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In Brasile, la sfida tra Lula e Bolsonaro è una sfida tra democrazia e barbarie

A pochi giorni dalle elezioni siamo stati a Santos, nel mezzo di una manifestazione che ha riunito i più accaniti sostenitori del presidente ultraconservatore brasiliano: sono disinformati, non credono ai sondaggi (che danno Lula in netto vantaggio) e, se il loro leader non dovesse essere rieletto, difficilmente accetteranno la sconfitta

Il presidente del Brasile e candidato presidenziale Jair Bolsonaro guida uno scooter con un sostenitore durante una manifestazione in vista delle elezioni di domenica 28 settembre 2022 a Santos, in Brasile Foto di Alexandre Schneider/Getty Images)

«I sondaggi sono falsi. Vincerà lui, il nostro mito. Mito!», grida un uomo in mezzo a una folla, radunata a Santos, porto di San Paolo, per una manifestazione a sostegno di Bolsonaro, presidente uscente del Brasile che insegue una (difficilissima) rielezione. Domenica prossima, 150 milioni di brasiliani dovranno scegliere il 39° presidente del Paese più grande dell’America Latina. Le elezioni, nelle quali si sceglieranno anche i membri del Congresso, i governatori e i legislatori dei 27 Stati che compongono il Brasile, hanno un’influenza che supera i confini nazionali e si espande per tutta la regione.

Il grande favorito nei sondaggi è Luiz Inácio Lula da Silva, presidente progressista in carica tra il 2003 e il 2011, leader del Partido dos Trabalhadores (PT), seguito, con ampio distacco, da Bolsonaro. Il Paese è polarizzato tra i due candidati, con il 79% degli elettori si identifica con una delle due opzioni, secondo l’ultimo sondaggio Datafolha.

Lula può contare su un’ampia colazione, dai movimenti femministi ai settori moderati, riunita attorno al messaggio «Democrazia o barbarie», per pacificare un paese diviso, in cui la fame è un problema per il 15% della popolazione e le ferite del Covid sono ancora aperte. È il secondo Paese al mondo per numero di morti, anche a causa del negazionismo di Bolsonaro, il quale sconsigliò alla popolazione di vaccinarsi: «Potreste trasformarvi in coccodrilli», disse.

Bolsonaro conta sulla maggioranza dei votanti evangelici. Circa un brasiliano su tre si dichiara evangelico, esistono migliaia di chiese sparse in tutto il Paese, soprattutto nelle zone periferiche delle metropoli, guidate da pastori ultraconservatori che nelle loro prediche invitano a votare l’ex militare. E poi, nelle liste di Bolsonaro per il Congresso ci sono generali, colonnelli, capitani dell’esercito e della polizia.

Secondo i sondaggi, Bolsonaro può contare su circa il 30% dei consensi, supportato anche da una base militante che è disposta a credere a qualsiasi cosa esca dalla sua bocca. Oggi in Brasile esiste «Un ecosistema parallelo di notizie: youtubers, bloggers e siti di fake news che si muovono con facilità tramite WhatsApp e Telegram. Ciò crea una realtà parallela per metà della popolazione», afferma la giornalista Patrícia Campos Mello.

I suoi sostenitori, come quelli che Rolling Stone ha incontrato a Santos, non solo non credono ai sondaggi, ma odiano visceralmente Lula: «La bandiera del PT è rossa come il mio cappotto», grida una signora nella manifestazione bolsonarista, mentre se lo sfila («guarda cosa ci faccio con la bandiera di quei ladri!», urla), lo stende sull’asfalto bagnato e comincia a saltarci sopra, gridando «Bolsonaro!».

Foto di Mauricio Zina/ adhocFOTOS

La domanda che oggi tutti si fanno in Brasile è cosa succederà domenica, una volta annunciati i risultati. Lula potrebbe vincere già al primo turno e la vittoria è praticamente certa in caso di ballottaggio, previsto per il 28 ottobre. L’incognita, quindi, non è il risultato, ma la reazione dei sostenitori di Bolsonaro: accetteranno a braccia conserte una sconfitta o vedremo scene simili all’assalto di Capitol Hill, organizzato dai sostenitori di Trump nel gennaio del 2021?

Negli ultimi due mesi, sono state registrate due morti, nello specifico due sostenitori di Lula uccisi da due sostenitori di Bolsonaro. Ma è solo la punta dell’iceberg di una violenza che avvelena il Paese. Il 67% dei brasiliani ha paura di subire un’aggressione fisica per le proprie opinioni politiche, secondo Datafolha. Dal 2019 a oggi, il numero di armi è triplicato, a causa di una liberalizzazione del mercato voluta dal governo Bolsonaro. Lo stesso Bolsonaro ha detto: «Avere un’arma è sacrosanto. Gesù non aveva una pistola solo perché allora non esistevano». Negli ultimi due mesi ne sono state importate il numero più alto degli ultimi 25 anni. E l’aumento della domanda di armi è legato, secondo il giornale economico Valor, a possibili disordini conseguenti a una sconfitta del leader del Partido Liberal.

La posta in gioco delle elezioni non è solamente l’elezione di un nuovo presidente: è una scelta netta tra modelli di società, modi di convivenza. Il futuro del Brasile, che quest’anno celebra i duecento anni di indipendenza dalla Corona portoghese, è incerto. Quello immediato perché dipende da quanto sarà efficace la campagna di delegittimazione delle urne di Bolsonaro, quello più a lungo termine perché dipenderà dalla capacità di Lula di ricucire un Paese ferito.

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