Tra desertificazione incipiente e scioglimento dei ghiacciai alpini, in Italia i sintomi dell’emergenza climatica sono già visibili. Ma lo Stato sta facendo abbastanza per contrastarli? A rispondere a questa domanda saranno i tribunali. Dopo due anni di lavoro, e in tempo per la Giornata mondiale dell’Ambiente, oggi un gruppo di 200 ricorrenti, tra cittadini e associazioni, ha fatto causa allo Stato italiano per inazione climatica.
“Chiediamo che venga dichiarato che lo Stato italiano è inadempiente dal punto di vista climatico, e che quindi le politiche climatiche varate dai nostri governi non sono adeguate a realizzare l’obiettivo di riduzione delle emissioni che l’Italia ha sottoscritto quando ha deciso di entrare a far parte dell’Accordo di Parigi”, spiega a Rolling Stone Marica di Pierri, portavoce dell’associazione A Sud, che ha capitanato l’azione. L’uso del plurale per parlare dei governi non è casuale: “è una questione che prescinde dall’’autorità politica del momento, e che riguarda anche le responsabilità storiche del nostro Paese”, continua di Pierri.
A concorrere in giudizio sono 203 attori: oltre a 24 associazioni, si contano 162 adulti tra cittadini italiani e stranieri residenti in pianta stabile in Italia, e 17 minori, rappresentati dai genitori. “Coinvolgere giovani e giovanissimi è importante perché uno dei punti su cui insiste la causa sono i diritti delle future generazioni”, dice la portavoce.
Le obbligazioni climatiche che lo Stato italiano non starebbe rispettando derivano da accordi internazionali come quello di Parigi del 2015 e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, da normative di rango europeo relative ai diritti umani e, a livello nazionale, dagli articoli della Costituzione 2 e 32: quello che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e quello secondo cui “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
L’azione non è senza precedenti: dal Regno Unito alla Colombia, da anni attivisti e associazioni di moltissimi Paesi hanno scelto la via legale per cercare di costringere le istituzioni a impegnarsi di più per contrastare il cambiamento climatico, appellandosi spesso ai diritti umani fondamentali.
In Europa in particolare si è registrato qualche segnale molto incoraggiante che mostra come questo approccio possa dare i suoi frutti. In Olanda, nel 2019 la Corte suprema ha affermato che il governo è responsabile della gestione delle emissioni di anidride carbonica nel Paese e che è di conseguenza obbligato a ridurre massicciamente le emissioni per proteggere i diritti umani dei propri cittadini. In direzione simile vanno delle recenti sentenze della Corte amministrativa di Parigi e della Corte costituzionale tedesca. Sono decine le cause in corso in giro per il mondo, dirette verso i governi o verso specifiche aziende identificate come particolarmente responsabili della degradazione ambientale.
“Un’altra sfida che accettiamo di portare avanti attraverso il deposito di questa causa climatica è quella di sostenere – come avviene già in diversi altri Paesi – che è possibile già oggi argomentare l’esistenza di uno specifico diritto umano al clima stabile e sicuro”, afferma di Pierri. Secondo questa corrente, il fatto che diritti fondamentali come quello alla vita, alla salute, all’acqua e all’alimentazione siano direttamente legati alle condizioni climatiche significa che è possibile rivendicare, sulla base del diritto internazionale, uno specifico diritto umano al clima stabile e sicuro, come precondizione per garantire il godimento di tutti gli altri diritti.
“Vorremmo che anche in Italia i tribunali decidessero di essere parte di questa battaglia di civiltà per salvare i cittadini dall’emergenza climatica, dato che la società civile con i soli strumenti della mobilitazione, degli appelli e della pressione non riesce ad indurre i poteri politici a fare abbastanza – e chiedere loro di varare delle politiche veramente ambiziose”, spiega di Pierri.
L’intenzione, però, non è quella di dire al governo cosa fare nello specifico: “Abbiamo diverse idee rispetto a come si dovrebbe impostare una transizione serrata e un piano di decarbonizzazione, ma questo non è argomento della causa legale. Non vogliamo chiedere al giudice di invadere il potere discrezionale dell’esecutivo e del legislativo – noi chiediamo soltanto di stabilire una quantità di riduzione delle emissioni. Poi saranno ovviamente i poteri preposti a doverlo adempiere”.