Mentre la carta stampata attraversa una profonda agonia di vendite, gli stessi giornali dimostrano costantemente di non saper proporre contenuti che giustifichino la spesa per essere letti. La riprova si è avuta oggi su Repubblica dove, nell’arco di due pagine, il quotidiano è riuscito a compiere un’operazione fra le più cringe che si ricordino negli ultimi tempi. Prima traducendo le espressioni romanesche della serie di Zerocalcare e poi, come se non bastasse, spiegando il perché è sbagliato “normalizzare” nelle opere artistiche il linguaggio tipico di un autore.
A pagina 31 il pezzo dal titolo Da “accollo” a “piotta” manuale for dummies a firma di Riccardo Caponetti ha un occhiello che è tutto un programma: “Oltre i sottotitoli”. A seguire, la traduzione letterale delle espressioni più tipicamente dialettali utilizzate in Strappare lungo i bordi, la serie del disegnatore e fumettista che si trova in testa fra le preferenze del pubblico di Netflix. Perché, ci tiene a precisare l’articolo, “il sentimento di inadeguatezza e fragilità è universale” (citazione dello stesso autore), ma “se il senso generale può essere compreso allo stesso modo sia a Roma che in Giappone, chi la vedrà lontano dall’Italia – ma anche fuori dalla Capitale – potrebbe avere qualche difficoltà a cogliere se non il senso delle espressioni, la grande perizia nell’usare alcune inflessioni gergali romanesche”.
Per questo era necessario sfornare il “piccolo manuale non per comprendere la serie (comunque per i meno ferrati ci sono i sottotitoli) ma proprio per restituire la schiettezza, la spontaneità e la genuinità che Michele Rech, in arte Zerocalcare, ha messo nel suo linguaggio”. Insomma, tutti quelli che finora hanno assistito ai vari episodi – rendendoli i più visti in Italia nell’ultima settimana anche oltre Squid Game – devono essersi chiesti: quand’è che Repubblica esce con il manuale?
Puntualmente è arrivato e abbiamo finalmente scoperto che “c’hanno gonfiato come zampogne” significa esattamente che “ci hanno dato così tante botte che il viso ci si è gonfiato come fosse una zampogna”. Oppure che “stamattina c’avevo proprio altri c…i” è traducibile in “questa mattina avevo altre cose da fare”. Mentre il misterioso “te attacca una pippa”, per il quale non ci può venire in aiuto Google Translate, significa che qualcuno “ti comincia a parlare a lungo di argomenti che non ti interessano”.
Chissà l’entusiasmo dei baby boomer per aver finalmente capito fino in fondo il linguaggio di Zerocalcare. Peccato che, leccandosi il pollice intriso di piombo per voltare pagina, gli stessi si siano imbattuti in un altro pezzo (pagina 30) che propone tutta un’altra storia. Quelli che… Zerocalcare? Troppo romano spiega, infatti, che le accuse alla serie per aver mantenuto un linguaggio gergale che circolano sui social sono un errore. E Paolo Di Paolo, che lo firma, chiama in causa pezzi da novanta della letteratura: “Come scrissero Pasolini e Gadda, ecco perché quelle accuse non hanno nessun senso. Anzi, sono sbagliate”. Come mai? È presto detto: “Il Pasolini di sessant’anni fa risponderebbe che il romanesco è un dialetto molto simile al fiorentino, comprensibile in tutta Italia, nel suo insieme”.
Aggiungendo: “Odio ogni normalizzazione dall’alto, ogni finalità restrittiva e coattiva. L’Italia è linguisticamente una torre di Babele”. Non è finita, perché il tafazzismo di Repubblica non ha limiti. E Di Paolo rincara la dose: “Ma il punto è che qui non si parla di comunicazione pura, ma di un oggetto artistico. E così come sarebbe impensabile Una vita violenta di Pasolini senza il suo romanesco ‘artificiale’, altrettanto lo sarebbero un Eduardo o un Troisi normalizzati, spinti all’italiano standard, doppiati o ri-doppiati come se quella cadenza, quel modo di dire – con le sue eventuali opacità – non fosse intanto e soprattutto un modo di sentire e di vedere”. Ecco, in attesa di leggere Pasolini, Eduardo o Troisi “spinti all’italiano standard”, per ora dobbiamo accontentarci dello Zerocalcare proposto da Repubblica.