“Quando il saggio indica la Luna lo stolto guarda il dito” recita uno dei più antichi proverbi che la rete, negli ultimi anni, ha saputo confutare. A quanto pare l’attenzione dello stolto va sul vero elemento primario della narrazione che non è rappresentato dal singolo contenuto, ma dalle decine di commenti che è in grado di generare. Le reazioni sono, secondo un recente studio ripreso da TechCrunch, i fertilizzanti migliori per far crescere l’odio online.
È un tema quantomai attuale in questo preciso momento storico e in Italia, dove sembra che il paese sia spaccato in due e l’odio online negli ultimi anni è diventato talmente comune da a) far nascere un progetto di avvocati pro bono per contrastarlo e b) diventare una specie di rumore di fondo di cui nemmeno ci accorgiamo più.
Per capire quindi come funziona questa dinamica e come mai i commenti sono più pericolosi per la comunità dei post che li generano, abbiamo sentito Matteo Flora – fondatore di The Fool, una web agency specializzata nell’analisi dei dati e nel loro utilizzo nella costruzione di narrazioni. “Un momento semplifica la vita all’hater [chi diffonde odio online], perché gli permette di approfittare della visibilità costruita da altri”, mette subito in chiaro Flora.
Come fa il suo commento, carico di odio, a superare la moderazione?
Partiamo con il precisare che esistono diversi livelli di moderazione. La più semplice è fatta dal proprietario della pagina che in autonomia fa pulizia. Poi c’è la parte di moderazione fatta dalle piattaforme. In questo caso la moderazione è più complessa da fare perché una piattaforma ricevere potenzialmente milioni di commenti all’ora. Il filtro basato su parole chiave non serve. Le persone sono brave a raggirare i filtri. Se scrivo c***o si capisce chiaramente a cosa mi riferisco pur non avendo scritto la parola nella sua completezza.
Se un mio amico, attivista GLTBQ, mette una sua foto e scrive “Che schifo questi gay” è ovvio che il suo intento non ha a che fare con l’omofobia ma, al contrario, sta affermando la sua identità in maniera sarcastica. Una piattaforma non riesce a prendersi in carico l’analisi di tutti i commenti anche di quelli sfumati come l’esempio appena fatto. Per questo motivo opera tramite segnalazioni fatte da altri utenti.
Cosa succede dopo?
I contenuti arrivano tra le mani di moderatori umani. Il loro lavoro non è semplice. In taluni casi non sono persone madrelingua e non capiscono quindi le sfumature del linguaggio. In altri operano in paesi a basso reddito, di cultura tradizionale, che hanno dei pregiudizi su alcune tematiche che devono analizzare. Entrambi i problemi sono causati dall’esigenza delle piattaforme di risparmiare il più possibile.
Se la moderazione, nonostante queste falle, funziona perché i commenti alimentano l’odio?
Perché innescano un processo di auto-radicalizzazione o auto-polarizzazione. L’utente medio tende a estremizzare la visione che vedi già rappresentata. Se nessuno sostiene, ad esempio, che la Shoah sia un’invenzione tu non sarai il primo a sostenerlo. Se, invece, altre persone si sono pronunciate sull’argomento esprimi la tua opinione anche criticabile perché sai che ti stai muovendo su una percezione comune.
Le persone non si rendono conto che diventano estremiste per poter apparire meglio all’interno di un gruppo. Un generico “sono d’accordo” non li differenzierebbe dagli altri. Per farsi notare è sempre più necessario essere estremisti.
Quali sono le conseguenze di questo trend?
Si riduce il terreno comune e la possibilità di dibattere. Questo genera un paradosso. La rete che nasce con questo intento è oggi il posto peggiore dove confrontarsi perché il dibattito è guidato dal pregiudizio.
In queste settimane si parla spesso degli investimenti fatti dai politici sui social per la campagna elettorale. Salvini per esempio ha speso 828 euro per la la Calabria e 90mila euro per l’Emilia-Romagna. Questi soldi pagano anche i commenti?
No ma ne aiutano la genesi che l’algoritmo rivela e premia. La piattaforma premia il contenuto molto commentato, portandolo all’attenzione di un’audience sempre più grande. Per questo motivo sono aumentate le campagne di sponsorizzazione che non hanno come destinatario la persona che condivide quel messaggio ma chi lo disapprova e manifesta il suo dissenso attraverso un commento che aiuta il post a carburare.
E le persone si rendono conto di questa dinamica?
No, purtroppo.