Eppur si muove. Tra i Repubblicani, si sa, lo chiamano Sleepy Joe, Joe l’assonnato. Su imbeccata del rivale Donald Trump ovviamente, che non perde occasione per denigrarlo e dire quanto l’attuale presidente degli Stati Uniti sia scarso, poco reattivo, inadatto al proprio ruolo. È una narrazione diffusa anche in Italia, non per forza tra chi gli è ostile, ma tirando sempre in ballo la sua veneranda età di 81 anni – ne compirà 82 a cavallo delle prossime elezioni presidenziali. Non che Trump sia il nuovo che avanza, ma insomma: è già chiaro che la sfida per la Casa Bianca avrà come protagonisti due politici perlomeno esperti. E però, un colpo importante anche solo a livello mediatico l’ha appena assestante pure il dormiente Joe Biden, in un momento in cui tra l’altro si parlava dell’ascesa del suo avversario, che alcuni osservatori davano per morto e invece, da quando lo scorso mese sono cominciate le primarie, ha cannibalizzato il voto dei Repubblicani.
Ecco, ieri Biden ha fatto più o meno lo stesso in South Carolina, dove ha stravinto con percentuali bulgare (circa il 96% dei voti) le primarie dei Democratici. È il primo Stato in cui ha deciso di mettersi alla prova per queste elezioni “interne”, rompendo una tradizione per cui di solito si partiva in New Hampshire. E, chiaro, è stata una mossa calcolata, sapeva di vincere e le cifre lasciano il tempo che trovano: di fatto non ha un vero rivale interno al partito, e già nel 2020 lì aveva ottenuto un risultato simile. Ma la questione non era solo, diciamo, di morale, anzi ci sono almeno due motivi che fanno parlare di risveglio elettorale. Il primo è che, appunto, dopo questa presidenza il partito è ancora compatto sul suo nome, non ha pressoché vagliato delle alternative e andrà con lui in fondo. È la prova che c’è una parte di Paese compatta, che lo sostiene, e non è scontato: tra i Repubblicani, per dire, c’è una corrente disperata all’idea di vedere di nuovo Trump presidente, giudicandolo troppo audace, estremista, irrispettoso delle istituzioni per un ruolo del genere – il fatto che poi non attecchiscano è un altro conto.
Il secondo punto è che il South Carolina è uno Stato chiave non tanto per le dimensioni, ma perché al suo interno è molto radicata la comunità afroamericana. Biden è partito da lì per vedere se questa fosse ancora con lui, e in che modalità: l’esito di queste primarie in sé e soprattutto l’affluenza degli stessi afroamericani, in aumento rispetto a quattro anni fa, sono segnali incoraggianti – a maggior ragione perché l’esito abbastanza scontato del non-confronto con i rivali interni avrebbe favorito l’astensione, e invece no. Secondo i dati dei Democratici, gli elettori neri sono stati circa il 76% del totale, mentre nel 2020 erano appena il 56%. Un segno, anche qui, di vicinanza. «Questa campagna sarà per i dimenticati», ha annunciato il presidente.
Ovviamente sono slogan, la realtà è più complessa di così e ridurre la sfida a una sorta di Bene contro Male, come tra l’altro fa Biden, è una semplificazione. Anche quest’amministrazione ha le sue critiche, non è una congrega di santi. Dall’altra parte, però, è vero che c’è una parte d’America che vede Trump come un pericolo per diritti civili, vita negli Stati Uniti ed equilibri geopolitici mondiali, a maggior ragione dopo le sue ultime sparate assolutiste su, per esempio, una chiusura rigida dei confini. I sondaggi in vista delle elezioni di novembre, in cui è quasi certo che a sfidarsi saranno loro due, nonostante per avere l’ufficialità serva ancora aspettare la fine delle rispettive primarie, danno però in vantaggio Biden proprio grazie al voto delle donne, a quella della comunità afroamericana e a quello di varie minoranze a cui Trump sta già promettendo guerra in maniera più o meno esplicita. Contando che dall’altra parte ci sono in prima linea suprematisti bianchi ed estremisti vari, lo scontro non può comunque che lasciare indifferenti.