Rare altre volte la situazione del nostro Paese è stata così grave, rare altre volte è stata così poco seria. Non c’è più nulla che abbia senso nella politica di casa nostra e la settimana appena conclusa – quella di Lukaku all’Inter, dell’afa da record e della caduta del governo – ne ha fornito l’ennesima prova. I colpi di scena si sono incatenati come in una commedia di Harold Pinter, in cui momenti di ilarità e cupa minaccia si alternano senza che lo spettatore riesca a definire esattamente come si sia passati dall’uno all’altro.
Se la metabolizzazione del lutto per la fine del Conte I (non risulta siano previsti sequel) non è stata particolarmente lunga né dolorosa, in molti – quelli che non chiamano Capitano un postatore seriale di gatti, lasagne e messaggi suprematisti – ora sono giustamente preoccupati per l’ennesimo salto nel vuoto senza paracadute di questo Paese. E cercano di capire come uscire dal cul di sacco, in attesa che oggi la crisi di governo traslochi da Milano Marittima al Parlamento della Repubblica con la calendarizzazione della sfiducia a Conte.
Il dibattito verte attorno a un bivio, solo che entrambe le strade paiono al momento dei vicoli ciechi. Prima possibilità: accelerare l’implosione del nocciolo gialloverde e andare a votare al più presto. Lo vogliono Salvini, la Meloni (che finalmente potrà smettere di fare finta di stare all’opposizione), Toti (che, con quella faccia un po’ così, sta dimostrando capacità di lettura e tempismo non indifferenti) e persino Berlusconi (che Salvini pare deciso a imbarcare nonostante la sua naturale inclinazione a maltrattare chi si trova in difficoltà).
L’opzione uno ha oggettivamente parecchie controindicazioni – almeno per quelli che non chiamano Capitano l’uomo che ha trasformato la politica italiana in un mix tra un videoclip di Gianni Drudi e il Ku Klux Klan –, in estrema sintesi il fatto che si configura più la certezza che il rischio di passare da un governo di estrema destra a un altro che gli si collocherebbe parecchio più a destra. La tentazione di provare a fermare questa deriva per via parlamentare è forte e in tanti hanno indicato la via in queste ore. Alessandro Gilioli lo fa in maniera ineccepibile come sempre.
Ed ecco l’opzione due. Rompere il giochino di Salvini, nelle condizioni politiche ed economiche in cui siamo, è un tentativo di senso. Oltre a essere più che legittimo sotto ogni punto di vista, visto che le maggioranze si creano in parlamento al di là della fetida retorica di chi ci ha guidato negli ultimi 14 mesi. Sarebbe un governicchio balneare? Certo, non il primo e probabilmente nemmeno l’ultimo di un Paese nato per galleggiare nel fango in cui entusiasticamente si tuffa ogni volta che può. Il problema, semmai, è un altro. Ossia chi propone un nuovo accordo tra le forze politiche che oggi popolano Camera e Senato.
“Dobbiamo fare dei cambiamenti? Facciamoli subito, altro che elezioni. Salviamo il Paese dal restyling in grigioverde dell’establishment, che lo sta avvolgendo come un serpente che cambia la pelle”, ha scritto Beppe Grillo. Non è semplice commentare le parole del fondatore del Movimento 5 Stelle, e in generale la patetica parabola che nel giro di un paio di anni lo ha portato da istrionico santone ad afono eremita, da guardiano dell’ortodossia ai continui sgangherati tentativi di dare una legittimazione ideologica alla rottamazione di ogni principio su cui è sorta la sua setta.
Il volemose bene nei confronti del Pd – incarnazione di ogni male della politica, dalla corruzione alla mafia, dal clientelismo alla pedofilia – suona come un paradosso anche a chi è del tutto a digiuno di Ionesco, o di Game of Thrones. A maggior ragione dopo che la sua proposta è stata accolta dall’avversario più irriducibile degli ultimi anni: “Folle votare subito”, ha detto Matteo Renzi. Per tre motivi, che sono spiegati qua.
Ovviamente Matteo Renzi non ci pensa nemmeno a fare un esecutivo con i 5 Stelle. La sua è tutta tattica e dialettica interna, come sempre. Le ricostruzioni giornalistiche di queste ore lo vogliono pronto a mollare la ditta e fondare la sua nuova creatura politica, ponendo fine a mesi di cattività politica in cui la sconfitta nel Referendum e le avventate dichiarazioni su un ritiro dalle scene lo hanno confinato. Il segretario del Pd Zingaretti lo ha subito stoppato. Basterà come casus belli? Renzi romperà davvero in un modo così surreale? I tempi sono tali per cui la risposta più probabile è sì.
Da questi pulpiti arriva la proposta di prolungare la legislatura, che, al di là delle dichiarazioni di rito, potrebbe trovare non pochi consensi tra i parlamentari e i loro commercialisti. Più che un argine a Salvini e alla devastazione dei nostri conti pubblici, dunque, sembra il tentativo di mettere un filo d’ordine nella resa senza condizioni dei Cinque Stelle, il partito più avvilente della nostra storia repubblicana. E l’ennesimo regolamento di conti interno al Pd, che non fosse per i fuoriclasse nati sul Blog potrebbe tranquillamente a sua volta ambire alla palma del peggiore.
Vale la pena anche solo di parlarne a queste condizioni? Probabilmente no, probabilmente in questo ferragosto si sta solo consumando il momento in cui il teatrino dell’assurdo che è diventata la nostra gestione della cosa pubblica svela al pubblico che tutto è finzione. Solo che in questo caso, invece che farci riflettere sull’irragionevolezza di fondo della vita sulla Terra, quando il sipario cala siamo fottuti.