Per il bonus psicologo, la misura introdotta dal precedente Governo a guida Draghi per alleggerire la spesa di chi necessita di sessioni di psicoterapia, il countdown non ha ancora segnato l’ora X: c’è tempo fino al 24 ottobre per farne richiesta e sperare di poterne usufruire.
Di ottimismo ne serve in grossa quantità, visto che all’Inps – l’Istituto nazionale della previdenza sociale – sono già arrivate più di 300mila domande, molte delle quali (si capisce), pur rispettando i requisiti richiesti, rimarranno insoddisfatte per mancanza di soldi. I 25 milioni di euro stanziati dal Governo per il provvedimento – che in origine erano 10 – copriranno, secondo le stime, poco più di 40mila richieste, cioè tra il 10 e il 12% del totale. A stabilire chi è dentro e chi fuori dalla “classifica” – suddivisa tenendo conto della residenza di chi ha fatto richiesta – ci penserà lo stesso Istituto, sulla base dell’Isee e dell’ordine di arrivo delle domande, o almeno «fino a concorrenza delle risorse disponibili nel territorio di riferimento».
Il dato preoccupante arriva analizzando meglio i numeri. Più della metà – circa il 60% – delle domande è stata inviata da persone con meno di 35 anni di età, la cui salute mentale è decisamente peggiorata dopo la diffusione del Coronavirus. In Italia più di sei giovani su dieci hanno cambiato la propria visione del futuro a seguito della pandemia: solo per il 22% il futuro sarà migliore, mentre il 40% ritiene che sarà peggiore. Lo dice il report “Generazione post pandemia: bisogni e aspettative dei giovani italiani nel post Covid”, realizzato dal Censis per il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Nazionale per i Giovani, per cui fra i giovani prevalgono principalmente incertezza (49%) ansia (30%), paura (15%) e pessimismo (13%). Alcuni degli intervistati hanno inoltre dichiarato di aver cominciato a soffrire di ansia e depressione proprio dopo il Covid: nello specifico si sente così il 45% degli under 37 e la metà degli under 25.
In alcuni casi le cose si complicano. Antonio D’Avino, presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri, ha detto che «ogni giorno nel nostro Paese una ragazza o un ragazzo, adolescente, ma anche pre-adolescente, tenta il suicidio”, con un incremento dei casi che negli ultimi due anni è arrivato a un +75%. Secondo i dati Istat, riportati dalla Fondazione Umberto Veronesi, ogni anno in Italia circa 4mila giovani riescono a togliersi la vita. Motivo per cui «sono lievitate di quasi 40 volte le consulenze effettuate in urgenza per ideazione suicidaria, tentativo di suicidio e comportamenti autolesivi, nei giovani tra i 9 e i 17 anni». Tant’è che alla fine il suicidio è considerato la quinta causa di morte più comune tra gli adolescenti dai 10 ai 19 anni.
Per fare un esempio concreto, complessivamente le richieste d’aiuto arrivate alla linea telefonica (o su WhatsApp) di Telefono Amico Italia – servizio di volontariato di ascolto telefonico dedicato a persone in crisi o in stato di particolare disagio emozionale – sono aumentate del 55% rispetto al 2020. Confrontandole invece con il 2019 (cioè prima della pandemia) risultano quadruplicate. Il 2022 non pare abbia portato migliorie: nei primi sei mesi dell’anno sono arrivate quasi 3mila richieste di aiuto, il 28% delle quali provenienti da under 25 anni.
Arrivati a questo punto, ci tocca chiedercelo: la sanità pubblica come interviene? In merito a chi-fa-cosa per fornire assistenza psicologica, fino ad ora si è parlato di fondazioni, associazioni di volontariato e fondi una tantum previsti dal Governo. Trovare il ruolo (fisso) del pubblico è piuttosto faticoso.
Bisogna destreggiarsi tra il numero insufficiente di operatori sanitari nei dipartimenti di salute mentale, fondi ridotti all’osso e misure “tampone” (come il bonus psicologo) riservate a pochi. Alla fine dei conti, neppure la pandemia è riuscita a far capire che il benessere psichico conta quanto quello fisico, tant’è che i fondi destinati al primo negli anni sono rimasti grossomodo invariati.
Nel nostro paese infatti fra il 2015 e il 2018 la spesa per la salute mentale si è aggirata attorno al 3,5% – 3,6% del totale del Fondo sanitario nazionale. Secondo i dati riportati dal Sole 24 Ore, nel 2019 la percentuale era già scesa al di sotto del 3% (corrispondente ad un calo di circa 650 milioni di euro, nonostante invece per il Fondo sanitario nazionale fosse stato stanziato un miliardo in più), salvo poi risalire di pochissimo nel 2020. Un sistema ballerino che rende difficile per le Regioni e le realtà territoriali fare un programma solido e a lungo termine per gli enti della salute mentale: gli interventi sono troppo frammentati e spesso con poche possibilità di proroga. Un Servizio sanitario piuttosto fragile, in parte affidato alla gestione delle singole Regioni, e a cui servono più strutture e professionisti del settore, non è in grado di far fronte alle migliaia di richieste d’aiuto – i tempi delle liste d’attesa possono superare anche i sei mesi. A meno che non si soffra di patologie particolarmente gravi (che necessitano di servizi di psichiatria) la scelta praticamente obbligata è quella di rivolgersi al privato e spendere centinaia di euro. In un articolo de l’Espresso, che affronta questo tema, si legge che «quasi 3 pazienti su 10 non hanno mai iniziato un trattamento per problemi economici».
Gli psicologi messi a disposizione (quindi assunti) dal Servizio sanitario nazionale sono circa 5mila (e qualcun altro è inserito nel “giro” con contratti a partita Iva o altri tipi di collaborazioni saltuarie): più o meno uno ogni 12mila abitanti. I professionisti, che hanno un’età media di 59 anni e un monte di ore assegnatogli limitato, sono costretti a scegliere di seguire solo i casi più “gravi” (difficile stabilire quali siano i criteri di valutazione) e a chiuderli in fretta per passare al successivo. Anche nei consultori (che, come avevamo già scritto, sono uno ogni 35mila abitanti), strutture cioè in cui poter usufruire di un terapeuta – o altri professionisti – gratuitamente o con costi ridotti, mancano spesso proprio gli psicologi.
Qualcuno potrebbe obiettare: con una guerra in corso, un Governo da formare, un’ondata pandemica di cui non ci siamo ancora liberati del tutto, il gas alle stelle e le bollette fuori controllo, i soldi sono più necessari altrove. Ma, a dirla con le parole di Fabrizio Starace, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Modena, «un investimento a sostegno della salute mentale di un Paese si ripaga con un migliore stato di salute, una riduzione delle disuguaglianze ed il contenimento dei costi – diretti e indiretti – causati dai problemi di salute mentale». Soldi che, se risparmiati, possono essere investiti altrove.