Nel 2014, un muscoloso uomo di mezza età dell’Ohio di nome Peter (il nome è di fantasia per tutelare la sua identità) ha cominciato a lavorare come camionista per l’industria petrolifera americana. I turni erano lunghi – usciva ogni mattina alle 3 e tornava a casa quando era già buio – ma la paga, 16 dollari l’ora, era allettante. “Questa è una zona povera”, racconta, parlando dell’area rurale dove vive. “Se qualcuno ci offre dei soldi scattiamo subito in piedi per prenderli”.
Alla guida di un camion con una cisterna da 20mila litri Peter attraversa le fattorie e i boschi sul confine tra Ohio, West Virginia e Pennsylvania, il cuore della regione che produce quasi un terzo di tutto il gas naturale degli Stati Uniti. Il suo lavoro è trasportare una sostanza salina chiamata in gergo “salamoia”, un sottoprodotto naturale dell’estrazione di petrolio e gas. Ogni anno ne vengono tirati fuori dai pozzi quasi 4000 miliardi di litri – abbastanza per sommergere Manhattan ogni giorno. La maggior parte dei pozzi produce molta più “salamoia”, ossia acqua reflua di scarto, che petrolio o gas, anche 10 volte di più. Viene raccolta in cisterne e Peter, in qualità di addetto ai rifiuti dell’industria petrolifera, la porta agli impianti di trattamento e ai pozzi di iniezione, dove viene sparata di nuovo nel sottosuolo.
Un giorno come tanti, nel 2017, Peter è andato in uno di questi pozzi di iniezione a Cambridge, Ohio. Un operaio si è avvicinato e ha camminato intorno al suo camion con in mano un rilevatore di radiazioni e gli ha detto che stava trasportando “uno dei carichi più caldi” che avesse mai visto. Era la prima volta che qualcuno diceva a Peter che la “salamoia” che trasportava era radioattiva.
La crosta terreste è piena di elementi radioattivi che si concentrano negli strati profondi da cui si estraggono petrolio e gas naturale. E durante l’estrazione, questa radioattività viene portata in superficie, per la maggiorparte trasportata dalle acque reflue.
Nella cultura pop, la radioattività è collegata a immagini di fusioni nucleari ma nella realtà viene emessa da un sacco di sostanze naturali comunissime, e solitamente non è un rischio. Molti rappresentanti del settore petrolifero amano dire che la radioattività delle acque reflue dell’estrazione di petrolio e gas è così insignificante da poter essere paragonabile a quella emessa da una banana o da una lastra di granito, così quando Peter ha chiesto al suo supervisore di dirgli esattamente a cosa stava venendo esposto, questi ha sminuito le sue preoccupazioni; gli ha detto che il liquido nella cisterna del suo camion non era più radioattivo “di qualsiasi stanza di casa tua”. Ma Peter non era convinto. “Un sacco di ragazzi si ammalano di cancro, o gli vengono pustole e lesioni della pelle che impiegano anche mesi ad andare via,” racconta. Peter stesso aveva regolarmente mal di testa e nausea, oltre che perdita di sensibilità alle dita e al volto, e “dolori articolari come se fossi in fiamme”.
Non gli è mai stata fatta alcuna lezione di sicurezza sulla radioattività, dice, e anche se da regolamento deve indossare scarpe con la suola di ferro, occhiali di sicurezza, casco e vestiti resistenti, non è obbligato ad avere un respiratore o un dosimetro per misurare la sua esposizione – e il resto dell’uniforme da lavoro non offre grandi protezioni dalla “salamoia”. “Te la ritrovi sulle mani, dentro gli stivali, dentro tutti i tagli che puoi avere – a fine giornata sei tutto bagnato da quella roba”, racconta.
Così, Peter ha cominciato a prendere dei campioni della sostanza, riempiendo i contenitori dell’antigelo o le bottiglie di Coca Cola. Alla fine nel capanno nel giardino di casa sua c’erano più di 40 campioni. Il fatto di contaminarsi ulteriormente lo preoccupava, sì, ma era convinto che per lui “il danno fosse già fatto”. E voleva risposte. “Voglio tutelarmi. Tra 10 o 15 anni, se mi ammalerò, voglio essere in grado di dimostrare che è stato per questo”.
Tramite una rete di attivisti in Ohio, Peter è stato in grado di trasferire 11 dei suoi campioni al Center for Environmental Research and Education della Duquesne University, che li ha fatti testare in un laboratorio dell’università di Pittsburgh. I risultati sono stati impressionanti.
Il radio, la sostanza radioattiva più presente nelle acque reflue, viene spesso misurato in picocurie per litro ed è così pericoloso da essere soggetto a grandi restrizioni persino nei luoghi di stoccaggio per rifiuti pericoli. I suoi isotopi più comuni sono il radio-226 e il radio-228 e la Nuclear Regulatory Commission impone che i rifiuti industriali rimangano sotto i 60 picocurie per litro per entrambi. Quattro dei campioni di Peter avevano livelli di radio sopra i 3500 picocurie, e uno arrivava a oltre 8500.
“È assurdo che agli autisti non venga detto cosa trasportano nei loro camion”, afferma John Stolz direttore del Center for Environmental Research and Education della Duquesne University. “E questa roba è ovunque. I camionisti non sanno che stanno venendo esposti a rifiuti radioattivi e non gli vengono forniti indumenti protettivi”.
“I tipi di esposizione peggiori sono respirare e ingerire quella roba”, continua Stolz. “Perché così facendo irradi i tuoi tessuti dall’interno”. Le particelle radioattive diffuse dal radio possono essere bloccate dalla pelle, ma il radio si attacca facilmente alla polvere e ciò lo rende facile da inalare o ingerire accidentalmente. Una volta dentro il corpo, i suoi effetti pericolosi si accumulano man mano che aumentano le esposizioni. È noto come “cercatore di ossa” perché può depositarsi nello scheletro e causare cancri alle ossa. Inoltre decade in una serie di altri elementi radioattivi: il primo in cui si trasforma il radio-226 è il radon, un gas radioattivo e la seconda causa di cancri al polmone negli Stati Uniti. Il radon è anche stato collegato alla leucemia. “Ogni esposizione aumenta il rischio”, afferma Ian Fairlie, un biologo e radiologo britannico. “Pensala così: a queste persone sono stati dati biglietti perdenti della lotteria e a un certo punto il loro numero uscirà e moriranno”.
I campioni raccolti da Peter sono solo una goccia. I campi petroliferi in tutti gli Stati Uniti – da quello di Bakken in Nord Dakota a quello di Parmian in Texas – producono tutti acque reflue altamente radioattive. “Tutti gli operai del settore sono esposti alle radiazioni, afferma Fairlie. Solo che non è detto che lo sappiano.
Cisterne, filtri, pompe, tubi e camion che trasportano le acque reflue degli impianti possono essere contaminati, con il radio che può raggiungere concentrazioni anche di 400mila picocurie al grammo. Con il fracking – che funziona spruzzando fluidi ad altissima pressione in profondità per rompere la crosta terrestre – arrivano in superficie pezzi di roccia, anch’essi radioattivi. Ma le acque reflue possono essere radioattive sia che arrivino dal fracking sia che arrivino dai pozzi convenzionali; i livelli variano a seconda della geologia del territorio, non dal metodo di estrazione. In Colorado e Wyoming il contenuto di radioattività sembra essere più basso, mentre in Ohio, Pennsylvania, West Virginia e New York ci sono i valori più alti. Qui il radio più arrivare in media anche a 9300 picocurie per litro, ma sono state registrate anche concentrazioni di 28500 picocurie. “Se avessi un campione di quella roba sulla scrivania e per caso mi cadesse, farei mettere tutto il palazzo in decontaminazione”, afferma Yuri Gorby, un microbiologo che ha passato gli ultimi 15 anni a studiare la radioattività per Dipartimento dell’Energia. “E se lo svuotassi nel lavandino potrei finire in carcere”.
Il boom del fracking all’inizio degli anni Duemila non ha fatto che aumentare i pericoli, inondando l’industria con un sacco di rifiuti tossici da smaltire e creando nuovi rischi di esposizione man mano che le esplorazioni si spostavano nel giardino della gente. “Anni fa i pozzi non erano vicini ai centri urbani. Oggi non c’è separazione”, spiega Elizabeth Geltman, esperta di salute pubblica per la City University of New York. Sulla cosa est degli Stati Uniti “il numero dei nuovi pozzi sta crescendo in modo astronomico”, afferma, “e si può scavare anche più vicino ai centri abitati, perché le leggi lo permettono”. Nel 2016, secondo l’Energy Information Administration, due terzi dei nuovi pozzi petroliferi estraggono tramite fracking. Negli Stati Uniti ci sono circa 1 milione di pozzi per petrolio e gas naturale, distribuiti su 33 stati, e l’aumento maggiore si registra nei luoghi con più altre concentrazioni di radioattività. E le leggi sono diventate solo meno restrittive. “I legislatori hanno creato una serie di esenzioni che permettono a questo settore di esistere”, spiega Teresa Mills del Buckeye Environmental Network, un gruppo di attivisti dell’Ohio. “Non ci sono protezioni per i cittadini, nulla”.
In un’inchiesta che ha richiesto centinaia di interviste con scienziati, attivisti ambientalisti e lavoratori del settore Rolling Stone ha scoperto una contaminazione di dimensioni enormi – scarti dell’estrazione di petrolio e gas sversati e diffusi in tutti gli Stati Uniti, causando rischi poco studiati all’ambiente, alla salute pubblica e specialmente a quella degli stessi lavoratori del settore. C’è poca consapevolezza nell’opinione pubblica rispetto a quest’enorme produzione di rifiuti, il cui smaltimento presenta pericoli enormi a ogni passaggio – dal trasporto che avviene lungo le autostrade americane su camion senza segni di identificazione particolari, gestito da lavoratori che spesso non sono informati e a cui non vengono fornite protezioni; fino allo stoccaggio in luoghi non equipaggiati per contenere la tossicità delle scorie. La “salamoia” di scarto del processo è stata persino usata come antigelo sulle strade.
“Essenzialmente, quello che fanno è prendere una riserva di radioattività sotterranea e portarla alla luce dove può contaminare le persone e l’ambiente”, afferma Marco Kaltofen, uno scienziato nucleare forense al Worcester Polytechnic Institute. “E portare alla luce questa roba è come liberare un demone”, aggiunge Fairlie. “È follia”.
L’effettiva estensione dell’impatto sulla salute di tutto ciò è sconosciuto, sopratutto perché non sono stati fatti abbastanza test. Molti medici semplicemente non sanno nulla dei rischi. Per un certo periodo, in Pennsylvania, ai medici è stato addirittura vietato di discutere dell’esposizione a sostanze tossiche causata dal fracking con i loro pazienti – una regola cancellata dalla Corte Suprema nel 2016. Inoltre, il cancro causato dall’esposizione alle radiazioni spesso emerge solo anni dopo l’esposizione effettiva, rendendo difficile l’identificazione della causa primaria. “È molto difficile”, afferma Geltman, “dire che è stata proprio l’esposizione agli scarti dell’industria petrolifera e non qualcos’altro – il fumare troppo, il bere troppo – e l’industria petrolifera è bravissima a dirti ‘te la sei cercata’”.
Ma una serie di casi legali recenti afferma che ci sia un collegamento diretto tra le malattie e l’esposizione sul lavoro. Le testimonianze degli esperti nell’ambito di decine di processi intentati da lavoratori dell’industria petrolifera della Louisiana negli ultimi decenni e arrivati a conclusione nel 2016 mostrano che gli operai del settore sono stati tutti esposti ad alti livelli di radioattività senza che lo sapessero e ciò gli ha provocato una serie di cancri, spesso mortali. Un programma di analisi sviluppato dal Centers for Disease Control and Prevention ha determinato con una certezza del 99 percento che i cancri in questione sono stati provocati dall’esposizione alla radioattività sul posto di lavoro. Marvin Resnikoff, fisico nucleare e specialista in rifiuti radioattivi che è stato chiamato a testimoniare come esperto nei casi in questione, afferma che in ciascuno di questi processi i lavoratori hanno vinto o le aziende hanno deciso di patteggiare. “Posso dirti che quest’industria ha risorse praticamente illimitate e ha assunto gli avvocati migliori, ma non ha vinto comunque”, spiega. “Perché una volta che hai le prove, sono irrefutabili”.
La radioattività nel petrolio greggio è stata scoperta per la prima volta in un pozzo in Ontario nel 1904 e la radioattività nelle acque reflue è stata scoperta all’inizio degli anni Trenta. Negli anni Sessanta, i geologici governativi degli Stati Uniti hanno scoperto la presenza di uranio negli strati di terreno da cui si estraeva il petrolio in Michigan, Tennessee, Oklahoma e Texas. All’inizio degli anni Settanta, la Exxon ha scoperto che la radioattività si stava accumulando in pompe e compressori nella maggior parte dei suoi impianti per il gas naturale. “Praticamente tutte le materie prime necessarie all’industria petrolifera contengono quantità misurabili di radionuclidi”, afferma un report mai reso pubblico del 1982, realizzato dall’American Petroleum Institute e ottenuto da Rolling Stone tramite un ex funzionario del settore.
Rolling Stone ha scoperto anche una serie di altri report interni al settore che sollevavano preoccupazioni per la salute dei lavoratori. Un documento del 1950 della Shell metteva in guardia da possibili collegamenti tra le sostanze radioattivi e i cancri alle ossa e al midollo. In un paper del 1991 gli scienziati della Chevron avrebbero affermato che “questioni come i rischi per i lavoratori e per la salute pubblica… dovrebbero essere affrontate”.
“Sanno di questa cosa almeno da quando è stato sviluppato il Gamma Ray log [una tecnica per misurare la radioattività delle rocce nella crosta terrestre] negli anni Trenta”, spiega Stuart Smith, un avvocato di New Orleans che da 30 anni si occupa di casi che riguardano l’industria petrolifera e la radioattività, argomento su cui nel 2015 ha scritto Crude Justice. Nel primo caso di cui si è occupato, nel 1986, una donna incinta di sei mesi del Mississippi era seduta sul bordo della vasca da bagno quando la sua anca si è spezzata in due. I test successivi hanno scoperto che il suolo su cui coltivava l’orto di casa era contaminato dal radio delle pompe petrolifere che il marito aveva pulito in giardino. “Loro sapevano tutto. Tutte le principali compagnie petrolifere avevano già fatto dei test per determinare esattamente i rischi a cui erano sottoposti i lavoratori”.
“Proteggere i lavoratori, gli individui e le comunità che vivono vicino a dove si estraggono petrolio e gas naturale è di primaria importanza per l’industria,” afferma Cornelia Horner, una portavoce dell’American Petroleum Institute. Ma l’organizzazione non ha risposto a domande specifiche riguardanti l’esposizione dei lavoratori del settore alla radioattività. Interrogate sul tema, ExxonMobil e Chevron avevano detto a Rolling Stone di girare le domande all’American Petroleum Institute.
Curtis Smith, un portavoce di Shell, ha affermato: “Questo argomento è parte di un processo nel corso del quale un esperto di Shell è stato recentemente chiamato a testimoniare… le nostre priorità rimangono la sicurezza dei nostri dipendenti e dell’ambiante. Anche se il rischio di esposizione a elementi radioattivi in alcune fasi delle nostre operazioni è basso, Shell ha sviluppato procedure di sicurezza per monitorare la radioattività oltre a una lista di protocolli di sicurezza da seguire in caso essa venga rilevata”.
Ma la radioattività negli scarti dell’industria petrolifera riceva ben poca attenzione da parte delle autorità americane. “Hanno messo la cosa da parte e se ne sono dimenticati”, afferma Smith, l’avvocato. Interrogato sulle regole che proteggono i lavoratori del settore dalle contaminazioni, la Occupational Safety and Health Administration del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti ha indicato una serie di documenti contenenti linee guida in materia, alcuni dei quali vecchi di oltre 30 anni. L’OSHA ha condotto “misurazione delle dosi di radiazioni esterne assimilate dai lavoratori nell’industria petrolifera”, ha spiegato un rappresentante. “L’esperienza dell’agenzia è che le dosi di radiazioni siano ben sotto i limiti” che richiederebbero un intervento regolatore.
“La Nuclear Regulatory Commission non ha giurisdizione per regolare il materiale radioattivo prodotto in modo naturale”, spiega David McIntyre, portavoce della NCR. L’agenzia ha autorità solo sui “materiali che derivano dal ciclo di produzione dell’energia nucleare”, afferma, aggiungendo che, “da quello che capisco il regolatore per i rifiuti prodotti dall’industria petrolifera è l’Environmental Protection Agency, l’agenzia di protezione ambientale”.
“Non c’è un agenzia federale che si occupi precisamente della radioattività portata in superficie dall’industria del petrolio e del gas naturale”, afferma un rappresentante dell’EPA. Di fatto, grazie a una singola esenzione che il settore ha ricevuto dall’EPA nel 1980, i sottoprodotti di scarto generati dalle attività di estrazione – tutti potenzialmente radioattivi e pericolosi per gli esseri umani – non vengono considerati rifiuti pericolosi.
Nel 1988, l’EPA si è espressa sull’esenzione – contenuta negli emendamenti Bentsen e Bevill al Resource Conservation and Recovery Act – e ha affermato che “i potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente erano limitati”, anche se l’agenzia stessa aveva trovato concentrazioni preoccupanti di piombo, arsenico, bario e uranio nei materiali di scarto dell’industria petrolifera e anche se, per sua stessa ammissione, non aveva valutato molte delle potenziali cause di rischio. Invece il report si concentrava sugli obblighi finanziari e legislativi che pesavano sull’industria, determinando che designare come pericolosi i “miliardi di barili di rifiuti” prodotti dal settore avrebbe “causato un grave impatto economico sull’industria”. In pratica l’EPA aveva stabilito che, per consentire all’industria del petrolio e del gas naturale di svilupparsi, i suoi rifiuti pericolosi non andavano considerati tali.
Per cui la responsabilità è stata lasciata primariamente ai singoli stati – e il risultato è stato un insieme di leggi datate, inconsistenti e facili da aggirare per le aziende del settore. Stando una ricerca di Getlman, dei 21 stati che producono quantità significative di petrolio e gas naturale, soltanto cinque hanno leggi per la tutela dei lavoratori e solo tre hanno regolamentazioni per la tutela della salute pubblica. E molte delle leggi e regole che esistono non sembrano essere sufficienti. Per esempio, spiega la portavoce dell’agenzia Lara Anton, in Texas – lo stato che produce più petrolio e gas degli Stati Uniti – il Dipartimento della Salute “non monitora la quantità di radiazioni assorbite dai lavoratori del settore” e i lavoratori stessi, inclusi quelli che si occupano dello smaltimento delle acque reflue, non hanno l’obbligo di indossare equipaggiamento protettivo o respiratori.
Il primo stato a passare leggi per la protezione dei lavoratori del settore è stata la Louisiana, alla fine degli anni Ottanta. “È stata l’unica questione ambientale di cui tutti mi parlavano e di cui io non sapevo nulla”, racconta il chimico Paul Temple, che in qualità di responsabile delle politiche ambientali dello stato all’epoca ha ordinato uno studio sulla radioattività provocata dall’attività petrolifera, per rimanere poi sconcertato dai risultati.
I livelli di radio negli oleodotti della Louisiana superavano anche di 20mila volte i limiti imposti dall’EPA per la radioattività nel suolo dei siti di stoccaggio delle scorie di uranio. Templet aveva inoltre scoperto che i lavoratori che pulivano le pompe dei campi petroliferi venivano ricoperti di polveri radioattive, e che le respiravano. Un uomo che era stato sottoposto a un test aveva radioattività su tutti i vestiti, nella sua auto, nel dialetto di casa sua e persino su corpo del figlio appena nato. E l’industria stava sversando rifiuti tossici nelle acque dello stato, con la radioattività che si accumulava nei crostacei. Una volta decomissionate, le tubature ancora radioattive venivano donate dall’industria e riutilizzate per costruire i parchi giochi per bambini. Templet aveva mandato ricercatori armati di contatori Geiger in tutto il sud della Louisiana: uno di questi aveva sottoposto a test un bambino che stava a contatto con un cancello fatto con vecchie tubature dell’industria del petrolio, che era così radioattivo che il bambino accumulava una dose annuale di radioattività in appena un’ora. “La gente pensava che il fatto di ricevere questi tubi gratis fosse un’ottima cosa”, afferma Templet, “ma in realtà le aziende petrolifere si stavano solo liberando dei loro rifiuti tossici”.
Temple aveva fatto introdurre delle leggi per proteggere le acque dello stato e degli standard di sicurezza più restrittivi per i lavoratori. L’impatto della notizia si era espanso a tutto il settore e il New York Times nel 1990 aveva titolato in prima a pagina Pericolo radioattivo nei campi petroliferi di tutto il paese. Nello steso anno, un altro articolo del NYT rivelava che le radiazioni rilevate nel settore “espongono le persone a livelli uguali o a volte anche superiori a quelli a cui sono esposti gli operai delle centrali nucleari” e che alcuni processi in corso “potrebbero decidere se le compagni petrolifere possono essere considerate responsabili per miliardi di dollari in spese associate alla decontaminazione e allo smaltimento di rifiuti radioattivi in migliaia di siti estrattivi di petrolio e gas naturale in tutto il paese”.
Ma il problema era presto scomparso dalle notizie. Le discussioni al riguardo erano rimaste per la maggior parte confinate nei report dei regolatori. Persino negli ambienti accademici era un argomento poco considerato. “Non ci sono corsi che insegnino questo”, spiega Julie Weatherington-Rice, una scienziata dell’Ohio che lavora per l’azienda di consulenza ambientale Bennett & Williams e che si occupa di rifiuti tossici prodotti dal settore petrolifero da più di 40 anni.
L’assenza di ricerca e specializzazione sul tema fa sì che sia difficile raggiungere un consenso sui rischi e rende più facile il diffondersi della disinformazione sul tema. C’è la percezione che dato che la radioattività nel settore è di origine naturale essa sia meno pericolosa (l’industria e i regolatori chiamano i rifiuti dei processi estrattivi con l’acronimo NORM, “naturally occurring radioactive material”, o TENORM, “technologically enhanced naturally occurring radioactive material” per le concentrazioni di radioattività che si accumulano negli strumenti di lavoro quali camion e pompe). Ma gli esperti di radioattività sentiti da Rolling Stone hanno detto che usare il fatto che sia “naturale” come scusa è sbagliato. “Non ha senso,” afferma Kaltofen. “Anche l’arsenico è completamente naturale, ma credo che non mi consentiresti di metterlo nel tuo pranzo”.
Mentre per la storia della banana – l’idea che nei rifiuti prodotti dall’industria petrolifera ci sia meno radioattività che in una banana – “mi sembra una cazzata”, dice Kaltofen. Perché si tratta di due tipi diversi di radiazioni: il potassio-40 delle banane emette prevalentemente particelle beta che praticamente non interagiscono con il corpo umano; il radio invece emette particelle alfa che sono migliaia rivolte più potenti e che possono causare mutazioni cellulari. Kaltofen fa questo paragone: “è la differenza tra prendere un proiettile e tirartelo contro oppure prendere un proiettile, metterlo in una pistola e spararti. Una delle due cose può farti davvero male”.
Uno studio molto citato del 2015 sui rifiuti TENORM condotto dal Department of Environmental Protection della Pennsylvania ha determinato che questi hanno “potenzialmente un impatto radiologico sull’ambiente” ma ha concluso che c’è “un rischio limitato per quanto riguarda l’esposizione alle radiazioni dei lavoratori e del pubblico”. Ma Resnikoff, il fisico nucleare, ha scritto una critica di quel report dicendo che ha sottovalutato la radioattività del gas radon, male interpretato le informazioni sul radio e ignorato i ben documentati rischi per la salute che risiedono nell’inalare o ingerire polveri radioattive.
L’estate scorsa Bemnet Alemayehu, un fisico specializzato nell’effetti della radioattività sulla salute che lavora per il Natural Resources Defense Council, ha visitato alcuni campi petroliferi in West Virginia e Pennsylvania per conto di Rolling Stone, prendendo diversi campioni tra cui anche campioni delle stesse acque reflue trasportate da Peter. Il report di Alemayehu uscirà nei prossimi mesi ma dalle conclusioni preliminari ha affermato che “stando ai dati che ho, alcuni lavoratori dell’industria petrolifera” – tra cui quelli impiegati nel trasporto e nella manutenzione come Peter – “dovrebbero essere considerati laboratori a contatto con la radioattività”.
I camionisti che si occupano di trasportare le acque reflue sono dei fantasmi. Nessuna agenzia statale o federale sembra sapere quanti camionisti come Peter ci siano negli Stati Uniti, da quanto tempo lavorino, quanta radioattività si sia accumulata nei loro corpi.
Ma il Dipartimento dei Trasporti ha giurisdizione sulle strade e ci sono regole precise per il trasporto dei materiali pericolosi. Ogni camion con un carico che supera il limite di radioattività imposto dal Dipartimento dei Trasporti deve per legge mostrare un cartello con il simbolo della radioattività, rispettare regole precise per il trasporto di sostanze radioattive, fornire un addestramento specifico al guidatore e viaggiare solo su strade ben precise. “Il che vuol dire non viaggiare vicino a vie d’acqua o fonti d’acqua potabile, su strade che attraversano zone molto popolose, su strade su cui si affaccia una scuola”, spiega un portavoce del Dipartimento dei Trasporti.
Secondo Resnikoff un camion standard adibito al trasporto delle acque reflue dell’industria petrolifera in Pennsylvania supera di sei volte il limite di radioattività imposto dal Dipartimento dei Trasporti e di oltre 1000 volte il limite alla radioattività contenuta nei rifiuti imposto dalla Nuclear Regulatory Commission. Il che vuol dire che il lavoro che fa Peter è illegale. “Non c’è nessuna regola specifica che impedisce loro di farlo”, afferma il portavoce del Dipartimento dei Trasporti. Perché i test, spiega, sono responsabilità dell’operatore del pozzo petrolifero che dà le acque reflue al trasportatore, e quindi il sistema si basa sull’autocertificazione.
Ted Auch, un analista che lavora per il gruppo di attivisti FracTracker Alliance, stima che ci siano almeno 12mila camion che trasportano acque reflue solo in Ohio, Pennsylvania e West Virginia. Dice di non averne mai visto uno provvisto di cartello di avvertimento sulla radioattività. “Ci sono un sacco di casi di incidente,” afferma Auch. Nel 2016 uno di questi camion si è capovolto fuori da una curva a Barnesville, Ohio, sversando quasi 20mila litri di rifiuti. Le acque reflue sono scolate in campi utilizzati per l’allevamento del bestiame, sono entrate nelle riserve idriche cittadine e hanno costretto la città a interrompere temporaneamente l’erogazione dell’acqua. (Il limite di radio fissato dall’EPA per l’acqua potabile è di 5 picocurie al litro). In un altro incidente del 2014 a Lawrence Township, Ohio, un camion carico di acque reflue si è ribaltato oltre un guardrail, è rotolato giù da una collina e ho investito una casa.
Nella cittadina di Torch, Ohio, la professoressa elementare Felicia Mettler ha co-fondato Torch CAN DO, un gruppo di volontari che monitora gli incidenti e le perdite che interessano i camion addetti al trasporto delle acque reflue. Un impianto di iniezione della zona riceve più di 100 camion al giorno, più o meno uno ogni quarto d’ora. “Per questo è così importante documentare tutto”, spiega. “Non penso che ci fermeremo oggi, non penso che ci fermeremo nemmeno tra cinque anni, perché un giorno tutto questo sarà utile”.
Anche quando non fanno incidenti, i camion sono un potenziale pericolo sanitario. I guidatori si riuniscono spesso in alcuni ristoranti o piazzole di sosta dove può capitare di vedere anche una decina di camion per il trasporto delle acque reflue parcheggiati uno accanto all’altro, spiega Randy Moyer, ex camionista che la lasciato il lavoro quando ha cominciato ad avere rash cutanei su tutto il corpo dopo appena quattro mesi. “Avverto sempre le cameriere che servono i guidatori di questo tipo di camion”, spiega Gorby, perché possono inavvertitamente diffondere particelle di polvere piene di radio ovunque vanno. “La comunità scientifica internazionale è d’accorod sul fatto che non ci sia una soglia di sicurezza precisa per le radiazioni”, afferma Resnikoff. “Ogni esposizione, anche la più piccola, aumenta il rischio di cancro”.
In Pennsylvania, i regolatori hanno rivelato nel 2012 che per almeno sei anni una compagnia di trasporto ha sversato illegalmente acque reflue in una miniera abbandonata. Nel 2014, Benedict Lupo, proprietario di una compagnia che smaltisce i rifiuti del fracking a Youngstown, Ohio, è stato condannato a 28 mesi di carcere per aver detto ai suoi dipendenti di sversare decine di migliaia di litri di acque reflue in un canale di scolo, a sua volta collegato a un affluente del fiume Mahoning. Anche se laghi e fiumi sono in grado di diluire il radio, ricercatori hanno scoperto che in canali e corsi d’acqua più piccoli il radio finisce per accumularsi nei sedimenti fino a raggiungere livelli di radioattività centinaia di volte più alti dei limiti imposti ai siti di stoccaggio delle scorie nucleari. Inoltre il ricercatore texano Zac Hildenbrand ha scoperto che le acque reflue contengono benzene, metalli pesanti e tutto un insieme di altre sostanze chimiche pericolose. “È una delle miscele più complesse e tossiche sul pianeta”, afferma.
Il canale in questione nel caso Lupo era “privo di organismi viventi” dopo la contaminazione. Ma più a valle, nessuno aveva notificato le autorità incaricate di monitorare la qualità dell’acqua o condotto test per cercare la radioattività, afferma Silverio Caggiano, un veterano con 40 anni di lavoro per i vigili del fuoco di Youngstown e un esperto di materiali pericolosi. “Se beccassimo un terrorista dell’ISIS che versa questa roba nelle nostre falde acquifere lo processeremmo per terrorismo e per uso di armi di distruzione di massa”, afferma Caggiano. “Invece l’industria petrolifera non subisce conseguenze”.
In Ohio, le leggi che consentono alle comunità locali di controllare le attività estrattive sono state eliminate una ad una negli ultimi vent’anni. Un emendamento a una legge di bilancio statale del 2001 ha esentato l’industria estrattiva dall’obbligo di condividere rilevanti informazioni sulla sicurezza con i vigili del fuoco e la protezione civile. “Un camion carico di acque reflue destinate a essere iniettate nel terreno è il peggio del peggio”, afferma Caggiano. “E passa dalle nostre autostrade, dai nostro quartieri, vicino alle nostre case e alle nostre scuole. I guidatori non hanno nessun tipo di formazione su come gestire i materiali pericolosi che trasportano e non hanno neanche un pezzo di carta che dica ai pompieri o alla protezione civile che cosa stanno trasportando. È spaventoso”.
Nell’estate del 2017, Siri Lawson ha notato un gruppo di ragazze Amish che camminavano sul ciglio di una strada vicino alla fattoria in cui viveva con suo marito a Farmington Township, in Pennsylvania. Le ragazze si erano tolte le scarpe e stavano camminando a piedi nudi. Lawson era sconvolta. Sapeva che la strada era stata lavata poco tempo prima usando acque reflue dell’industria estrattiva.
I rifiuti radioattivi dell’industria petrolifera vengono sparsi sulle strade in tutto il paese, apposta. Le aziende del settore si disfano delle acque reflue regalandole alle cittadine che le usano come soluzione salina per evitare che d’inverno le strade gelino e, d’estate, per ridurre la polvere che si alza dalle strade non asfaltate.
Questo utilizzo per le acque reflue è legale in 13 stati, tra cui figurano il Nord e il Sud Dakota, il Colorado, la maggior parte degli stati del Midwest e New York. Solo nel 2016 sulle strade della Pennsylvania sono state sparsi oltre 40 miliardi di litri di acque reflue, per il 96 percento nelle strade di cittadine del remoto angolo nordovest dello stato, dove vive Lawson. La maggior parte delle acque reflue vengono sparse d’estate per controllare la polvere, afferma Lawson, e i contractor le ritirano direttamente ai pozzi petroliferi. In una singola giornata nell’agosto 2017, sono stati sparsi oltre 50mila litri di acque reflue radioattive.
“Dopo che hanno fatto questo trattamento vicino a casa mia, ho avuto problemi di salute”, si legge nell’azione legale intentata da Lawson contro lo stato della Pennsylvania nel 2017. “Per circa 10 giorni, specialmente quando andavo vicino alla strada, avevo un bruciore terribile agli occhi, al naso e ai polmoni. La mia lingua si è gonfiata e mi sono venuti i polipi nel naso tanto che non riuscivo a respirare”.
L’industria petrolifera ha “trovato un modo legale di liberarsi dei suoi rifiuti”, afferma Lawson, che oggi ha 65 anni e che un tempo lavorava come addestratrice di cavalli, ma che oggi non è più in grado di cavalcare per problemi di salute. Seduta nel suo salotto, circondata dalle foto che scattato per dimostrare la contaminazione – che mostrano acque reflue che sgocciolano ai lati della strada, con una donna Amish che si solleva il vestito per evitare di bagnarlo – racconta che le acque reflue sono sparse regolarmente su strade che corrono tra campi di mais, pascoli e boschi di aceri da cui viene estratto lo sciroppo che poi si vende al mercato locale.
“Non esiste nessuno rimedio per il problema”, spiega Avner Vengosh, geochimica della Duke University. “L’alta radioattività nel suolo di questi luoghi rimarrà per sempre”. Il radio-226 ha un tempo dimezzamento di 1600 anni. Il livello in cui si immagazzina nei prodotti agricoli che crescono su suolo contaminato non è noto, perché non è mai stato studiato in modo adeguato. “Non è mai stata fatta troppa ricerca su questo tema”, spiega Bill Burgos, un ingegnere ambientale della Penn State University e co-autore di un paper del 2018 su Environmental Science & Technology che ha esaminato gli effetti sulla salute dello spargimento di acque reflue sulle strade. Le agenzie regolatrici difendono la pratica affermando che sulle strade vengono sparse solo le acque reflue che provengono dai pozzi convenzionali, non quelle che provengono dal fracking. Ma in quanto a radioattività non c’è nessuna differenza, e il paper di Burgos ha scoperto che le acque reflue utilizzate contenevano non solo radio ma anche cadmio, benzene e arsenico – tutte sostanze cancerogene – oltre al piombo, che causa danni ai reni e al cervello.
E dato che si attacca alla polvere, il radio “può venire diffuso dalle auto che passano e inalato dalle persone”, ha scritto Resnikoff in un report del 2015. Le ricerche hanno anche mostrato che usare le acque reflue per contenere la polvere non è solo pericoloso ma anche inutile. “C’è una totale assenza di dati riguardo all’efficacia della pratica”, si legge in uno studio del 2018 pubblicato dall’European Scientific Journal. Anzi, nota lo studio, la pratica “potrebbe essere addirittura controproduttiva per il controllo della polvere”. Per dirla con le parole di Lawson, “il fatto che funzioni è un mito, dopo che ci versano le acque reflue le strade sono ancora più polverose di prima”.
Ma la nuova parola d’ordine dell’industria estrattiva è “uso positivo” – trasformare gli scarti in prodotti commerciali, come ad esempio liquidi antigelo. Nel giugno 2017 un ufficiale del Dipartimento delle Risorse Naturali dell’Ohio è entrato in un negozio di Akron e ha comprato una confezione di un antigelo blu chiamato AquaSalina, fatto con le acque reflue dei pozzi di petrolio. Il prodotto era usato per le terrazze delle case, i marciapiedi, le strade. L’etichetta lo definitiva “sicuro per l’ambiente e per gli animali domestici”. Un lavoratorio statale ha scoperto che AquaSalina conteneva radio a livelli pari a 2491 picocurie per litro. Stolz, lo scienziato della Duquesne University, ha fatto testare il prodotto autonomamente e ha trovato livelli di radio pari a 1140 picocurie al litro.
AquaSalina contiene acqua di mare del Paleozoico, vecchia di 400 milioni di anni” che “contiene un perfetto equilibrio naturale di cloruri adatti al trattamento di ghiaccio e neve”, ha detto a Rolling Stone Dave Mansbery, proprietario di Duck Creek Energy, l’azienda dell’Ohio che produce AquaSalina. “Noi ricicliamo e riutilizziamo quest’acqua naturale per altri scopi”. A una stazione radio locale ha raccontato che quando gli fanno male i piedi li puccia in AquaSalina.
Mansbery ha detto di aver sottoposto il prodotto a un test per i metalli pesanti e di non aver trovato niente di problematico. Quando gli è stato chiesto se l’avesse anche testato per elementi radioattivi ha risposto che “conduciamo i test richiesti dalla legge dello stato e dalle agenzie regolatrici”.
“Ogni volta che spargi questa soluzione sul tuo terrazzo di base stai causando una piccola perdita di materiale radioattivo”, afferma Vengosh, il geochimico, che ha esaminato AquaSalina. “Se la usi nello stesso posto più volte, alla fine avrai una concentrazione radioattività che si sedimenta nel suolo e che può creare una zona morta dal punto di vista ecologico”. Ma il Dipartimento della Salute dell’Ohio ha concluso che AquaSalina rappresenta “un rischio radiologico per la salute trascurabile”.
“Leggendo il loro studio è come mangiare una banana alla settimana”, afferma Mansbery. “Scusate se AquaSalina non rientra nella narrativa di elezione dei tanti che odiano l’industria petrolchimica”.
Per stessa ammissione del suo vicepresidente Jay Wallerstein, CPI Road Solutions, un’azienda di Indianapolis che si occupa di gestione della neve e del ghiaccio sulle strade, vende centinaia di migliaia di litri di AquaSalina ogni inverno al Dipartimento dei Trasporti della Pennsylvania. I sostenitori dell’azienda e del prodotto affermano che questo è stato approvato dai Pacific Northwest Snowfighters, l’organizzazione più rispettata del paese quanto a valutare i prodotti antigelo. Ma Jay Wells, rappresentante dei Pacific Northwest Snowfighters, ha affermato che il gruppo “non ha testato AquaSalina per la presenza di elementi radioattivi” e che “il radio-226 non viene rilevato dai test standard a cui vengono sottoposti i prodotti antigelo”.
Nel mentre, l’Ohio sta per passare una legge per proteggere la pratica dello spargimento di acque reflue. La proposta di legge ridurrebbe le leggi di salvaguardia ambientale rendendo più facile sviluppare prodotti come AquaSalina. In Pennsylvania, la causa intentata da Lawson ha portato lo stato a riconoscere che lo spargimento di acque reflue viola le leggi ambientali dello stato e la pratica è stata sospesa l’anno scorso. Ma anche qui due proposte di legge alla Camera e al Senato hanno cercato di dare di nuovo il via libera allo spargimento di acque reflue e di ridurre le capacità del Dipartimento per la Protezione Ambientale di testare i prodotti sviluppati a questo scopo. Lo scorso ottobre il Senato dello stato ha passato una delle leggi in questione senza nemmeno discuterla e adesso sta tutto nelle mani della Camera.
Un giorno di sole del settembre 2018 ho incontrato Kerri Bond e sua sorella Jodi presso un pozzo di iniezione vicino a un centro commerciale a Guernsey County, Ohio. Mentre le persone cenavano nei fast food o compravano l’ultimo iPhone, una fila di camion scaricavano acque reflue in grandi cisterne dove avrebbero atteso il momento in cui sarebbero state iniettate di nuovo nel terreno. Le due sorelle, entrambe infermiere, erano cresciute tra i canali e i boschi della zona. “Era una specie di Shangri-la”, mi racconta Kerri. Nel 2012 un’azienda del settore dello smaltimento aveva organizzato una riunione nella chiesa della cittadina. “Hanno detto a tutti che sarebbero diventati milionari. Le persone si davano i cinque a vicenda”. I residenti avevano firmato dei documenti che davano il permesso alla Antero Resources, un’azienda dell’energia di Denver, di cominciare a fare fracking sul territorio della cittadina. Come molte altre persone che vivono vicino ai siti di fracking, non appena erano cominciate le operazioni di perforazione e lo stoccaggio di sostanze chimiche tossiche nella zona, Kerri e Jodi avevano cominciato presto ad accorgersi che c’erano dei problemi.
Gli animali della fattoria di Kerri aveva cominciato a morire – due gatti, sei galline e un gallo. Una pecora aveva partorito due agnelli che le teste siamesi. Gli alberi cominciavano ad appassire e morire. Una sera Kerri aveva guardato un documentario sulle foreste radioattive di Chernobyl e aveva riconosciuto il panorama in quello della zona. Allora aveva comprato un rilevatore di radiazioni su Amazon e aveva cominciato a registrare nel suo giardino valori da tre a sette volte superiori alla norma per l’Ohio. Nel 2016, un membro del Dipartimento della Salute dell’Ohio era andato a farle visita e le aveva detto di non preoccuparsi perché bastava non venire esposti regolarmente a questi livelli di radiazione. “Senti, noi qui ci viviamo”, gli aveva risposto.
Per la sua geologia e la legislazione favorevole l’Ohio è diventato lo stato preferito per i pozzi di iniezione. In Pennsylvania ce ne sono una decina, in West Virginia circa 50. In Ohio ce ne sono 225. Il 95 percento delle acque reflue sono state smaltite qui tramite iniezione. Gli scienziati governativi hanno collegato sempre di più la pratica ai terremoti e l’opinione pubblica è sempre più sospettosa nei confronti dei pozzi di iniezione. Eppure l’enorme quantità di acque reflue da smaltire vuol dire che ogni giorno vengono emessi nuovi permessi per farlo e che l’industria costruisce nuovi impianti per trattare i liquidi di scarto così da rimuovere gli elementi tossici e radioattivi così da poterli riutilizzare nel fracking.
In Ohio, la costruzione di questi impianti di trattamento non è preceduta da nessuna riunione delle comunità locali, che spesso non sanno nemmeno della loro esistenza, e il Dipartimento della Salute dello stato non conduce monitoraggi regolari. Sono sotto l’esclusiva giurisdizione del Dipartimento delle Risorse Naturali dell’Ohio.
Per stoccare rifiuti radioattivi, o per riciclare, trattare, processare e smaltire le acque reflue, le aziende devono semplicemente presentare una domanda che viene valutata dal capo del Dipartimento delle Risorse Naturali. All’interno della domanda, le aziende devono presentare un piano di protezione dalle radiazioni e Steve Irwin, portavoce del Dipartimento delle Risorse Naturali, afferma che tutti gli impianti sono soggetti a periodiche ispezioni. Ma le protezioni per i lavoratori e la conoscenza dei rischi sembrano essere quantomeno carenti.
Nel 2014 in un impianto gestito dalla EnviroClean Services, un’azienda oggi non più esistente che aveva ricevuto l’approvazione del Dipartimento delle Risorse Naturali, gli ispettori avevano scoperto che i dipendenti non avevano alcuna conoscenza delle procedure di sicurezza sulle radiazioni, lavoravano senza equipaggiamento protettivo, non tenevano registri o documentazione sui rifiuti che ricevevano e che trattavano e non avevano alcuno strumento per misurare la radioattività salvo un contatore Geiger che non era mai stato usato. Nel rapporto dell’ispezione, alla voce “valutazione della comprensione individuale delle procedure di sicurezza sulle radiazioni” si legge “impossibile valutare – non sono state usate procedure di sicurezza di sorta”.
Lo scorso aprile, in un ristorante vicino a una piazzola di sosta per camionisti in West Virginia, ho incontrato Cody Salisbury, un dipendente di un impianto di trattamento per i rifiuti dell’industria estrattiva. Salisbury mi ha raccontato di aver lasciato Las Vegas da ragazzino e di aver fatto il barista in giro per gli Stati Uniti prima di finire a lavorare nei campi petroliferi del Texas. Oggi sta lavorando all’espansione di un impianto per il trattamento dei rifiuti e ha già aiutato a costruirne altri due in Ohio. All’apertura del primo, che si trova a poche centinaia di metri da un asilo, era presente il senatore dell’Ohio Rob Portman, che ha applaudito la deregolamentazione che aveva reso possibile tutto ciò.
Salisbury e tutti gli altri operai degli impianti in cui lavora indossano dosimetri, che misurano l’esposizione alle radiazioni, mi dice, e che hanno sempre registrato valori bassi. La maggior parte degli impianti di smaltimento dell’Ohio forniscono dosimetri ai loro dipendenti, spiega un rappresentante del Dipartimento delle Risorse Naturali, e non ci sono mai stati casi di lavoratori che venissero esposti a valori superiori al limite annuale. Ma i dosimetri, afferma Kaltofen, non registrano le particelle alfa – il tipo di radiazioni emesso dal radio – e non sono in grado di misurare quello che una persona ha inalato o ingerito.
“Queste persone vanno molto fiere del loro lavoro”, spiega Weatherington-Rice. “e lavorano con questa roba e poi vanno a casa e ce l’hanno sui vestiti – possono contaminare anche le loro famiglie. Funziona così”.
Ho chiesto a Salisbury se lui i suoi colleghi devono indossare abbigliamento anti-radiazioni e lui ha scosso la testa: “Non c’è abbastanza radioattività dentro, non ho neanche mai visto nessuno con un respiratore”. Quando gli ho chiesto se fosse preoccupato per il radon, mi ha detto di non averne mai sentito parlare. “C’è più radioattività in una sigaretta o in una banana o in una lastra di granito”, mi ha detto.
Persino negli impianti considerati il meglio del meglio ci sono rischi. Peter, il trasportatore di acque reflue, mi ha raccontato dell’impianto Clearwater in West Virginia, una struttura per il trattamento dei rifiuti prodotti dal fracking costata 300 milioni di dollari, completata nel 2018 e gestita in partnership da Antero e da Veolia, un’azienda francese che si occupa di gestire rifiuti e acque reflue. Kevin Ellis, un vicepresidente della Antero, ha descritto l’impianto come “il miglior progetto del genere al mondo. Punto”.
Ma lo scorso settembre, dopo meno di due anni di attività, l’impianto è stato messo in pausa per via di una diminuzione improvvisa del prezzo del gas. L’anno scorso, prima della chiusura, Peter ed io ci siamo andati. Mentre ci avvicinavamo, abbiamo visto dense nubi di fumo bianco-grigio alzarsi da una serie di torri di raffreddamento. Un report presentato dall’impianto ha mostrato che le emissioni prodotte dalle vasche di trattamento venivano immesse nell’atmosfera dopo essere state passate per un ossidante termico, uno strumento che è in grado di distruggere molte sostanze inquinanti pericolose – ma non il radon, afferma Resnikoff.
Né Veolia né Antero hanno risposto quando abbiamo chiesto loro se conducessero dei test della radioattività su questi fumi. Quando abbiamo chiesto se l’agenzia stesse monitorando le aziende al riguardo, Casey Korbini del Dipartimento per la Protezione Ambientale del West Virginia ci ha detto che “i permessi emessi dal Dipartimento seguono i regolamenti statali e federali sulla qualità dell’aria e i radionuclidi non sono una sostanza inquinante indicata in questi regolamenti”. Ha poi aggiunto: “questo non vuol dire che i radionuclidi siano proibiti, vuol dire semplicemente che non sono regolati”.
“Figlio di puttana, è carico”, ha esclamato Jack Kruell una sera piovosa della scorsa primavera. Kruell, un contractor 59enne, stava guardando un camion diretto al Westmoreland Sanitary Landfill, in Pennsylvania, poco lontano dalla sua casa a Belle Vernon, vicino a Pittsburgh. La discarica ha cominciato ad accettare rifiuti prodotti dal fracking nel 2010.
L’ultima tappa del ciclo vitale di buona parte dei rifiuti solidi radioattivi prodotti dalle attività estrattive, come la roccia e le parti solide e oleose che vengono filtrate via dalle acque reflue, è una discarica. Kruell ha un paio di contatori Geiger nella cucina di casa per monitorare i livelli di radioattività, regolarmente sopra la norma.
Impianti come il Westmoreland Sanitary Landfill trattano gli scarti dell’industria estrattiva mescolandoli ad altri rifiuti meno radioattivi in modo da ottenere dell’immondizia con un contenuto di radioattività abbastanza basso perché possa essere accettata da qualche discarica. Altrimenti devono mandare gli scarti a una discarica specializzata in rifiuti radioattivi in Utah, spiega Troy Mazur, un esperto di sicurezza e radioattività dell’Austin Master Services, un impianto di trattamento di questo tipo a Martin’s Ferry, in Ohio. “Vorrei non parlare troppo dei nostri processi interni”, spiega Mazur. “Ci sono rifiuti che vanno direttamente a siti di stoccaggio per i rifiuti radioattivi. Dipende tutto da fattori economici”.
Un report del 2013, di cui Resnikoff è co-autore, ha calcolato che inviare gli scarti solidi dei processi estrattivi ai siti di stoccaggio per rifiuti radioattivi può causare un aumento dei costi anche del 100 percento, per cui le aziende sono economicamente incentivate a disfarsi dei loro rifiuti tramite le comuni discariche. Una lettera da un ex impiegato del Westmoreland Sanitary Landfill – diventato un whistleblower – a uno dei vicini di Kruell, inviata lo scorso aprile, citava “numerose violazioni delle regole del Dipartimento per la Protezione Ambientale” e “lo sversamento di materiali di scarto de processi di fracking con radioattività oltre i limiti legali”.
L’azienda “sta cercando di violare le regole più che può”, aggiungeva la lettera. “Vi scrivo perché so che tutto ciò sta avendo un impatto sulla vostra qualità della vita e voglio che lo sappiate”. Il Westmoreland Sanitary Landfill non ha risposto alle richieste di commento sollecitate da Rolling Stone.
Ma ciò che più preoccupa Kruell è la polvere metallica che ha notato accumularsi sui cespugli e sul prato del suo giardino, e i dolori che gli vengono nei giorni successivi a quando taglia l’erba. “Il giorno dopo che taglio l’erba, mi fanno male le ossa talmente tanto che non mi riesco a muovere”, racconta. “È come se qualcuno mi trapanasse le ossa”.
“Queste sono le persone per cui mi preoccupo di più”, spiega Weatherington-Rice, perché metalli come il radio possono legarsi facilmente con la polvere e venire inalati. “Lo metti in cima alla discarica, il vento ci passa sopra e lo trasporta, e cosa pensi che succeda a quel punto?” chiede. “I metalli radioattivi e altri metalli pesanti finiscono per depositarsi nelle comunità e nelle persone della zona. Sono cose pericolose e che ti uccidono dopo che si sono depositate oltre una certa soglia dentro di te”.
In West Virginia ci sono almeno cinque discariche che accettano i rifiuti solidi prodotti dalle attività estrattive. Altre cinque sono nello stato di New York, 10 in Ohio e 25 in Pennsylvania. La maggior parte di questi rifiuti solidi proviene da attività di fracking e può essere radioattiva. “Non abbiamo mai sotterrato grandi quantità di rifiuti che sapevamo contenere anche solo un basso livello di radioattività nelle discariche normali progettate per i rifiuti comuni”, ha scritto Bill Hughes, che per 15 anni ha supervisionato la discarica municipale della contea di Wetzel in West Virginia, in una lettera al Dipartimento per la Protezione Ambientale dello stato. I pericoli insiti nel farlo, ha detto, “non possono essere davvero noti per generazioni”. Quando l’ho incontrato nel 2018, Hughes – che nel frattempo è deceduto – mi ha detto che il problema riavere a che fare con i rifiuti solidi radioattivi dell’industria petrolifera stava nell’abitudine delle agenzie statali di “chiudere un occhio”. “Non sapevano veramente come regolamentare la questione”.
Gli scarichi che passavano attraverso il Westmoreland Sanitary Landfill, che si chiamano “percolati”, scorrevano in discesa attraverso una fognatura e arrivano nell’impianto per il trattamento delle acque reflue di Belle Vernon, spiega il sovrintendente Guy Kruppa, dove uccidevano i microbi necessari per il trattamento dei liquami. Il suo impianto, spiega, non è in grado di rimuovere la radioattività. Ciò significa che mentre il suo impianto riceveva il percolato contaminato le acque reflue non venivano trattate nel modo corretto e la radioattività si riversava nel fiume Monongahela, che attraversa il centro di Pittsburgh.
“In pratica questo impianto è un permesso per inquinare,” afferma Kruppa. “Un assegno in bianco per gettare tutto nel fiume, perché noi non facciamo i test per quella roba e non dobbiamo nemmeno farli. È una scorciatoia legale. Hanno trovato un modo per mandare in discarica rifiuti solidi che nessun altro accetterebbe e un modo per disfarsi dei rifiuti in forma liquida. Di base siamo i più stronzi di tutto il settore del fracking”.
Truppa ha cercato per mesi di far sì che il Dipartimento per la Protezione Ambientale facesse qualcosa al riguardo, ma senza successo. “Il Dipartimento non ha alcuna prova che confermi il fatto che nel percolato contiene metalli pesanti o elementi radioattivi” afferma la portavoce del Dipartimento Lauren Fraley. L’agenzia non è preoccupata del fatto che il percolato finisca nei fiumi della Pennsylvania. A suo dire, il Dipartimento ha concluso che “non c’è un rischio immediato o significativo per la salute umana o per l’ambiente, considerato l’enorme volume di acqua nel fiume” in cui il percolato viene immesso.
Ma lo scorso maggio, un giudice della contea ha ordinato alla discarica di smettere di far arrivare il percolato all’impianto di trattamento delle acque reflue. E in realtà ci sono rischi anche quando la contaminazione viene diluita in un fiume con un grosso volume d’acqua. Uno studio del 2018 ha scoperto che nel fiume Allegheny, sempre in Pennsylvania, i rifiuti dell’industria estrattiva si accumulavano nei crostacei.
“Siamo buttando cose nel fiume e non sappiamo cosa stiamo facendo, è possibile che stiamo mettendo a rischio le persone”, sostiene Kruppa. “Certe volte mi sembra di essere l’unico a preoccuparsene e che tutti quanti, incluso il Dipartimento per la Protezione Ambientale, stiano voltando la testa dall’altra parte e dicendo che non ci sono problemi”.
Nonostante tutti i gravi avvertimenti sul tema dei cambiamenti climatici, l’industria estrattiva statunitense sta attraversando un boom, quello che il Dipartimento dell’Energia ha definito in un paper del 2018, un “rinascimento della produzione di petrolio e gas naturale”. Oleodotti, gasdotti, impianti di produzione e trasporto vengono costruiti a ritmo forsennato in tutto il paese.
Ma la frenesia causata da questo boom non fa menzione dei tubi, delle pompe e dei filtri di questi impianti su cui si accumula la radioattività. O delle acque reflue radioattive che vengono estratte ogni giorni dai pozzi. O dei lavoratori che vengono esposti alle radiazioni, o del terreno che viene contaminato. “Una domanda che faccio a queste aziende”, afferma Smith, l’avvocato di New Orleans, “che cosa avete in programma di fare per tutti i rifiuti radioattivi che avete sparso per gli Stati Uniti negli ultimi 120 anni? E la risposta è: niente”.
Nel 2016, una causa intentata da alcuni gruppi ambientalisti ha costretto il Dipartimento per la Protezione Ambientale a indagare su una revisione dei suoi metodi di monitoraggio dei rifiuti dell’industria estrattiva, cosa che non aveva ancora mai fatto dall’inizio del boom del fracking. Ma nel 2019 l’agenzia ha concluso che “la revisione… non è necessaria per il momento.”
Quando ho richiamato Peter, durante le scorse vacanze di Natale, mi ha detto di aver raccolto un’altra scorta di campioni e che l’ansia tra i camionisti che si occupano del trasporto delle acque reflue era arrivata a livelli mai visti prima. “Gli altri camionisti sono sempre più spaventati”, ha detto, “Vogliono farsi fare i test per le radiazioni”.
“I lavoratori saranno i canarini nella miniera”, spiega Raina Rippel, del Southwest Pennsylvania Environmental Health Project, un’organizzazione non-profit che si occupa di salute pubblica e sta sostenendo la lotta delle comunità contro il fracking. “Il problema della radioattività è qualcosa che non abbiamo ancora affrontato in modo adeguato. I politici e responsabili della salute pubblica non hanno le conoscenze necessarie a dire se siamo al sicuro o meno”.
Ma in realtà la conoscenza c’è. Il radio può venire rilevato nelle urine, il radon con un test dell’alito. E dato che il radio si accumula nelle ossa, anche i cadaveri sepolti in un cimitero possono dare indicazioni sui livelli di esposizione, spiega Wilma Subra, una tossicologa della Louisiana che ha cominciato a seguire la radioattività prodotta dall’industria estrattiva negli anni Settanta.
“C’è un enorme problema che è rimasto sotto la superficie per tutti questi anni”, afferma Allan Kenner, uno degli avvocati più importanti per quanto riguarda le class-action ambientaliste negli Stati Uniti. “I vari pezzi del puzzle non sono stati ancora veramente messi insieme, perché l’industria non sta dicendo tutta la verità e i regolatori non stanno dicendo tutta la verità e i medici locali non sono ancora informati. Ma a un certo punto mi aspetto di vedere un bel po’ di casi emergere da tutta questa situazione”.
Se così fosse, ciò potrebbe avere un impatto devastante sull’industria dei combustibili fossili, specialmente se venissero approvati dei regolamenti restrittivi e se i rifiuti prodotti dalle attività estrattive perdessero l’esenzione del Dipartimento per la Protezione Ambientale e venissero definiti rifiuti pericolosi. “Una componente fondamentale dei margini di profitto di queste aziende sta nel fatto che sono in grado di sbarazzarsi dei rifiuti con costi così bassi”, afferma Auch, di FracTracker Alliance. “Se dovessero pagare di più, non sarebbero in grado di stare aperte”.
“Si è discusso”, afferma Liz Moran, del New York Public Interest Research Group,”che se si chiudessero queste scorciatoie legali l’industria estrattiva non riuscirebbe più a stare in piedi”. Quando gli ho chiesto cosa succederebbe se l’esenzione del Dipartimento per la Protezione Ambientale venisse rimossa, Jim O’Reilly, ricercatore della University of Cincinnati, ha risposto in modo lapidario: “un disastro”.
La radioattività “è il modo in cui si può distruggere la Morte Nera”, afferma Melissa Troutman, analista del gruppo ambientalista Earthworks. Questo perché l’industria estrattiva ha paura solo di due cose “perdere soldi e perdere la loro licenza”. L’alto costo delle operazioni di estrazione fa sì che queste aziende necessitino di continue infusioni di capitale e “il numero di rischi operativi continua ad aumentare”, si legge in un articolo del 2018 pubblicato dal gruppo di consulenza sull’energia Wood Mackenzie. Ma mentre il denaro non è un problema perché l’industria è sostenuta da Wall Street, le licenze sono una questione più grave.
Paul Temple, ex segretario del Dipartimento per la Qualità Ambientale della Louisiana e il primo politico nello stato ad affrontare il problema della radioattività prodotta dall’industria petrolifera, oggi ha 79 anni e vive con sua moglie in New Mexico. Ma ogni due mesi circa deve tornare in Louisiana per dare la sua testimonianza di esperto in cause legali che riguardano casi di contaminazione legati all’industria estrattiva. Negli ultimi anni, un numero crescente di proprietari terrieri ha scoperto che i pozzi per l’estrazione di petrolio e gas che li hanno arricchiti hanno anche contaminato i loro terreni con metalli pesanti e radioattività. “Praticamente ovunque fai i testi trovi contaminazioni,” afferma Temple. Oggi ci sono più di 350 casi di questo tipo nei tribunali dello stato. I procedimenti sono ancora aperti ed è difficile riassumerli, ma Temple sostiene che si possa affermare che quello che è iniziato come un piccolo fastidio per l’industria è diventato un problema esistenziale. “Lo sanno da 110 anni ma non hanno mai fatto niente al riguardo”, ha concluso. “È il segreto del secolo”.