Dopo una campagna elettorale storica, la Francia ha un nuovo presidente. Il più giovane dai tempi di Napoleone III, Emmanuel Macron è riuscito a vincere delle caotiche elezioni presidenziali che per la prima volta nel round finale non ha visto competere uno dei due candidati dei tradizionali partiti di sinistra o destra.
Un Emmanuel Macron che fino a tre anni fa era sconosciuto ai francesi, che non era mai stato eletto in precedenza e che non ha nessuna tessera di partito. Secondo i sondaggi (che a questo giro ci hanno preso su praticamente tutto) è stato votato dal 43% per paura di una Le Pen presidente, dal 33% per l’idea di rinnovamento politico che incarna, dal 16% per la sua personalità e last but not least solo il sedici percento degli elettori lo ha scelto per il programma presentato. Infine, solo il 39% (a fronte del 65% con cui ha vinto le elezioni) dei francesi si auspica che alle decisive elezioni legislative di giugno Macron possa ottenere la maggioranza parlamentare. Quel che è certo è che Macron è stato il carnefice dei socialisti e sta cercando di cambiare la geografia della destra repubblicana e gollista provando a ridefinirne gli equilibri. È stato ballottaggio che ha avuto un’astensione record dal 1969 a cui si aggiunge un numero record di schede bianche lasciate nelle urne.
Intanto nella notte, a Nantes, Bordeaux, nella stessa Parigi la generazione “ingovernabile” dei liceali francesi e degli adolescenti delle periferie meticce si sono scontrati con la polizia lanciando il primo coro “Macron dimettiti”. Contemporaneamente il presidente eletto camminava solennemente davanti al Louvre per il suo discorso ai sostenitori in festa sulle note dell’Inno alla Gioia, l’inno ufficiale della UE. Con lui festeggia Bruxelles, il segretario del PD e con loro tanti altri convinti che, in attesa delle elezioni in Germania, l’Europa e i singoli stati che ne fanno parte si possano rimettere in marcia, appunto. È lecito festeggiare, ma i dubbi restano.
Per chi scrive, alla luce del suo operato come ministro del lavoro e in generale come visione politica ed economica, Macron è la quintessenza della governance europea e di quel tentativo di ristrutturazione neoliberista in ambito EU che da anni cerca una via d’uscita alla crisi con costi sociali altissimi, impoverendo e polarizzando di fatto la società. Ecco perché segnali sono tutt’altro che incoraggianti, per i francesi e per gli europei tutti, un po’ come festeggiare bevendo champagne sul ponte del Titanic… . La Francia è lo specchio dell’Europa, boccheggiante, in guerra ed esausta e con i mali e i problemi che sono strumento per aumentare collera e paura, basta guardare all’avanzata dei populismi e rimanendo oltre-alpe, all’ascesa degli “sconfitti” del Front National.
Un partito che nell’arco di pochi anni ha guadagnato milioni di voti, è diventato il primo partito tra la classe operaia e che ha consensi in ampissime fasce popolari. Dopo la dichiarazione di “resa”, Marine Le Pen ha annunciato: «ora inizia la battaglia tra patrioti e mondialisti», dichiarando poi che il partito cambierà nome per continuare nella profonda e travagliata opera di normalizzazione per tagliare definitivamente il filo nero che lega il movimento al Governo di Vichy, il regime vassallo della Francia durante l’occupazione nazista.
In tutto questo, mentre Macron ripercorre la grandezza della storia di Francia e parla dell’”ottimismo del futuro”, viene in mente la quote più famosa del film La Heine – L’Odio: «È la storia di una società che precipita. Mano a mano che cade per farsi coraggio si ripete: fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, il problema non è la caduta ma l’atterraggio».