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Il ferimento di Jacob Blake ferma l’NBA: la storia delle proteste in Wisconsin

Continuano da giorni a Kenosha gli scontri per l'afroamericano colpito alle spalle e paralizzato dalla polizia. Ora, dopo la morte di due persone per mano di un “miliziano” 17enne, anche le stelle del basket si rifiutano di giocare

Foto: KAMIL KRZACZYNSKI/AFP via Getty Images

Kenosha è una piccola città americana nello stato del Wisconsin. Ha circa centomila abitanti – come Udine, Arezzo, Pesaro, Lecce o Ancona – e si affaccia sul lago Michigan, a pochi chilometri da Milwaukee. Siamo a nord. Più su, solo foreste. Ancora più su c’è il Canada.

È domenica, tardo pomeriggio. Attorno alle 17 Jacob Blake parcheggia la sua macchina vicino ad alcune case. Con lui ci sono i tre figli di tre, cinque e otto anni. Secondo la ricostruzione dell’avvocato Benjamin Crump, Blake scende dalla macchina per interrompere una rissa tra due donne. La polizia, invece, arriverà per rispondere a un incidente domestico.

Dall’altra parte della strada c’è Raysean White: sta filmando la scena, ma non riesce a capire come sia nato il diverbio con gli agenti. Nel video che è arrivato sui giornali di tutto il mondo, Blake si avvicina alla sua macchina seguito da tre poliziotti. Non appena apre la portiera, uno degli agenti lo prende per la canottiera e gli spara sette colpi di pistola alla schiena. In macchina ci sono ancora i tre figli.

Blake viene trasportato d’urgenza all’ospedale di Milwaukee. I medici scoprono che i proiettili hanno danneggiato irreparabilmente una vertebra spinale. Ha gli arti inferiori paralizzati, non potrà più camminare.

Le proteste

L’ennesimo episodio di violenza della polizia verso un cittadino afroamericano ha innescato proteste in tutta la città. Per tre giorni molti cittadini non hanno rispettato il coprifuoco e sono scesi in strada per chiedere l’arresto dei poliziotti coinvolti. Non sono mancati episodi di violenza e vandalismo: cassonetti incendiati, auto rovesciate, negozi saccheggiati, lanci di bottiglie verso la polizia e fuochi d’artificio. Nel frattempo, in altre città degli Stati Uniti sono ricominciate le manifestazioni del movimento Black Lives Matter.

La conferenza stampa dei familiari

La mattina del 26 agosto la famiglia di Jacob Blake ha indetto una conferenza stampa. Il primo a parlare è stato il padre – «Hanno sparato a mio figlio sette volte! Sette volte, come se non significasse nulla» –, poi è intervenuta la sorella Letetra Widman. Il suo discorso è circolato molto sui social network: Widman ha parlato dei moltissimi afroamericani uccisi per motivi razziali negli Stati Uniti, e fa riferimento diretto a Emmett Till, un quattordicenne brutalmente assassinato nel 1955. «Non sono dispiaciuta. Sono arrabbiata. E sono stanca», ha detto. «Non ho pianto nemmeno una volta, ho smesso di piangere anni fa. Sono diventata insensibile. Ho visto la polizia uccidere persone come me per anni».

Il 17enne accusato di omicidio

Dopo tre giorni di proteste, Donald Trump, con l’accordo del governatore Tony Evers, invia a Kenosha 2mila uomini della Guardia nazionale, a cui si potranno unire 200 uomini delle forze dell’ordine e altri dell’Fbi, per fermare i saccheggi. In città arrivano anche delle autoproclamate “milizie” civili equipaggiate con armi, tute mimetiche, caschi e mascherine. I membri di questi gruppi si sono organizzati sui social media, dove dicevano di voler difendere la città. In realtà, il loro intervento ha alimentato le tensioni tra cittadini e forze dell’ordine. Tra questi “miliziani” c’è anche Kyle Rittenhouse, 17enne arrestato e accusato di aver ucciso due persone durante le proteste.

Nel frattempo, il procuratore generale del Wisconsin dà alla stampa il nome del poliziotto che ha sparato a Jacob Blake e annuncia l’apertura di un’indagine federale su quello che è successo. Il governatore, invece, convoca per la fine agosto una sessione legislativa speciale per ridefinire i principi di trasparenza della polizia. Gli agenti coinvolti nella sparatoria, infatti, non indossavano le telecamere diventate obbligatorie per evitare episodi di violenza eccessiva. «Il consiglio comunale di Kenosha ha approvato l’ordinanza nel 2017, ma non le hanno mai comprate», ha detto l’avvocato della famiglia Blake. «Sono nel budget… del 2022. Senza il video di un vicino, quello che è successo a Jacob sarebbe sparito nel nulla e nessun agente sarebbe stato responsabile».

Un momento storico

Sono le 22 italiane del 26 agosto. Mancano pochi minuti all’inizio dei quarti di finale dei playoff NBA tra i Milwaukee Bucks e gli Orlando Magic. I Bucks, però, sono ancora chiusi negli spogliatoi. Poco dopo, i Magic e gli arbitri lasciano il campo. La partita non si gioca. Dopo tre ore e mezzo, i giocatori di Milwaukee escono dallo spogliatoio e rilasciano una dichiarazione. È un momento che verrà ricordato nella storia dello sport. La squadra con il record NBA nella regular season, una delle candidate a vincere il titolo, boicotta l’incontro per protesta contro le violenze della polizia. «Siamo stanchi delle uccisioni e delle ingiustizie», diranno i giocatori.

La protesta si allarga. LeBron James scrive un post molto duro su Twitter, e altre squadre dell’NBA si rifiutano di giocare. Gli Orlando Magic, che tecnicamente potevano vincere  a tavolino per rinuncia dell’avversario, aderiscono al boicottaggio e accettano di rimandare la partita. Succede lo stesso nell’MLB – l’equivalente dell’NBA per il baseball –, con alcune squadre che sostengono apertamente la scelta dei Bucks.

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