In questi giorni tutti quanti si stanno soffermando sugli effetti che il Decreto Sicurezza avrà sui flussi di immigrazione e sulla vita degli stranieri già presenti in Italia. Giustamente, perché rischiano di essere devastanti: per i richiedenti asilo la permanenza diventerà sempre più complicata e ottenere lo status di protezione internazionale sarà quasi impossibile, con l’esito di aumentare di gran lunga il numero di irregolari presenti sul territorio nazionale. Organizzare il caos, questa è la logica, come ha scritto qualcuno.
Ma il provvedimento approvato in via definitiva martedì dalla Camera – e che mette assieme due testi: il Decreto Sicurezza e il Decreto Immigrazione, riunificati per agevolarne l’approvazione – non si limita solo a “punire” gli immigrati, dopo anni di propaganda circa la loro pericolosità sociale. Riguarderà anche numerosi cittadini italiani: coloro che sono rimasti indietro, quelli che il governo di Matteo Salvini e del Movimento 5 Stelle – più passa il tempo e più appare evidente come nello slogan “né di destra, né di sinistra” una delle due negazioni fosse un po’ più convinta dell’altra – si ripromettono di riscattare dopo decenni di abbandono.
«Le misure sono accomunate da un obiettivo: emarginare ancora di più gli ultimi», dice Arturo Salerni, avvocato romano che, tra le centinaia di processi portati avanti nella sua carriera, difende le 300 parti lese per il naufragio di Lampedusa, i familiari di Soumayla Sacko e di numerose vittime di caporalato, e poi manifestanti e spazi occupati della capitale. «Stiamo studiando il testo, ci sono diversi motivi di preoccupazione», aggiunge Eugenio Losco, collega che fa parte del direttivo della camera penale Milano, ed è il più noto “avvocato di movimento” della città lombarda.
Ma quali sono i punti che destano la loro apprensione? Anzitutto l’articolo 23 del Decreto 113/2018 (per tutti Decreto Salvini, ndr), quello intitolato “Disposizioni in materia di blocco stradale”. «Viene reintrodotto un reato (quello di blocco stradale appunto, ndr) che era previsto in una legge del 1948, e che era stato depenalizzato nel 1999. Allora si creò una distinzione tra coloro che impedivano o ostacolavano la libera circolazione sui binari ferroviari e chi lo faceva su una strada ordinaria: solo i primi rischiavano il carcere, per i secondi era prevista una sanzione amministrativa», spiega Losco. «Ora si torna al passato, con il reato che può essere contestato su ogni tipo di strada. Inizialmente il testo spiegava che il blocco poteva svolgersi sia tramite degli ingombri che con il proprio corpo, ma in fase di conversione del decreto la seconda opzione è stata levata: devono essere presenti oggetti fisici in strada».
Quello che più colpisce è il carico della pena: da uno a sei anni, che raddoppiano se il reato è commesso da 10 o più persone e se è contestata l’aggravante di violenza o minacce. «I confini sono ampi e non sarà affatto semplice stabilire quando si configura il blocco», dice Salerni. Tante manifestazioni – più o meno tutte quelle non concordate con la questura, e quindi autorizzate a occupare la sede stradale – hanno come effetto blocchi o ritardi nella circolazione dei mezzi, dalle auto ai tram. «Sarà da stabilire volta per volta quando contestare davvero il reato. Di certo un simile provvedimento può funzionare come deterrente a chi voglia manifestare: se non sei più che motivato, diciamo radicale, la sola possibilità di andare sotto processo può intimorirti». «E poi non è chiaro se si sommerà al reato di interruzione di pubblico servizio, che ha una condotta sovrapponibile ed è già previsto dalla legge. Ravvisiamo dei profili di incostituzionalità», prosegue Eugenio Losco.
Che spiega anche come il reato determini la revoca del permesso di soggiorno alle persone coinvolte, e sia considerato ostativo all’emissione di uno nuovo. E pare quindi pensata ad hoc per limitare le proteste dei lavoratori della logistica, molto frequenti – e determinate – gli scorsi mesi nel piacentino e nell’hinterland di Milano, dove hanno sede alcuni corrieri per il trasporto merci e magazzini di stoccaggio di grandi aziende.
Ma i facchini – quasi tutti stranieri – non saranno gli unici “beneficiari” del decreto. Con gli articoli 30 e 31 il Dl va all’attacco di chi occupa case e altri immobili. Chi “invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”. «Prima era prevista una pena fino a due anni oppure una multa, ora la sanzione si somma al carcere da uno a tre anni, che salgono da due fino a cinque in caso il reato sia commesso da più di 5 persone. Può essere contestato d’ufficio oppure per querela di parte (ad esempio il proprietario dell’immobile, ndr)», dice Losco. E se l’occupazione risale indietro nel tempo? «Teoricamente vale il momento in cui viene contestata».
Inoltre per chi è accusato di aver promosso l’occupazione sono previste delle aggravanti. «Si vogliono punire i movimenti per la casa, particolarmente forti negli ultimi anni in città come Roma o Milano», spiega Losco. «Nei loro confronti», aggiunge Salerni, «è prevista la possibilità di effettuare delle intercettazioni telefoniche, in caso si pensi che stiano organizzando un’occupazione. Questo in deroga alla legge, che vuole che un simile tipo di attività investigativa sia riservata a reati con pene superiori».
Infine – tutto da chiarire e quindi da studiare molto attentamente -, nel decreto trovano posto misure repressive come l’estensione del Daspo, provvedimento nato per allontanare i violenti dallo stadio e oggi introdotto in contesti molto diversi. Il cosiddetto Daspo urbano, l’impossibilità di frequentare una città o zone della stessa, allarga il suo raggio d’applicazione. «Chi viene incolpato di avere creato disordini in un locale pubblico, può essere impedito a tornarci. Ci sono varie possibilità», spiega Eugenio Losco. E poi la sperimentazione del taser anche alla polizia municipale e l’aberrazione del reato di accattonaggio, tra le tante novità del decreto. Di certo aumenteranno i clienti di professionisti come Salerni e Losco. «E come sempre lavoreremo pro bono», dice quest’ultimo. Trovando fortunatamente il modo di concedersi una risata su un decreto che va a colpire chi non può nemmeno pagarsi un avvocato.