Sono ventisei anni che Reporters sans frontières, l’organizzazione internazionale che vigila sulla libertà d’informazione a livello mondiale, raccoglie dati sulle violenze e gli abusi subiti dai giornalisti e persone che lavorano nei media tra l’1 gennaio e l’1 dicembre di ogni anno. E in ventisei anni non si era mai visto un numero tanto alto di giornalisti detenuti e imprigionati come nel 2021, si legge nel report di quest’anno, appena pubblicato.
Sono 488 i giornalisti che sono stati incarcerati quest’anno a causa del loro lavoro: un aumento del 20% rispetto all’anno scorso. “Questo aumento è strutturale perché, sfortunatamente, ci sono regimi autocratici che continuano a detenere arbitrariamente i giornalisti”, ha spiegato Pauline Adès-Mével, caporedattrice di RSF. “Ma è anche situazionale, legato alle crisi sempre più violente e ripetute che portano alla repressione dei giornalisti che denunciano quanto sta accadendo sotto questi regimi senza scrupoli”.
L’ondata di detenzioni di giornalisti è attribuibile principalmente a Paesi autoritari o che nell’ultimo anno hanno subito gravi crisi, riporta l’analisi di RSF. “In Myanmar, dove i militari hanno ripreso il potere con un colpo di stato il 1° febbraio 2021, 53 giornalisti sono in carcere, mentre un anno fa erano soltanto 2”, si legge. “In Bielorussia, dove la rielezione del presidente Alexander Lukashenko viene contestata dall’agosto 2020, 32 giornalisti sono ora in carcere, contro i sette di un anno fa”.
Tra loro si contano Dari Chultsova e Katsiaryna Adreyeva, due reporter del canale televisivo indipendente Belsat, che sono state condannate a due anni di carcere per aver raccontato in diretta una manifestazione non autorizzata. Ancora più eclatante il caso di Roman Protasevich, fondatore del canale Telegram Nexta, una delle principali fonti di informazioni riguardanti le proteste antigovernative nel Paese. Già accusato di aver violato gravemente l’ordine pubblico e di aver “istigato all’inimicizia sociale” nel 2020, Protasevich stava viaggiando con Ryanair da Atene a Vilnius quando il suo volo è stato intercettato nello spazio aereo bielorusso. Da allora, è agli arresti domiciliari.
Il Paese che imprigiona più giornalisti al mondo, però, rimane la Cina: 127 casi nel 2021, oltre il doppio del Myanmar, che è al secondo posto dell’infelice classifica. “Questi numeri senza precedenti sono dovuti anche al crescente controllo di Xi Jinping su Hong Kong. In questa regione amministrativa speciale, che era un modello regionale per quanto riguarda il rispetto della libertà di stampa e che non aveva giornalisti incarcerati, la legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel 2020 è stata usata come pretesto per arrestare e detenere almeno 10 giornalisti”.
Dal report, però, non emergono solo cattive notizie: secondo i dati raccolti da RSF, quest’anno meno giornalisti del solito sono stati uccisi per via del loro lavoro. Dal 2003 non si vedeva un numero di giornalisti uccisi inferiore a 50: nel 2021, invece, sono stati 46. Di questi, due terzi sono stati presi volutamente di mira e assassinati, mentre 16 sono morti sul campo, mentre raccontavano ciò che stava accadendo in territori pericolosi.
“Il calo di quest’anno è dovuto principalmente alla minore intensità dei conflitti in Siria, Iraq e Yemen e alle campagne delle organizzazioni per la libertà di stampa per l’attuazione di meccanismi internazionali e nazionali volti a proteggere i giornalisti”, afferma l’organizzazione.