Il 25 settembre se vivi in Sudamerica potrai votare, se studi fuorisede no | Rolling Stone Italia
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Il 25 settembre se vivi in Sudamerica potrai votare, se studi fuorisede no

Votare è un gran casino già a livello ideologico-politico, figurarsi a livello logistico: 5 milioni di elettori, il 25 settembre, se vorranno votare, dovranno armarsi di giorni liberi e santa pazienza, per tornare a casa a proprie spese, andare al seggio ed esprimere un sacrosanto diritto costituzionale

Il 25 settembre se vivi in Sudamerica potrai votare, se studi fuorisede no

Foto via Getty

Il secondo comma dell’Articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce che «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

I padri e le madri costituenti, pur divisi dalle loro idee politiche, avevano voluto dare un impulso forte, chiudendo definitivamente il ventennio fascista e, almeno nelle idee, agevolare un percorso inclusivo nelle istituzioni.

A livello pratico però, questo proposito non è stato rispettato al 100%. Sono tantissimi i cittadini che avranno grosse difficoltà nel votare alle prossime elezioni politiche del 25 settembre (chi vi scrive compreso). Sì, perché attualmente in Italia è impossibile votare se si lavora o si studia, o semplicemente si abita lontano dal luogo di residenza.

Una situazione strana, paradossale se si tiene conto del fatto che la legge permette ai cittadini italiani residenti all’estero di votare per posta, ma non lo fa per chi vive in un’altra regione, e che in Europa solo Italia, Malta e Cipro non hanno una legge che risolva questo intoppo burocratico che genera solo astensionismo.

I dati ci dicono che negli ultimi 14 anni l’affluenza alle politiche è passata dall’83,6% al 72,9%, con outlook molto negativo se si guarda al prossimo appuntamento elettorale, il primo a settembre nella storia repubblicana.

Nel 2018 il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà (M5S) aveva chiesto a una commissione di esperti di raccogliere i dati Istat sulla partecipazione politica degli italiani, con l’obiettivo di aumentare la partecipazione elettorale. Dal report emersero numeri sconcertanti: dei circa 22,7 milioni di studenti o lavoratori, 4,9 milioni sono fuorisede. In generale, i cittadini aventi diritto al voto sono 46,2 milioni. Ciò vuol dire che il 10% del totale dovrà decidere se disertare le elezioni o intraprendere un viaggio di centinaia, a volte migliaia di km per mettere la X sul partito che preferisce e poi tornare nel luogo in cui vive.
Eppure, le soluzioni ci sarebbero.

Guardando oltre i nostri confini: in Francia, Belgio, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia e Polonia si può delegare una persona di fiducia. C’è poi il voto anticipato o in un seggio speciale (come una prefettura, o comunque un posto in cui è presente un pubblico ufficiale), opzione prevista in Ungheria, Grecia, Polonia e Svezia. Infine, c’è il voto per posta, che negli Stati Uniti nel 2020 ha fatto gridare a Donald Trump “STOP THE COUNT!” su Twitter, ma che si può fare anche in Australia, Austria, Canada, Belgio, Norvegia, Paesi Bassi, Svizzera Germania, Spagna, Ungheria, Irlanda, Portogallo e Polonia.

Nei 4 anni e mezzo della XVIII Legislatura (anni in cui, tolto Fratelli d’Italia hanno governato a turno un po’ tutti), nessuno ha avuto la forza o la voglia di risolvere un problema grave e serio, soprattutto alla luce del fatto che ci sono leggi e norme che tutelano gli italiani all’estero, ma non leggi e norme che tutelino i fuorisede.

Per votare, chi risiede fuori dall’Italia deve iscriversi all’Aire, Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero. Il numero di iscritti aumenta di anno in anno, tanto che, quelli che una volta erano ritenuti seggi folkloristici, oggi vedono candidature pesanti, come quella del virologo Andrea Crisanti nella lista del PD nella circoscrizione Europa, o del due volte campione del mondo di Formula 1 Emerson Fittipaldi nella lista di Fratelli d’Italia nella circoscrizione Sudamerica.

A conti fatti, gli elettori all’estero sono 4,8 milioni e valgono lo stesso 10% dei fuorisede. Inoltre, l’articolo 61 della Costituzione stabilisce che dopo lo scioglimento anticipato delle Camere, possano decorrere massimo 70 giorni per nuove elezioni, questo per garantire che i plichi con le schede elettorali arrivino a casa di ogni cittadino italiano iscritto all’Aire. In definitiva, c’è tutto un architrave legislativo (sacrosanto, ci mancherebbe altro) che tutela il processo di partecipazione democratica di una parte consistente del nostro corpo elettorale, ma allo stesso tempo, una parte altrettanto consistente è dimenticata.

Questo problema affligge soprattutto chi risiede al sud e studia nelle grandi università al centro o al nord: sono infatti tantissimi gli studenti o i lavoratori che emigrano dalla Puglia, dalla Calabria, dalla Sicilia verso il Lazio, la Lombardia, il Piemonte, la Toscana e che quindi devono stravolgere i propri piani e spendere dei soldi per esprimere il loro diritto di voto. Certo, negli ultimi anni ci sono stati aiuti da parte delle aziende di trasporti come Trenitalia, che eroga uno sconto del 70% per i biglietti di andata e ritorno prenotati presentando la scheda elettorale che testimonia la residenza in un comune diverso, ma è comunque una soluzione tampone e non strutturale, ma che soprattutto non arriva da una classe politica che, tutta, a parole si batte contro l’astensionismo, ma alla prova dei fatti non lo fa.

Negli ultimi anni ci sono state proposte diverse: quella del PD a firma Marianna Madia, che prevedeva tre requisiti (lavoro, studio, motivi di salute o di cura verso una persona specifica); quella di Italia Viva che stabiliva dei seggi specifici in ogni regione per poter permettere il voto fuorisede, quella di Forza Italia, che puntava sul voto nelle prefetture, a patto che il fuorisede non fosse in una regione confinante con quella di residenza e quella del Movimento 5 Stelle, che al voto nelle prefetture avrebbe voluto affiancare anche quello con strumenti digitali come SPID. Il voto digitale è un altro argomento di dibattito importante. A maggio scorso il governo ha bloccato la sperimentazione, dopo che l’Agenzia nazionale per la Cybersicurezza aveva espresso preoccupazioni su possibili attacchi hacker provenienti dall’estero.

Ad ogni modo, ogni proposta per aiutare i fuorisede è stata affossata facendo ricorso all’articolo 48 della Costituzione, secondo cui il voto deve essere «personale ed eguale, libero e segreto». Ogni modalità infatti avrebbe causato un vulnus: il voto per delega non assicurerebbe libertà e personalità del voto, mentre quello per posta potrebbe essere intercettato o inquinato da altre persone.

Questo aspetto però è un controsenso evidente: se votare per posta è permesso all’estero, perché non può esserlo per chi risiede in un’altra regione? Anche perché quando ci sono stati casi eclatanti come quelli dell’elezione del senatore Adriano Cario, si è fatto finta di niente. Cario, eletto nel 2018 nella circoscrizione Sudamerica nel MAIE (Movimento Associativo Italiani all’Estero) aveva ricevuto 24742 preferenze, 21972 solo in Argentina. A seguito di una denuncia dello sconfitto nella stessa circoscrizione, Fabio Porta, venne accertato che centinaia di schede che riportavano il nome di Cario erano state compilate dalla stessa mano, con un’incidenza del 96% di voti a suo favore nei campioni presi sotto esame, contro il 23% di media nelle altre sezioni. Un dato che la Procura di Roma ha definito “statisticamente aberrante”. Eppure, la giunta per le elezioni e le immunità del Senato a novembre 2021 ha convalidato l’elezione di Cario.

In definitiva, votare è un gran casino già a livello ideologico-politico. Figurarsi a livello logistico. 5 milioni di noi (me compreso), il 25 settembre, se vorranno votare, dovranno armarsi di giorni liberi e santa pazienza, per tornare a casa a proprie spese, andare al seggio ed esprimere un sacrosanto diritto costituzionale. La Repubblica ha assolto il suo compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»? Mhh, non credo proprio.

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