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Il fine vita in Emilia-Romagna ha un presupposto fragile: l’ottimismo

La Regione guidata da Stefano Bonaccini ha stabilito tempistiche chiare per l'accesso alla pratica: 42 giorni. Ma la decisione è arrivata senza l'approvazione del Consiglio regionale, e si rischia di finire nella solita guerra senza vincitori né vinti
Stefano Bonaccini

Credits: Stefano Guidi via Getty

Insomma, in Italia è arrivato il suicidio assisto. O meglio: è arrivato in Emilia-Romagna, la prima regione ad averlo reso concretamente possibile. A livello nazionale è una chimera: è legale dal 2019, da una sentenza della Corte Costituzionale, che aveva invitato il Parlamento a intervenire con una legge, ma le Camere da allora sono immobili; e così tocca alle regioni con a cuore l’argomento arrangiarsi. Ma è difficile, si è visto nei mesi scorsi, specie a causa di barriere culturali prima che politiche, come dimostra la trasversalità delle opposizioni in merito. In Veneto, per dire, a gennaio si era andati a un passo dal voto decisivo, ma il castello di carte è crollato per interferenze di Lega, Fratelli d’Italia e non solo, con dispiacere di Luca Zaia. In Puglia, invece, gli strumenti per normare il tutto ci sono, ma non sono stati stabiliti tempi certi per attivarli e questo, di fatto, apre buchi neri nel processo. Buchi neri che poi s’inghiottono le richieste, ed è tutto inutile.

In questo senso, la vera novità dell’Emilia-Romagna non è tanto l’aver stabilito organi competenti e modalità chiare di ricorso, ma aver imposto delle tempistiche di valutazione delle richieste e risposta ai pazienti. «Abbiamo fatto quello che il Parlamento non ha il coraggio di fare», ha commentato Stefano Bonaccini, Presidente della Regione, intervistato oggi da Repubblica.

In sintesi: bisognerà mandare una richiesta all’Asl locale, che entro tre giorni dovrà passare la documentazione alla Commissione di valutazione Area Vasta; questa avrà tre settimane per visitare più volte il paziente e stabilire se rispetta le condizioni previste dalla stessa Corte Costituzionale (dal prendere decisioni libere e consapevoli all’essere tenuto in vita da trattamenti «vitali», oltre all’essere affetto da sofferenze di tipico fisico e motorio molto gravi); a quel punto, invierà un rapporto al Comitato regionale per l’etica nella clinica, che è stato istituito di proposito e a avrà sette giorni per esprimersi; da lì, la Commissione ne avrà altri cinque per formulare un parere definitivo e trasmetterlo al paziente, che così saprà se la richiesta è stata accolta o respinta. L’Asl avrà quindi una settimana per attivarsi, in maniera gratuita per il paziente. Totale: 42 giorni, «un tempo congruo», dice Bonaccini. In sé, è una rivoluzione: la certezza delle scadenze, di fatto, risolve gran parte dei problemi legati al ricorso al suicidio assistito emersi dagli ultimi casi.

Il problema è il modo in cui è arrivata questa decisione. Bonaccini non ha interpellato il Consiglio regionale, dove visti i precedenti ci si sarebbe impantanati in una lunga discussione senza vincitori né vinti. Anche la maggioranza del PD, che dovrebbe essere una garanzia, è divisa sull’argomento, com’è già successo in Veneto. Per questo Bonaccini ha adottato lo strumento della delibera, che però per sua natura è debole e, al primo cambio di giunta, potrà essere ritirato senza passare per il Consiglio regionale. Senza contare eventuali ricorsi al Tar delle opposizioni, già annunciati. Sempre sentito da Repubblica, si è detto fiducioso che la proposta di legge in merito dell’Associazione Luca Coscioni, che la Camera sta per discutere, possa andare a buon fine, e che questa sia una soluzione temporanea. «Più in generale, penso che fare 20 leggi regionali sul fine vita sarebbe ridicolo». Resta il fatto che, se queste sono le basi, con il fine vita ostaggio delle divisioni dei partiti, compresi quelli di sinistra, forse è stato un po’ ottimista.

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