Chi attacca solo quando non ha più nulla da perdere non è coraggioso, è disperato. Non è uno “statista“ né un uomo giusto: solo un tradito, che ha deciso di scaricare tutto il suo rancore nei confronti del traditore. Questo è stato Giuseppe Conte per quei 50 minuti al Senato: un uomo debole che abbaiava all’uomo forte appoggiato fino a una settimana prima.
Il Presidente del Consiglio ha tenuto un discorso molto apprezzato dagli analisti e dagli italiani (in particolare dagli elettori di centrosinistra e del Movimento 5 Stelle), in cui, più che preannunciare le sue dimissioni, si è preoccupato di attaccare su ogni fronte il vicepremier Matteo Salvini. Lo ha accusato in ordine sparso di essere “pericoloso”, “autoritario”, “opportunista“, “inefficace“, “incosciente”. Si è scagliato contro la sua propaganda anti-immigrazione, la poca trasparenza sul caso dei finanziamenti chiesti in Russia, la richiesta di “pieni poteri” e persino contro lo sbandieramento “dei simboli religiosi”. Critiche tanto condivisibili quanto incomprensibili se fatte da lui: il rappresentante di punta del governo più carico di odio della storia repubblicana; il responsabile istituzionale dell’esecutivo più pasticciato di sempre; il firmatario delle leggi più criticate degli ultimi anni.
È bene ripassarlo, prima di infatuarci collettivamente del “nuovo” Giuseppe Conte, il periodo appena trascorso sotto la sua presidenza di governo. L’anno “bellissimo” era iniziato sulle fondamenta di un contratto di facciata tirato su da Lega e 5 Stelle, che conteneva 317 impegni. Di questi, come ha rilevato il sito di fact-checking Pagella Politica, solo una trentina sono stati mantenuti (otto solo parzialmente). I 186 provvedimenti legislativi deliberati sono stati in gran parte ratifiche di trattati internazionali. Il Parlamento, che nella propaganda grillina avrebbe dovuto riprendere il suo ruolo centrale nelle istituzioni, è stato quello che ha lavorato meno negli ultimi 11 anni: appena 1,9 leggi al mese.
Di quest’anno rimarranno sicuramente alcuni successi del governo: la riforma pensionistica con l’introduzione di quota 100, la parzialissima applicazione del reddito di cittadinanza, la legge anticorruzione, il taglio dei vitalizi.
Poi, il nulla. Ci sono state le figuracce: come la lotta con(tro) l’Europa per portare il rapporto deficit/Pil dal 2,04 al al 2,4 per cento. Ne seguì una festa dei grillini sul balcone, e una nuova retromarcia con ritorno del deficit al 2,04.
Ci sono le promesse tradite e rimaste carta straccia (o post sui social): la flat tax, la riforma delle giustizia tributaria, la revisione dei codici di procedura civile e penale, la revoca delle concessioni autostradali, i “600 mila rimpatri” di Salvini, la legge sul conflitto d’interessi tanto annunciata dai 5 Stelle, il blocco dell’Ilva, il blocco della Tap, il blocco della Tav, e il taglio dei parlamentari su cui si è giocato l’ultimo braccio di ferro tra Lega e 5 Stelle.
Più di tutto, però, dell’anno “bellissimo” di Conte rimarranno due ricordi. Primo, il decreto sicurezza-bis, definito un obbrobrio dallo stesso Alto Commissariato per i Diritti umani delle Nazioni Unite, perché “mette a rischio i diritti umani dei migranti”, “fomenta il clima di xenofobia” e “viola le convenzioni internazionali”.
Secondo, le navi lasciate in mezzo al mare. Lo stesso uomo che nei giorni scorsi si scagliava contro “l’assoluta intransigenza” di Salvini e della sua “formula dei porti chiusi”, ha per 14 mesi avallato ogni parola del suo vicepremier. Si è ben guardato dall’intervenire pubblicamente contro le frasi inqualificabili del ministro dell’Interno contro i migranti; ha assecondato le accuse (poi rivelatesi completamente infondate) dell’altro vice Di Maio nei confronti delle ong definite “taxi del mare”; ha addirittura difeso la chiusura dei porti, assumendosi ogni responsabilità per il diniego dello sbarco della nave Diciotti.
Nell’agosto di un anno fa, infatti, i 5 Stelle e Conte sostennero platealmente l’azione del Capitano Salvini. I primi, contravvenendo a uno dei punti fondanti del Movimento, votarono contro l’autorizzazione a procedere contro Salvini. Il secondo si assunse la piena responsabilità politica della scelta di bloccare la nave della Guardia Costiera in mezzo al mare. E così, grazie al suo assertivissimo silenzio, abbiamo assistito allo smantellamento degli Sprar, alla demonizzazione del sistema di Riace, alla costrizione dei migranti su una barca al largo delle nostre cose.
Ora, dopo 14 mesi e 445 giorni di governo, Giuseppe Conte dice che aveva scherzato. Non era d’accordo su niente, Salvini è l’“impresentabile” e lui il suo più fiero oppositore. Non ce la beviamo. Tra tanti anni, quando ricorderemo il governo Conte (rimarrà alla storia col suo nome, lo sappia), ricorderemo queste cose qua. E per quanto lui voglia credersi assolto, come cantava De Andrè, resterà per sempre coinvolto.