, ampliarne il contenuto, eliminando il requisito dei «trattamenti di sostegno vitale», risparmierebbe al tesoriere dell’Associazione Coscioni l’ennesima autodenuncia. Sappiamo già che non accadrà, per cui: in mezzo a tutto il rumore di fondo che prova a confonderci, sosteniamo la sua lotta come possiamo, disobbediamo e teniamoci stretto il diritto di scegliere come vivere e come morire.