Le feste di partito hanno sempre prodotto materiale utile a un certo tipo di giornalismo di taglio medio-basso (in pagina, intendo). Superficiale e spesso narciso, davvero preistorico al giorno d’oggi, in generale inutile, benché spesso di scrittura discreta. Interessato al lato umano, al contatto diretto, alla sit-comedy, alla rivelazione naïf (e a volte grottesca) di come si “è” per davvero, e non come si vorrebbe far credere di essere. Dunque: i mirabolanti gadget di Pontida nel ’92, gli elmi con le corna, bandane verdi e il profumo “Dur” (“L’uomo della Lega indossa Dur”); le salsicce immortali e i tortellini resistenti dei Festival dell’Unità; il profumo felpato del potere alle feste di CL; i fasci sottotraccia di Atreju e le convention trash-aspirazionali di Forza Italia con le bandiere, i cravattoni, Silvio-Silvio e il karaoke.
E i 5 Stelle? Sono stato a Roma all’evento Italia a 5 Stelle – 20 e 21 ottobre – andato in scena al Circo Massimo per la quinta volta. Alla prima, nel 2014, c’era Grillo che sputava dalla gru e cantava il blues, Casaleggio ancora vivo col berretto inglese, Di Maio già molto incravattato. E un concerto di Bennato, Pino Scotto, Meganoidi e Vallanzaska. Quest’anno Bennato era senza voce e non s’è visto, non pervenuti gli altri. Di Maio più incravattato che mai, Di Battista in Sud America, Grillo si è visto poco, l’ha fatta fuori dal vaso insultando gli Asperger e prendendosela coi poteri di Mattarella, senza far ridere. Per il resto poco o niente è cambiato, dicono. Il gadget della giornata è un bicchiere di plastica col logo dell’evento. Riciclabile.
C’era parecchia gente, quasi tutti con un surplus di astio da smaltire, che non diresti di essere capitato nella festa del partito più votato alle ultime elezioni – titolare di metà governo, parecchi ministri e un esercito di parlamentari. Astio, rabbia sorda. Io non so dire bene cosa sia questo astio, psico-sociologicamente intendo. Lo immagino come una scia chimica. Una versione 3D del mood prevalente sui forum e sui social quando parlano i 5 Stelle o chi per loro (bot, algoritmi, killer russi). Come uno sguardo torvo, un digrignare di denti. “Piddino” qui non è un neppure un insulto, è proprio l’epitome dello skifo. Il quarto d’ora di odio (copyright Orwell/Warhol).
Tra gente normale, ci mancherebbe. Centro commerciale un sabato d’autunno. C’è qualcuno più normale di altri. Hanno indosso una t-shirt gialla tutti i parlamentari e tutti gli eletti 5 Stelle nelle assemblee locali. Sono i nostri “portavoce”. Simbolico contrappasso rispetto alle cravatte, le grisaglie e la prosopopea del parlamentare eletto di Prima e Seconda repubblica, il quale avrebbe sgomitato per farsi conoscere e riconoscere, stretto mani, dispensato sorrisi. Qui invece l’essere parlamentare è una mezza umiliazione da patire in pubblico, un giustificarsi continuo, cronache di oscurissime riunioni in commissione, formiche operaie, vaga licenza di harassment persino. Un nerd con occhiali si avvicina a due ragazze più “normali”, entrambe con la t-shirt gialla. “Ma… l’articolo 18?”. Così, giuro. Nemmeno ciao.
Di rimando tutto un girotondo di spiegazioni sul quale sia il problema o l’intoppo o la rendita di posizione che ritarda il dispiegarsi dell’Idea. “Ci vuole un po’ di tempo…” “C’è anche la Lega…”. Perché i portavoce una certa verve retorica ce l’hanno. E in verità anche un po’ di faccia come il culo, che non guasta. Lo si intuisce nelle mini-assemblee sparse al Circo Massimo, dove gli uguali in maglietta gialla rispondono a domande dei militanti di base verità piuttosto scolastiche. “Chi è quella?” “Non vedi, è X”. “Ah, mitica!”. Ma tutto qui è molto scolastico. Non bisogna dimenticare che l’esperimento dell’associazione Rousseau (alla quale è destinato il tendone più grande e affollato), dal quale i 5 Stelle nascono e sono coltivati, è una specie di incubo distopico da Truman Show o The Circle di Dave Eggers. Uso di proposito la parola “esperimento”, inventata da Jacopo Iacoboni della Stampa. Rimando ai suoi tweet e articoli, per quanto riguarda il lato ballardiano-paranoico della cosa.
Però si mangia bene. Ho appuntato sul taccuino la parola più affascinante della giornata, letta sul menù del bar vegano 5 Stelle. Brunoise. Insalata di riso con brunoise di zucchine e qualcos’altro che ho dimenticato. Brunoise. Brunoise.