Giù dalle montagne lungo i 6000 chilometri di piste da sci alpino che ci sono in Italia, e poi di nuovo su con i 1743 impianti di risalita. Con gli sci da discesa ai piedi, ci sentiamo davvero a contatto con l’ambiente. Ma il prezzo di quelle giornate di divertimento sulla neve lo paga, tutto, la natura. Le associazioni ambientaliste lo segnalano da tempo: l’utilizzo del suolo, il disboscamento, il consumo energetico e idrico, la necessità di innevamento artificiale (per colpa dei cambiamenti climatici) rendono lo sci da discesa uno sport non sostenibile, con un impatto aggressivo sull’ecosistema.
Il dibattito si è riacceso durante l’organizzazione delle Olimpiadi Milano-Cortina del 2026. A ottobre, ben 52 associazioni e comitati, fra cui CAI, WWF, Italia Nostra, Isde Italia, hanno organizzato, proprio a Cortina, una manifestazione contro le Olimpiadi, una marcia pacifica per denunciare l’assalto alla montagna. Una presa di posizione non ostile ai Giochi olimpici, ma contraria alla costruzione di nuovi impianti di risalita, che porta alla distruzione delle montagne. E, a questa marcia, sono seguiti tanti altri eventi, tutti con lo stesso obiettivo.
«Ma lo sanno gli sciatori come si fa una pista da sci? Si prende un versante della montagna che viene disboscato e si va avanti a scavare, estirpare e spianare finché quel versante assomiglia a uno scivolo dritto e senza ostacoli», ha spiegato Paolo Cognetti, autore del romanzo Le otto montagne. «Poi lo scivolo va innevato, perché è ormai impossibile affrontare l’inverno senza neve artificiale: a monte della pista viene scavato un enorme bacino, riempito con l’acqua dei torrenti d’alta quota e con quella dei fiumi pompata dal fondovalle, e lungo l’intero pendio vengono posate condutture elettriche e idrauliche, per alimentare i cannoni piantati a bordo pista ogni cento metri».
Non è finita: «Intanto decine di blocchi di cemento vengono interrati; nei blocchi conficcati piloni e tra un pilone e l’altro tirati cavi d’acciaio; all’inizio e alla fine del cavo costruite stazioni di partenza e d’arrivo dotate di motori: questa è la funivia. Mancano solo i bar e i ristoranti lungo il percorso, e una strada per servire tutto quanto. I camion e le ruspe e i fuoristrada».
Per non parlare della produzione di neve artificiale. Secondo i dati della Scuola Italiana Sci, «con un metro cubo di acqua (mille litri) è possibile produrre in media 2-2,5 metri cubi di neve. Tecnicamente l’obiettivo è raggiungere l’innevamento base di 30 centimetri. Per innevare una pista di un ettaro servono almeno un milione di litri di acqua, quindi 1000 metri cubi».
Anche l’ACP, l’Associazione Culturale Pediatri, ha preso una posizione netta, e ritiene che il cambiamento debba partire dalle nuove generazioni: «Lo sci da discesa è uno sport divertente, che si pratica all’aria aperta e permette ai bambini di avvicinarsi ai boschi», hanno spiegato i pediatri Elena Uga e Giacomo Toffol. «Ma se per poterlo praticare è necessario un consumo del territorio e un utilizzo di energia insostenibili, e se i cambiamenti climatici ci mettono di fronte alla necessità di utilizzare energia e acqua in quantitativi non etici, forse dobbiamo pensare che è arrivato il momento di rivedere il nostro rapporto con lo sport e con la montagna». Perché «siamo giunti a un momento storico in cui è indispensabile insegnare alle future generazioni quali sono le priorità e a essere disposti a delle rinunce per poter godere ancora un domani degli ambienti naturali che abbiamo sfruttato fino ad oggi».
È anche vero che molte stazioni sciistiche stanno cercando di adottare misure sempre più green, che sia per una reale presa di coscienza o per attrarre anche gli utenti più sensibili ai temi ambientali. Alcune cercano di ridurre le emissioni di carbonio installando turbine eoliche, altre cercano di incoraggiare una mobilità sostenibile, promuovendo il car sharing o le navette per arrivare alle piste.
Nel frattempo, non dimentichiamo lo sci da fondo, lo sci alpinismo, le passeggiate con le racchette da neve, le gite e le escursioni in natura. Magari meno adrenaliniche, ma più autenticamente rispettose dell’ambiente.