Per uno strano scherzo del destino, nel giorno in cui Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto e testimone attiva della Shoah italiana, ha aperto i lavori della XIX legislatura a Montecitorio con un discorso accorato e sentitissimo, raccontando come nel ‘38 fu costretta a lasciare la scuola per via delle leggi razziali e condannando apertamente l’eredità del Ventennio, uno dei pezzi da novanta di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa, è stato eletto come nuovo presidente del Senato e, di conseguenza, seconda carica dello Stato.
Come da pronostico, il successo è arrivato al primo scrutinio quando, secondo le regole di elezione del Senato, per ottenere la nomina è necessario la maggioranza assoluta dei senatori. La soglia da superare era di 104 voti, La Russa ne ha ottenuti 116 nonostante l’astensione di Forza Italia, dove hanno votato solo Silvio Berlusconi e Maria Elisabetta Alberti Casellati; peraltro, alcuni voti sono arrivati da senatori eletti con partiti che, almeno in teoria, dovrebbero trascorrere la legislatura nell’opposizione, che hanno pensato bene di trincerarsi dietro il voto segreto.
La Russa è uno dei personaggi più focosi, carismatici e macchiettistici dell’intero panorama politica italiano: la voce rauca baritonale e inconfondibile, l’eloquio non propriamente da galateo e la predisposizione naturale al litigio sono le caratteristiche costanti che, negli anni, lo hanno trasformato in una sorta di meme ante–litteram. Del lato “pop” di La Russa, ormai, sappiamo qualsiasi cosa, dall’amore viscerale per l’Inter a quell’invincibile passione per mezzi busti, saluti romani, aneddotica da gerarchi, statuette mussoliniane e altra paccottiglia fascista che custodisce gelosamente nella sua dimora – una passione che, recentemente, è tornata agli onori delle cronache grazie alla pubblicazione di un video del 2018.
Immagini del Ventennio, foto del colonialismo fascista, camice nere e Balilla. Ma soprattutto bassorilievi, busti e statue del Duce nella casa di Ignazio La Russa, possibile futuro presidente del Senato. Seconda carica dello Stato. #matrice pic.twitter.com/pKOFyHrd6V
— Alekos Prete (@AlekosPrete) October 11, 2022
In più di un’occasione, La Russa ha dimostrato di avere un rapporto con la storia, come dire, un pelino conflittuale. Ad esempio, non ha mai nascosto la sua verace antipatia nei confronti della resistenza e del 25 aprile (una commemorazione che, notoriamente, non festeggia). Tanto per rendere l’idea, nel 2020 propose di allargare l’oggetto della ricorrenza affinché «il 25 Aprile diventi, anziché divisivo, giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre, senza esclusione alcuna. E in questa data si accomuni anche il ricordo di tutte le vittime del Covid-19 che speriamo cessino proprio in aprile».
Tuttavia, a differenza del 25 aprile, il ricordo delle Foibe, il massacro di italiani ad opera di partigiani jugoslavi, è sempre vivo nei pensieri del neo presidente del Senato. «Lo dico senza remore. L’Anpi compie un’azione vergognosa nel voler attribuire a tutti, tranne che ai comunisti e ai partigiani, la responsabilità delle foibe. L’altro giorno l’Associazione nazionale dei partigiani ha diffuso un comunicato nel quale non c’è traccia una sola volta di comunisti e partigiani, come se quegli italiani fossero caduti da soli nel baratro. Quella fu una barbarie», disse nel 2019 durante la presentazione di Foiba rossa, un fumetto edito dalla casa editrice di stampo neofascista Ferrogallico.
L’anno prima, nel corso dell’esame del ddl Fiano sulle modifiche al codice penale riguardanti il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista, si prodigò nell’esecuzione di un saluto romano in aula che fece parecchio discutere, criticando duramente il provvedimento: «D’ora in poi, state attenti ad alzare la mano oltre la spalla, state attenti a mettere le mani sui fianchi, state attenti a camminare con la gamba alzata orizzontalmente quando camminate, state attenti ad accentuare il mento. Se voi accentuate il mento, potete essere passibili di due anni di galera! Perché l’accentuare il mento richiama certamente quel mostro, che fu Benito Mussolini», disse con fare ironico.
In ultimo, sono famosi i suoi continui bracci di ferro con l’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani italiani. In un post su Facebook, pubblicato nel 2018, ha definito l’associazione «vergognosa» e una «foglia di fico della sinistra, una associazione che sfila con i centri sociali e che fa comodo solo per tenere alto il pericolo di fascismo, che però non c’è più da ben 72 anni».
Anche la sua carriera forense presenta più di una connessione con il fascismo: in quanto avvocato penalista, negli anni Ottanta scelse di fornire rappresentanza legale alla famiglia di Sergio Ramelli, studente militante del Fronte della Gioventù ucciso a Milano il 29 aprile 1975 da un gruppo di militanti di sinistra.
Sempre in riferimento a Ramelli, La Russa partecipa ogni anno alle ricorrenze organizzate per ricordare la sua morte, spesso accompagnate da cortei e manifestazioni di neofascisti. Nel 1971, 24enne, diventò responsabile del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. In questi anni, consacrò la sua fama di giovane intellettuale di destra: in particolare, nelle ultime ore in molti stanno ricordando la sua partecipazione al film di Marco Bellocchio Sbatti il mostro in prima pagina (1972), che si apre con alcune riprese reali di un comizio a Milano della “maggioranza silenziosa”, un movimento politico anti-comunista a cui aderivano esponenti democristiani, missini, liberali e monarchici.
L’ossessione morbosa per la figura del Duce è una costante nella carriera politica di La Russa: nel 2019, chiamò in causa il vescovo di Ventimiglia, Antonio Suetta, colpevole di non volere acconsentire a celebrare la commemorazione della morte di Mussolini, il 28 aprile. La Russa non era d’accordo: «Non so come possa essere strumento di polemica, solo un ricordo religioso di una persona che non c’è più; e credo che la religione cristiana non preveda divieti di questo tipo».