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Dobbiamo parlare dell’ossessione degli italiani per le mascherine

Fatte di carta da forno o con coppe di reggiseno: da quando è iniziata la crisi del coronavirus la mascherina è diventata il bene rifugio definitivo per gli italiani

MLADEN ANTONOV/AFP via Getty Images

Nell’ultimo mese fra i dibattiti diagonali innescati dall’emergenza coronavirus ce n’è stato uno che ha subito continue trasformazioni, diventando fonte di grande confusione, e generando non pochi problemi. Quello sulle mascherine.

Quelle certificate sono diventate, fin dall’individuazione del focolaio in Lombardia, di difficile reperibilità, perché migliaia di persone si sono riversate in farmacia ad acquistarle. E in questo momento in diverse regioni i sistemi sanitari stessi hanno seri problemi nel fornire a medici, infermieri e oss l’adeguato rifornimento. Non stiamo parlando soltanto delle mascherine FFP2 ed FFP3, ma anche di quelle chirurgiche usa e getta.

Questa pazza corsa ad accaparrarsi i “presidi” di protezione è stata dovuta sia all’isteria di massa, sia ad una serie di messaggi contrastanti da parte di istituzioni e specialisti. Fin dalla quarantena di Codogno l’SSN ha comunicato che la mascherina era utile soltanto per coloro che sospettavano di aver contratto il virus, o che dovevano prendersi cura (quindi stare a stretto contatto) con persone che lo avessero contratto.

Anche giovedì scorso, durante l’abituale conferenza quotidiana della Protezione Civile, il presidente della Società Italiana Pediatria, Alberto Villani, ha espresso un appello: “la preghiera che viene fatta alla popolazione è di usare i presidi quando realmente necessari: perché vanno riservati ai medici e agli infermieri, e siete ben a conoscenza di tutte le difficoltà che ci sono nel reperimento. Non c’è motivo di usare la mascherina quando non serve: né io né il commissario la indossiamo perché siamo a un metro e mezzo di distanza.”

Un messaggio chiaro, con una causa chiara. Eppure pochi minuti dopo Angelo Borrelli, capo della Protezione Civile, ha risposto così ad una domanda sull’utilizzo, da parte della popolazione, di mascherine non certificate: “Sono utilizzate da tutte le altre persone che vogliono in qualche modo evitare la diffusione del contagio, ma in quel caso vanno sempre rispettate una distanza e regole di prudenza. È un qualcosa di più, rispetto a non portare nulla. Sicuramente sono utili.”

Attualmente, come sempre dall’inizio dell’emergenza, nel decalogo dei comportamenti da adottare pubblicato sul sito della Regione Lombardia, l’utilizzo della mascherine è sconsigliato a chi non ha sintomi. “L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di indossare una mascherina solo se sospetti di aver contratto il nuovo coronavirus, e presenti sintomi quali tosse o starnuti, o se ti prendi cura di una persona con sospetta infezione da nuovo coronavirus.” Al tempo stesso, però, attraverso un tweet dello scorso 7 marzo, la stessa Regione invitava i cittadini ad utilizzare le mascherine.

In questa altalenante profusione di informazioni discordanti, molti cittadini si sono fatti prendere dalla smania, e hanno iniziato a fabbricare mascherine fatte in casa. Un vero e proprio filone parallelo di dibattito, che ha raggiunto picchi incredibili. 

Si è partiti con delle normali maschere di stoffa, visto che è il materiale più semplice da reperire. Sono state fatte con ritagli di tovaglie, asciugamani, jeans vecchi, e lenzuola. Una sartoria calabrese – di cui comunque vanno lodate le buone intenzioni – ne ha confezionate migliaia gratuitamente, per distribuire alla popolazione.

Poi si è passati alla carta da forno. Durante la trasmissione Stasera Italia, infatti, la conduttrice ha spiegato—dietro consiglio dell’oncologo Francesco Garbagnati—come fabbricare in casa una protezione piegando un foglio di carta da forno, applicando degli elastici con una spillatrice.

E ancora: durante un’operazione di sequestro in alcuni negozi di casalinghi nel foggiano, i carabinieri hanno trovato decine e decine di mascherine fai-da-te realizzate con coppe di reggiseno, o con filtri dei piani cottura. La lista è praticamente infinita: pannolini per neonati, tappetini igienici per cani, garze sterili. Per fabbricare delle mascherine protettive in Italia è stato utilizzato qualsiasi strumento. 

Il problema, come molti medici stanno evidenziando, è che questa comunicazione eterogenea sta creando diversi fraintendimenti nella popolazione sull’utilità di queste mascherine. Come spiega il direttore dell’Unità Operativa di Malattie Infettive degli Ospedali Riuniti di Ancona, Marcello Tavio, le mascherine fai-da-te più che un rudimentale metodo per proteggersi come si può, sono un palliativo all’ansia.

Molti non hanno ancora compreso che indossare la mascherina serve più che altro a ridurre le possibilità di contagiare gli altri se si è malati. Le protezioni che ci consentono di non venire contagiati, invece, sono altre — hanno particolari sistemi di filtrazione certificati — e sono praticamente irreperibili al momento in commercio (e nel caso in cui lo fossero non dovreste comprarle, perché servono negli ospedali).

Ma c’è di più: le mascherine fai da te sono piuttosto inutili anche per ridurre la possibilità di contagiare gli altri. Essendo fatte a mano, non hanno sistemi di aderenza al volto, e quindi l’aria passa all’esterno della protezione da tutte le aperture laterali. Sono pressoché inutili, insomma. Come sottolineato da molti, invece, potrebbero avere degli indiretti effetti dannosi: spingere le persone a doversi toccare spesso il volto per rimetterle a posto, visto che sono approssimative (contravvenendo ad una delle più importanti indicazioni igieniche da seguire) e dare fin troppa sicurezza ai cittadini. Bisogna tenere presente che con un pezzo di carta da forno non si ha alcuna protezione dal coronavirus, e quindi non esiste alcuna reale motivazione per cui ci si dovrebbe sentire più tranquilli ad uscire di casa.

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