Il discorso di Fedez dal palco del Primo Maggio in sostegno del ddl Zan non ha solo monopolizzato l’attenzione mediatica per giorni, ma ha anche creato una mobilitazione e un dibattito sul tema che la politica tradizionale, che dovrebbe dettare i temi ma invece li insegue, fino a questo momento non era riuscita a creare. Di fronte a ciò, è lecito porsi una domanda: gli influencer, i brand e il loro attivismo stanno riempiendo un vuoto della politica? Gli influencer fanno politica?
La risposta è “più o meno” ma anche “sempre di più”. È chiaro che politica e social media nella società contemporanea siano dipendenti l’una dagli altri e che la linea che separa le due cose negli anni si sia assottigliata sempre più – dalle piazze alla “bestia” di Salvini. Oggi la comunicazione politica si fa in una dimensione mediatica, i politici creano i propri brand personali adeguandolo alle emozioni degli elettori, i comizi di una volta si sono trasformati in dirette Facebook e la realtà in una campagna elettorale perenne. La politica è diventata, in breve, un ring digitale circondato dagli spalti, su cui spettatori sempre più divisi in “bolle” a seconda della propria opinione assistono al match cantando cori da stadio. I politici, insomma, diventano personaggi dello spettacolo.
Ma siamo proprio sicuri che, in tutto questo sistema, sia davvero la politica ad avere il controllo? Se sono costretti a farsi influencer, infatti, i politici si trovano a dover competere con gli influencer veri – e inevitabilmente rimangono indietro. Sia perché non sono bravi e seguiti come loro, sia perché sono imprigionati in un ruolo molto più impostato di loro, sia perché non possono mettere in campo le stesse tecniche di mobilitazione e la stessa costruzione di un legame emotivo con il loro pubblico.
Si arriva così a Fedez sul palco del Primo Maggio, allo scontro tra i politici social e gli influencer politici – ossia, tra i rappresentanti delle istituzioni sbarcati nell’arena dei social e gli attivisti politici senza giacca e cravatta, senza legami con i partiti e ruoli istituzionali, ma che hanno una capacità di mobilitazione molto superiore. Tra un Matteo Salvini che fa le dirette Facebook in cui prende il caffè con i suoi follower e un Fedez che fa “nomi e cognomi” di chi si oppone al ddl Zan facendo impazzire internet. Se i primi rincorrono, i secondi minacciano di banalizzare ulteriormente una politica già banale. Ma sono anche in grado di creare un dibattito vero.
Se la politica assume la forma di Amazon Prime o Netflix, finisce per trasformarsi in un grande show del politicamente corretto, in cui personalità come il cantante milanese vengono apprezzati per la loro mentalità anticonformista vs la narrazione dominante. Il gioco delle parti diventa una moral suasion: quando il clima si fa teso e la soluzione alle troppe liti o ai troppi veti nel contesto decisionale politico rimane una chimera, ecco che gli influencer politici sfruttano un potere fatto non di azioni ma di pressioni, attivismo e social media.
È questo il senso del caso Fedez dal punto di vista della comunicazione politica. Come una mamma che ricorda ai figli di trattare bene i propri amichetti, Fedez ha fatto capire agli attori della politica che se avessero continuato a impedire la costruzione di un dibattito sano sul tema ci avrebbe pensato lui, scavalcandoli. E così è stato: prima ha attaccato sul palco del primo maggio gli esponenti della Lega, colpevoli di aver ritardato la calendarizzazione del ddl Zan e di aver infierito verbalmente e moralmente per anni sulla dignità delle persone omosessuali; poi ha aperto uno scontro diretto con la Rai, accusata di “censura” per avergli “impedito di esprimersi” come voleva, in quanto artista; infine, ha inconsapevolmente fatto sapere al centrosinistra che a solo conta più di loro. Anche se, ovviamente, un like non vale quanto un voto.
Quello che si innesca quando un personaggio come Fedez, famosissimo ma estraneo alla politica, prende una posizione così netta è che la posizione stessa diviene associata al personaggio. Anche in questo caso c’è del comico: il primo contatto di Fedez con la “militanza” era avvenuto lo scorso autunno, quando Giuseppe Conte aveva chiesto aiuto a lui e a Chiara Ferragni per sensibilizzare sul tema del Covid. Insomma è la politica che tira in mezzo gli influencer e li trasforma in influencer politici, solo per poi vedersi da questi scavalcata. Conte chiama Fedez per avvicinare i cittadini alla politica, ma poi Fedez detta la sua agenda.
Da un lato, l’evoluzione della politica in spettacolo socialmediatico ha portato gli stessi politici a fare continuamente demagogia online. Dall’altro, gli influencer hanno tagliato i fili che li legavano alle aziende, mettendosi in proprio, cercando un rapporto diretto col loro pubblico che favorisce la possibilità di mobilitarlo per cause politiche. Il risultato finale è che le opinioni di milioni di persone finiscono nelle mani di influencer politici sempre più potenti – il che è un’opportunità ma anche un pericolo per la democrazia. Il J’accuse di Fedez fa paura alla politica: può essere lo strumento per rinnovarla, oppure per distruggerla del tutto.