Il distanziamento sociale ha già cambiato il nostro modo di concepire il lavoro, di fare la spesa e di stare tra amici. Ma là dove nessun decreto ministeriale è riuscito a entrare, l’ambito dove né la politica né la religione ormai riuscivano più a dire la loro da tempo immemore – il sesso e le relazioni – è quello che potrebbe subire gli effetti più inaspettati della pandemia: un contro-’68, un ritorno alla decenza e all’impegno come nemmeno il più bigotto dei leader di Comunione e Liberazione poteva sognare.
Esageriamo? Innanzitutto, non prendiamocela con l’autorità statale. Che, anzi, in questa surreale primavera, ci è sembrata non di rado impacciata, contraddittoria, se non completamente estranea al nostro buonsenso buonsenso. La chiusura dell’Italia a metà marzo ha separato coppie non conviventi che avevano la sola sfortuna di vivere in regioni diverse, mentre milioni di operai sono stati mandati a lavorare gomito a gomito e decine di migliaia di studenti fuori sede si sono mossi a grappoli, su e giù per il Paese, senza che nessuno li fermasse. Per non parlare delle astrusità circolate sulla definizione dei congiunti, con zie di sesto grado più meritevoli di una visita di una fidanzata, secondo la legge.
Ma talvolta anche un potere così confuso poteva essere apprezzabile. La sensazione che ci fosse un obiettivo comune da raggiungere, degli affetti da proteggere e perché no, persino una quarantena leggibile come una Storia che non vuole finire ci ha aiutato a mandare giù la pillola. Nelle primissime fasi dell’emergenza abbiamo persino immaginato di ritrovarci, quando tutto questo sarebbe finito, a celebrare la guerra vinta con il Covid in piazza, abbracciando gente a caso, come in quella iconica foto del marinaio e dell’infermiera a Times Square dopo la resa del Giappone (in realtà inquadrava una molestia bella e buona, ma chissà quanti ci avranno pensato). Insomma, abbiamo sopportato sperando in una ricompensa: anche sotto forma di piaceri della carne da apprezzare con rinnovata gratitudine.
La realizzazione di cambiamento è paradossalmente giunta non durante la prigionia, ma con la parziale liberazione, quando l’autorità statale ci ha tolto di dosso la coperta calda del lockdown; quel tepore strano di un mondo paralizzato e che perciò ci faceva sentire in sintonia con esso, rimettendoci in strada. Senza, però, liberarci dalla paura del contagio e della vicinanza con l’estraneo. Scordatevi di aspettare il vaccino, con il virus bisogna convivere. D’accordo, ma a quel punto un interrogativo terrificante si è andato formando: se la riduzione al minimo dei contatti fisici tra esseri umani sarà l’ideologia dominante del mondo-Covid, che succederà alla promiscuità dei non conformi, dei non regolamentati, degli affetti instabili?
Succederà, innanzitutto, che quella promiscuità andrà ridotta il più possibile. L’istituto nazionale olandese per la salute pubblica lo ha scritto chiaro e tondo, seppur con la consueta formalità nordica: le persone single che non hanno “un partner regolare” ma che “vogliono avere un contatto fisico” farebbero bene a trovarsi un “amico per le coccole” o un “amico sessuale”. Con cui si dovranno “prendere accordi” per ridurre al minimo frequentazioni a casaccio con altri. In altre parole vedete chi volete, c’è persino lo Stato che vi suggerisce l’idea dello scopamico: purché sia sempre la stessa persona.
Più facile a dirsi che a farsi, in una società dove secondo i critici dello status quo vige il culto dei rapporti interpersonali non impegnativi – l’ideologia degli “impegni non vincolanti”, secondo l’espressione rivelatrice usata da Nena e George O’Neill nel loro best-seller del 1972, Open marriage. Ma è bersaglio dei conservatori di destra e di sinistra. Ma è vera questa narrazione che ci vuole tutti indisciplinati e riluttanti al sacrificio?
È vero che, negli ultimi mesi, la quarantena ha radicalmente alterato il modo in cui la gente usa Tinder, costringendo chi vi ricorre a nasconderne l’uso agli amici per evitare di passare per degli inaffidabili untori, rafforzando la dipendenza dal porno di caterve di persone e cambiando il modo in cui si rimorchia. Innumerevoli adolescenti hanno iniziato a scrutarsi l’un l’altro in base al modo in cui indossano, o non indossano, la mascherina protettiva. Pensa che per il primo appuntamento io mi ero procurata una Ffp3 e tuo padre si è presentato con una chirurgica e col naso di fuori.
Il sesso ha subito un processo di digitalizzazione più brusco di quello delle pizzerie. Le coppie che vivono distanti sono dovute diventare ancora più creative del solito, nel modo in cui hanno tentato di resistere e portare pazienza. In Russia hanno organizzato le prime “orge su Zoom”, dove praticamento ognuno si lega da solo al proprio letto e poi accende la webcam.
Ma ciò con cui non abbiamo fatto ancora bene i conti è come questo mesto adattamento abbia creato una spaccatura non solo di tipo logistico e organizzativo e tra chi si espone al contatto e chi si preserva, ma anche una di tipo morale. L’operaio, l’infermiere e l’autista del tram sono ai droplet degli altri perché devono portare uno stipendio a casa, e come tali sono giustificati dalla comunità. Ma come verrà visto chi smania per attaccare bottone nei bar, per conoscere gente a caso e magari portarsela a letto, esponendola così alle superfici della propria sfera domestica e dei propri tessuti, come se questo fosse un diritto umano inalienabile?
Oggi non è tanto la forza arbitraria a suscitare resistenza, quanto il tentativo di vincolare questa libertà vigilata a un ritorno artificiale della tradizione. L’ipotesi di una seconda ondata di contagi? Pazienza, vorrà dire che ci chiuderanno in casa di nuovo. Semmai stiamo attenti con questa movida. Ma come scacciare dalla testa l’idea che se avessimo iniziato una relazione duratura e monogama prima del 10 marzo 2020 forse ci saremmo risparmiati la trafila delle feste segrete, della ricerca pietosa dell’amante con contratto esclusivo e a tempo indeterminato, e le occhiate giudicanti delle coppie che ci vedono come veicoli di una polmonite gerontocida? È questo giudizio che ci angoscia. Da bravi narcisisti, ci risentiamo se siamo giudicati da una pubblicità progresso più di quanto temiamo di essere puniti dai lanciafiamme di De Luca.
Quel che è peggio è che, nelle ultime settimane, l’autorità giudicante si è progressivamente eclissata dalle strade ed è stata introiettata sotto forma di coscienza. La gente ora sceglie di discriminare chi potrebbe avere troppi contatti casuali nella sua vita non perché glielo dice il virologo di turno, o il governatore sadico fattosi meme, ma perché questa visione le sembra equa, e non ha nessuna autorità superiore in nome della quale opporsi.
Già in tempi pre-pandemici era difficile trovare sermoni convincenti per le masse sui benefici dell’atomizzazione sociale e del sesso randagio; il capitalismo di mercato riusciva a farceli accettare e piacere, o persino sembrare inevitabili nella nostra formazione di cittadini, ma perlomeno non ci provava neppure a dargli autorevolezza. Il punto è che oggi, al tempo di una epidemia che non accenna a sparire in una nazione piena di parenti anziani e con un sistema sanitario che fa acqua da tutte le parti persino in Lombardia, c’è ancora meno spazio per giustificare il sabotaggio delle regole con il poliamore, le coppie aperte e lo scambismo. Ogni deviazione dalla conformità potrebbe essere vista adesso non soltanto come impraticabile dalle maggioranze, ma come un pericolo persino da coloro che prima non ci trovavano nulla di male.
In Corea del Sud sono riesplosi alcuni piccoli focolai di coronavirus, che hanno fatto ripiombare il Paese nell’incubo di un nuovo rialzo della curva epidemica e precipitare il morale della popolazione. Una delle infezioni era partita da un locale di Itaewon, un quartiere di Seoul famoso per la sua vita notturna. Siccome presto si è scoperto che questo era frequentato soprattutto da persone gay, l’episodio si è trasformato in un motivo di conflitto culturale e identitario: la storia è stata inquadrata da molti commentatori come un esempio della mescolanza omosessuale, del “nemico interno” che essa rappresenta, facendo moltiplicare le reazioni aggressive e le minacce nei confronti della comunità LGBT. Riportando alla mente, per chi ha buona memoria, certe cacce alle streghe durante la prima esplosione di AIDS negli anni Ottanta.
Per quanto possiamo sentirci alieni da questi eccessi, dovremmo chiederci che effetto avrà nelle nostre decisioni sociali, come scegliere chi invitare a una festa, assumere per un lavoro che richiede vicinanza fisica, ad esempio l’accudimento dei nostri pargoli, la nozione che una persona potrebbe avere uno stile di vita inadeguato per questi tempi, vale a dire propenso al contatto con sconosciuti. Suonerà come una bestemmia dirlo, ma forse un’altra conseguenza di questo virus potrebbe essere far provare a molti etero l’esperienza di discriminazione subita dagli omosessuali a causa dell’ignoranza e del pregiudizio. Chi è stato infettato col COVID-19 forse non subirà mai l’ingiustizia di non poter chiedere un visto negli Stati Uniti, come avveniva fino al 2010 per i malati di HIV, ma forme più subdole di rigetto per chi non vuole o non riesca a trovare pace nella famiglia nucleare potrebbero ritornare prepotentemente nelle nostre vite.
In altre parole il coronavirus potrebbe riuscire laddove il conservatorismo politico ha fallito in questi ultimi quarant’anni: costringere molti a riflettere sui limiti strutturali di una vita sentimentale disordinata, stampando uno stigma su chi non è in una relazione stabile. È una considerazione che si innesta in un clima ideologico dove sta tornando di moda, anche a sinistra, una vivace difesa dei valori di una volta, con la dismissione delle “sciocchezze” marxiste e della cosiddetta controcultura degli anni Sessanta – liquidata come un’immagine speculare del capitalismo consumistico. E con le legittime istanze del movimento femminista rigettate da molti militanti maschi e arrabbiati, che chiedono prima d’ogni altra cosa una critica dell’organizzazione contemporanea del lavoro, della cessione di sovranità monetaria e del declino della classe media e bianca occidentale.
Il virus della pudicizia casca a fagiolo in una fase di riscossa, anche elettorale, dei segmenti periferici rispetto ai liberal dei centri storici. Il declino delle grandi città, con metropolitane evitate come la peste, strade invase dal traffico dei pendolari con le loro auto, gli uffici svuotati, una moria di ristoranti, bar e spazi per ammassarsi potrebbe portare a una rivincita delle province, dove ognuno se ne può stare nel suo cortiletto senza temere gli starnuti del prossimo suo.
Ma non è tutto oro quel che luccica: una autosegregazione troppo esagerata potrebbe far sì che i bambini post-COVID crescano in famiglie isolate dalla società – come quelle della suburbia americana anni Cinquanta idealizzata dal sociologo Talcott Parsons e dai suoi discepoli – diventando oggetto di un affetto intenso e opprimente, privi però dell’orizzonte di prosperità senza fine che c’era allora. Questo potrebbe avere conseguenze anche sull’educazione sessuale: un giovane allevato da una famiglia eccessivamente igienista potrebbe scegliere la promiscuità come ribellione, o provare al contrario una viva paura della promiscuità, che cercherà di mitigare con un’innaturale freddezza.
La confutazione di queste previsioni potrebbe, tuttavia, arrivare dallo svolgimento della Storia: la dissoluzione della nuova bigotteria potrebbe essere decretata dagli stessi motivi che hanno portato alla dissoluzione della famiglia ottocentesca, ossia l’avanzamento delle tecnologie, o da multinazionali e mercati che s’impadroniscono di funzioni educative che prima appartenevano alla famiglia. Senza contare che, come insegna l’esperienza dei regimi autoritari di tipo religioso o socialista, le proibizioni rendono più ghiotte le possibilità di trasgressione, e persino più godibili i tentativi riusciti.
Forse, l’unico modo per far accompagnare la paura della promiscuità a una nuova morale sessuale sarebbe quello di distruggere le fondamenta stesse della classe media capitalista: via le velleità borghesi di istruzione e di realizzazione personale, e tutti nei campi, come in Cina ai tempi di Mao. Un’altra crisi economica così, e non è detto che non ci si possa riuscire.