“A me prudono le mani”. Pare lo abbia detto davvero il ministro dell’Interno Salvini, che nel corso di una conferenza stampa ha presentato il nuovo ddl leghista che mira ad aumentare le pene per i reati connessi alla droga. Salvini – che oggi, per non farsi mancare nulla, ha citato il “noto immobiliarista” Ezra Pound sui suoi profili social –, ha più volte fatto riferimento durante il suo intervento all’episodio di Porto Recanati, in cui una coppia di persone ha perso la vita nel corso di un incidente stradale con un 34enne. L’uomo era stato coinvolto in passato in un’operazione antidroga con un maxisequestro di 225 chili di sostanze. “E sto stronzo era a spasso. Non è possibile”, ha detto Salvini.
Il provvedimento – che arriva in un momento particolare del dibattito sul tema –, per quello che ci è dato sapere finora, prevede che si passi da un minimo di 3 a un massimo di 6 anni di carcere per chi è “beccato a spacciare”, tramite modifiche al codice di procedura penale e al testo unico delle leggi in materia di stupefacenti. Nel testo aumentano anche le multe, da un minimo di cinquemila euro a un massimo di 30mila, mentre per chi guida sotto effetto di stupefacenti è prevista la confisca obbligatoria del veicolo e la revoca della patente. In pratica, ha riassunto Salvini, “abbiamo azzerato la modica quantità”.
«Come spesso accade il ministro mente in maniera del tutto strumentale», esordisce Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale. «Da quello che si legge il provvedimento non va a toccare la modica quantità, che è un concetto che riguarda i consumatori ed è pensato proprio per distinguere chi vende da chi fa uso di droghe». Il ddl mirerebbe invece ad eliminare la lieve entità, «cioè la diminuzione di pena che con la legislazione attuale è prevista in caso uno sia trovato in possesso di una quantità ridotta di sostanza, ma al fine di spaccio. Qualunque avvocato, magistrato o altro operatore del settore non può non sapere che le due nozioni sono molto diverse tra loro».
Eppure la giurisprudenza indica che le cose sono più complicate di così, e che nessuno può stare del tutto tranquillo. «Oggi se un ragazzo viene fermato con tre o quattro canne in tasca, può anche trovare un giudice che sostiene che non si tratti di consumo personale: succede abitualmente che ci siano interpretazioni di questo tipo. In questi casi, finora, c’era almeno la minima “salvezza” garantita dalla lieve entità, che vuole dire pene minori e la possibilità di usufruire dei benefici, di fatto non finire in galera», spiega Gonnella. Nel mondo ideale di Salvini e soci, invece, «tutti devono essere puniti allo stesso modo, chi vende e compra marijuana fuori dal liceo deve essere trattato come uno spacciatore: è la solita visione repressiva, in cui un problema sociale che riguarda decine di migliaia di persone è affrontato solo attraverso etica, ideologia».
Perché non solo il consumo, ma anche la vendita – se si includono le piccole “negoziazioni” tra consumatori e si prendono in considerazioni anche le droghe leggere – di sostanze è un fenomeno di massa a tutti gli effetti. «In dieci minuti in giro per Roma in zona università questa mattina ho visto 10 ragazzi tra i 16 e i 25 anni che fumavano cannabis. Quanti di loro avevano più di una canna addosso? Che vogliamo fare di loro, mandarli tutti in galera?». Dove poi incontrerebbero «il tossico, il criminale, la persona senza scrupoli. Se l’obiettivo è trasformare il carcere in una fabbrica sociale di dipendenti, siamo sulla buona strada».
Che la strada scelta dalla Lega sia quella sbagliata è confermato anche dai numeri: oggi più di un terzo dei detenuti è dentro per aver violato la legge sulle droghe, e più di un quinto ha problemi di dipendenza. «Quindi il problema è già “sovrarappresentato”, anche perché la legge che abbiamo è già proibizionista. Così rischieremmo solo di aumentare di decine di migliaia di persone la popolazione carceraria. Inoltre un detenuto costa tra i 120 e i 150 euro al giorno alla collettività, una persona in cura al Sert o in comunità tra i 10 e i 15».
Eppure noi decidiamo di (provare a) ritornare al passato. «L’obiettivo è una sorta di restaurazione della Fini-Giovanardi, bocciata dalla Corte Costituzionale cinque anni fa», dice Patrizio Gonnella. Questo mentre il mondo va in un’altra direzione, come dimostra il disconoscimento della War on Drugs da parte delle Nazioni Unite e la legalizzazione in Canada e quella imminente nello Stato di New York. Con riduzione dei danni alla salute e dei consumi – soprattutto tra i giovani, cui sono proibiti gli acquisti leciti –, e con minori soldi che finiscono alle mafie. «Qua si mette tutto sullo stesso piano, cannabis e eroina. Un messaggio devastante, sempre sulla base di spinte emotive e assecondando desideri di repressione. Spero che i 5 Stelle, che sulla loro piattaforma avevano già votato a favore della legalizzazione, questa volta non dormano».