Negli ultimi giorni, segnati dall’assalto neosquadrista alla CGIL e dallo scoop giornalistico di Fanpage sugli stretti legami tra Fratelli d’Italia e il mondo neofascista e neonazista, abbiamo visto Giorgia Meloni volare a Madrid per partecipare alla festa nazionale di Vox. La formazione di Santiago Abascal è alleata in Europa di Fratelli d’Italia: entrambi sono membri del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei che sotto un nome apparentemente moderato riunisce formazioni di estrema destra – come i polacchi di Diritto e Giustizia, che imitano fin troppo bene il modello autoritario instaurato da Orbán in Ungheria. Al di là della performance di Meloni sul palco di Madrid, dove ha ribadito, traducendolo in spagnolo, il tormentone con cui si presenta ormai in ogni piazza sfiorando sempre di più il ridicolo (“Yo soy Giorgia, yo soy una mujer, soy una madre, soy italiana, soy cristiana”) in Italia si è parlato di Vox senza sapere bene che cosa sia. Meloni li presenta come una destra conservatrice democratica, la sinistra come dei neofranchisti e i mass media non sanno spesso che pesci pigliare.
In realtà, c’è del vero in tutte queste interpretazioni perché il partito di Abascal è, come d’altronde Fratelli d’Italia, un mix di tutte queste cose. Entrambe le formazioni, così come la stessa Lega di Salvini, Fidesz di Orbán, i portoghesi di Chega, il Rassemblement National di Le Pen, Alternative für Deutschland o il Partito della Libertà austriaco, rappresentano bene quella che possiamo definire estrema destra 2.0. Si tratta di qualcosa di diverso dal fascismo del periodo interbellico e anche dal neofascismo della seconda metà del Novecento, ma che mantiene degli elementi di continuità, più o meno marcati a seconda del contesto nazionale, con quelle esperienze.
In sintesi, Meloni, Abascal o Le Pen non dispongono di milizie paramilitari come il fascismo storico, né pretendono instaurare un regime dittatoriale a partito unico, né creare un “nuovo italiano”, un “nuovo spagnolo” o un “nuovo francese” e nemmeno irregimentare le masse. Il loro obiettivo è, semmai, svuotare di diritti le democrazie liberali trasformandole sul modello ungherese in democrazie illiberali. Si riempiono la bocca della parola libertà – svuotata del suo significato di emancipazione – e dicono di parlare il linguaggio della “gente comune”. Non rivendicano più il razzismo biologico di marca hitleriana, ma, avendo imparato la lezione metapolitica di Alain de Benoist, parlano di differenzialismo ed etnopluralismo, oltre che di concetti come quello della “grande sostituzione”. Una teoria del complotto, diffusa dal francese Renaud Camus, che sostiene l’esistenza di un’invasione di immigrati coordinata da delle presunte élites mondialiste che avrebbe come obiettivo la sostituzione della popolazione europea. E soprattutto Meloni, Abascal e compagnia non vanno in giro con la testa rapata e le braccia tatuate con svastiche o fasci littori facendo il saluto romano in manifestazioni più o meno autoghettizzanti, ma indossano una camicia, una giacca e a volte persino una cravatta per essere più presentabili.
Detto questo, è indubbio che tutte queste formazioni ammiccano al mondo neofascista, ne recuperano alcuni discorsi o proposte politiche e hanno legami più o meno stretti con quegli ambienti, come hanno dimostrato diverse indagini giornalistiche. Se questo è vero per Fratelli d’Italia – Jonghi Lavarini non è affatto l’eccezione – lo stesso può dirsi per Vox. È logico che il passato spagnolo è diverso da quello italiano, a partire dal fatto che la dittatura del generale Francisco Franco è terminata solo alla metà degli anni Settanta, ma le analogie sono moltissime. Per non rimanere ad un livello astratto, andiamo al concreto.
Il leader di Vox nel Parlamento europeo, Jorge Buxadé, una specie di Carlo Fidanza iberico, si presentò come candidato negli anni Novanta, in ben due occasioni, con Falange Española – la forza politica, ultraminoritaria dopo la transizione alla democrazia, che mantiene il nome del partito unico esistente durante la dittatura franchista. Una formazione, si badi bene, che non solo rivendica il passato dittatoriale, ma che difende l’instaurazione di un regime autoritario. Mentre Javier Ortega Smith, segretario generale di Vox e deputato nelle Cortes di Madrid, a fine anni Ottanta scriveva articoli in un giornale falangista, rivendicando José Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange negli anni Trenta.
Si dirà che sono cose del passato, che erano solo dei ragazzi. Non sembrerebbe però: nel 2018, l’anno del boom elettorale di Vox, lo stesso Ortega Smith partecipò a una cena con diversi membri della Fondazione Francisco Franco e affermò – testualmente – che “José Antonio Primo de Rivera per me è uno dei più grandi uomini della storia, un magnifico avvocato, un magnifico patriota, un grande ideologo politico che lottò contro i nemici della patria, come stiamo facendo noi ora”.
Ma se si scava un po’, come d’altro canto basta fare anche con Fratelli d’Italia, si trovano tanti altri casi del genere, soprattutto in ambito locale. Il parlamentare Ricardo Chamorro ha militato per anni in Democracia Nacional ed España 2000, mentre un altro dei 52 deputati di Vox, Juan José Aizcorbe Torra, nel 1982 si presentò come candidato per Fuerza Nueva e ha difeso legalmente i familiari dell’ex dittatore. Per intendersi: Democracia Nacional, España 2000 e Fuerza Nueva sono formazioni paragonabili alla Forza Nuova di Fiore e Castellino o al Fronte Nazionale di Franco Freda, reso illegale una ventina d’anni fa.
Altri esempi: tre dei candidati di Vox ad Alcalá de Henares, città vicino a Madrid, hanno un curriculum simile o, per così dire, ancora peggiore. Antonio Rodríguez Cortés nel 2015 era candidato con España 2000. Álvaro Leal Baquero, dopo una militanza in Falange, è passato per Hogar Social Madrid, la CasaPound spagnola. Mentre Jorge Benito Vera viene da gruppi naziskin come Hermandad Aria (Fratellanza Ariana), così come José María Ruiz Puerta, importante dirigente di Vox nella città di Parla. E giusto per nominarne un altro: Fernando Paz, candidato di Vox ad Albacete alle elezioni legislative del 2019 (ma non eletto) è un pseudostorico complottista, ossia un pericoloso ciarlatano, che difende teorie negazioniste dell’Olocausto. Potremmo continuare ancora a lungo.
Quando scoppia uno scandalo, ossia quando qualche bravo giornalista scava un po’ e porta alla luce questi casi, il partito di Abascal prende le distanze, afferma che queste persone non rappresentano il partito, magari le espelle e, ciliegina sulla torta, accusa il Sistema – con la S maiuscola – che non è altro che una campagna per screditare Vox. Vi dice qualcosa? D’altronde, il vittimismo è una delle principali tattiche che utilizza l’estrema destra 2.0 un po’ dappertutto. Ovviamente, per quanto dicano di prendere le distanze dal passato, tutte queste formazioni non rinnegano senza se e senza ma il fascismo o la dittatura di Franco, ma continuano a muoversi nell’ambiguità perché non possono recidere definitivamente il cordone ombelicale con quel mondo. Semmai, come hanno fatto Meloni e Salvini dopo la richiesta di scioglimento di Forza Nuova, scalpitano perché si condannino tutti gli estremismi, mettendo sullo stesso piano cose che non possono essere paragonate.
Certo, come nel partito di Meloni, anche dentro Vox c’è un settore ultraconservatore neoliberista, rappresentato dal numero tre del partito, Iván Espinosa de los Monteros e la sua compagna, Rocío Monasterio. E, in buona misura, anche dallo stesso Santiago Abascal. Persone vincolate strettamente al nuovo integralismo cattolico – l’associazione Hazte Oír-Citizen Go che difende un’agenda in linea con il World Congress of Families: contro i diritti del collettivo LGTBI, contro l’aborto, contro la presunta “ideologia di genere” – che vedono Bergoglio come una specie di demonio in seno alla Chiesa. D’altro canto, Vox è nata a fine 2013 come una scissione di destra del Partito Popolare. Ma, in fin dei conti, Fratelli d’Italia non è una scissione del Popolo della Libertà berlusconiano?
Ecco: se c’è, almeno per ora, una differenza tra il partito di Abascal e quello di Meloni è che Vox ha alcuni deputati che provengono dall’Esercito. Militari ritirati, come Agustín Rosety Fernández de Castro o Alberto Asarta Cuevas, che non difendono solo posizioni ultraconservatrici, ma che, ad esempio, hanno firmato anche un manifesto celebrativo dell’ex dittatore Francisco Franco. Chissà che Giorgia non prenda spunto per le prossime elezioni.
Insomma, Vox e Fratelli d’Italia sono molto simili. Una nuova estrema destra che, pur essendo qualcosa di diverso dal fascismo e dal neofascismo, non ha mai chiaramente preso le distanze da quel passato e da quel mondo. Perché ne hanno bisogno. Non solo a livello simbolico, ma anche in un senso molto più pratico, come l’affare Jonghi Lavarini ha dimostrato. Una destra che vive nell’ambiguità rispetto al passato fascista e che è pervasa dalla contiguità con ambienti neofascisti e neonazisti – che non solo rivendicano i regimi di Hitler, Mussolini e Franco, ma che difendono e spesso utilizzano la violenza politica – non può essere una destra accettabile in un sistema democratico. E in questo, Vox e Fratelli d’Italia sono, per così dire “una faccia, una razza”.