Mentre negli Stati Uniti proseguono le proteste di piazza contro razzismo e brutalità poliziesca scatenate dall’omicidio di George Floyd, alcuni attivisti hanno cominciato a organizzarsi in autonomia – iniziando a costruire aree in cui la polizia non può entrare. Il primo esempio di questo tipo è a Seattle, nel quartiere di Capitol Hill, dove nei giorni scontri, in seguito a scontri particolarmente duri, la polizia è stata costretta a ritirarsi. Da quel momento i manifestanti hanno cominciato a bloccare le strade e hanno proclamato la “zona autonoma di Capitol Hill”, con tanti di cartelli che dicono “Benvenuti nella Capitol Hill libera”.
La zona si estende su sei strade intorno al commissariato del quartiere – che è stato temporaneamente abbandonato dalla polizia – e comprende una serie di postazioni in cui i manifestanti hanno organizzato centri di primo soccorso, centri di distribuzione di acqua e cibo e di altre cose utili per le proteste. I manifestanti che la occupano hanno anche aperto un account Instagram (@freecapitolhill) dedicato.
Si tratta sicuramente di un esperimento di organizzazione molto interessante, che potrebbe far presagire una dimensione nuova per le proteste antirazziste delle ultime settimane. Ma, come fa notare il giornalista Jake Hanrahan di Popular Front, parlare già adesso di “zona autonoma” è probabilmente esagerato. “È solo un aerea temporeaneamente abbandonata dalla polizia dove gli attivisti hanno montato delle transenne che chiamano barricate. Non c’è una forza di sicurezza autonoma armata a quanto ne so”, ha scritto.
La grande discriminante, infatti, è che per ora nella “zona autonoma” non è stata creata un’organizzazione in grado di sostituirsi alla polizia per il controllo del territorio e il mantenimento dell’ordine. Negli ultimi giorni si sono fatti vedere alcuni membri del movimento libertarian John Brown Gun Club che hanno organizzato dei pattugliamenti, ma niente di più.