Me lo ricordo come se fosse ieri, ma era l’agosto 2019 e io ero fuori a cena con due amiche che non vedevo da un po’ di tempo. In piena crisi di Governo, dato che non si parlava d’altro, domandai per chi avessero votato alle Politiche dell’anno precedente. «La Meloni», risposero entrambe. Col senno di poi credo che l’avrei potuto e dovuto subodorare, che non erano due ferme sostenitrici di ciò che resta della nostra sgangherata sinistra, ma lì per lì trasecolai. «La Meloni? Cioè, Giorgia Meloni?». Sì, certo, quella Giorgia Meloni. Non sono ancora arrivata al punto di scegliere le amicizie in base all’appartenenza politica – una delle persone a cui voglio più bene e di cui mi fido di più è tuttora un fervente berlusconiano – ma non mi levo il piacere d’indagare le motivazioni di simili gesti. Perché Giorgia Meloni? «Perché è una tipa coerente». «Perché è una donna che non ha mai preferito scorciatoie». «Perché è una con le palle». «Perché dice le cose come stanno». «Perché non ha paura di niente e di nessuno».
Non erano dunque tanto gli ideali portati avanti da Meloni e da Fratelli d’Italia, quanto Meloni stessa, ossia ciò che Giorgia Meloni rappresentava agli occhi delle mie amiche (e suppongo anche di parecchie persone che l’hanno votata): una donna, una temeraria, una cazzuta. Non devo di sicuro arrivare io a spiegarvi il gioco preferito da destra e populisti: di fronte a problemi complessi, urlare soluzioni semplici e dare in pasto al pubblico ludibrio una lista di capri espiatori, a loro parere responsabili di catastrofi di varia entità. I migranti! Il PD! Matteo Renzi! Le tasse! I banchi con le rotelle! I gay! Mia nonna in carriola! Of course, direbbe Louis C.K. (uno che, se si fosse permesso di aprire la patta di fronte a Giorgia Meloni, immagino sarebbe stato invitato immediatamente a richiuderla, e forse ci saremmo risparmiati scandali e ostracismi vari).
La mia parte bella, giusta e presentabile grida of course: un’esponente politica contraria al matrimonio omosessuale, all’eutanasia, all’aborto farmacologico, alla maternità surrogata, all’adozione per single e coppie gay non merita la mia stima e il mio appoggio. Of course: le sue sono posizioni tradizionaliste al limite del retrogrado. Of course: nonostante la sinistra italiana goda a infliggermi sofferenze e metta costantemente alla prova la mia pazienza, non voterò mai e poi mai a destra. Of course, of course.
Però, a un certo punto, la mia parte sconveniente sussurra but maybe: se sei la presidente donna del partito più machista, celodurista, testosteronico d’Italia, qualcosa in merito a furbizia, scaltrezza e forza d’animo potresti insegnarmelo. But maybe: se sei la presidente donna del partito più machista, celodurista, testosteronico d’Italia e hai pure trovato il tempo e la voglia di figliare, significa che conciliare carriera e maternità non è così impossibile. But maybe: se sei l’unica presidente donna alla guida di un partito politico in Italia, e quel partito è vicino all’estrema destra ultraconservatrice, non è che noialtre progressiste, riformiste ed emancipate stiamo sbagliando tutto?
Mentre Giorgia Meloni continua a mietere consensi (secondo i risultati della supermedia settimanale Agi/YouTrend, Fratelli d’Italia è salito al 18,5% insidiando i dem fermi al 19%, a fronte di una Lega in caduta libera al 21,8%), noialtre progressiste c’azzuffiamo su quote rosa disattese, sui fischi per strada, sugli uomini brutti e cattivi che regolarmente ci discriminano. Fateci caso: oltre a Giorgia Meloni, vi viene in mente il nome di un qualche altro Fratello d’Italia? Vuoto? Be’, grazie: è praticamente solo Giorgia a parlare, è praticamente solo Giorgia a cacciarci la faccia, il rumore di fondo è stato zittito.
Nella sua autobiografia Io sono Giorgia (pubblicata da Rizzoli), Meloni racconta di «quell’assurdo invito di Bertolaso a restare a casa con il biberon davanti al seggiolone» prima delle elezioni del 2016 a sindaco di Roma. La leader di FdI in quel periodo era incinta, e l’uscita infelice dell’allora capo della Protezione Civile la spinse a non mollare la presa manco d’un millimetro. «Inconsapevolmente Bertolaso era stato un grande motivatore. Non è stata l’ultima volta che ho fatto una cosa solo perché mi era stato detto che non potevo farla. (…) Se dicevano a me, una privilegiata, che dovevo farmi da parte perché aspettavo un bambino, che cosa avrebbero potuto fare a una giovane donna precaria in un call center, al momento della gravidanza?». La chiosa «Persi da candidata, ma vinsi da donna, da mamma» non è forse il lieto fine femminista che noialtre progressiste, riformiste ed emancipate vorremmo, eppure non riusciamo ad avere?
Penso alle progressiste, riformiste ed emancipate di mia conoscenza: chi lamenta di non riuscire a chiedere un permesso al capo (maschio) per andare dallo psicoterapeuta a causa del «persistente stigma sociale riguardo alla salute mentale». Chi trascina relazioni clandestine con uomini che la usano ma che quella s’ostina a non lasciare – e contemporaneamente posta su Instagram disegnini sull’importanza del femminismo intersezionale. Chi si vergogna a pretendere d’essere pagata una cifra equa per il suo lavoro e s’accontenta di pochi spicci. Chi paragona un commento provolone a una violenza sessuale. Chi si sconvolge perché al festival tal dei tali non ci sono abbastanza registe donne candidate per i propri standard personali. Chi fa tanto #womensupportingwomen, e poi spara a zero su chiunque le capiti a tiro.
Mi domando, insomma, se non ci stiamo perdendo in un bicchier d’acqua di definizioni, rivendicazioni, scaramucce e piccolezze che stringi stringi son pugnette, mica fatti, e che soprattutto lasciano libero il campo a Giorgia dalla Garbatella. Che non ci piace per nulla, of course; but maybe un pochino la ammiriamo, lei che senza eccessivo clamore, senza eccessive dolenze e senza eccessive recriminazioni siede dove noi – le giuste e le presentabili – vorremmo arrivare e invece niente. Giorgia Meloni è più femminista di noi? Forse, se per un attimo provassimo a scansare le fette di prosciutto e di pregiudizio che abbiamo sugli occhi, vedremmo che la leader di FdI è la dimostrazione lampante che l’uguaglianza politica, economica, personale e sociale dei sessi non è un’utopia. E dato che questo non glielo toglieremo – anziché continuare a percularla – io comincerei a chiederle un paio di consigli pratici: le idee sono quel che sono, ma il physique du rôle, accidenti a lei, qui lo scrivo e qui lo confermo, quanto glielo invidio.