Dal Veneto alla Puglia, ogni regione ha i suoi rifiuti nascosti sotto terra. Secondo la Società Speleologica Italiana (SSI), su 50mila ambienti ipogei – grotte e cavità sotterranee, naturali e artificiali – censiti sul territorio nazionale, circa 800 sono attualmente compromesse dall’inquinamento. Non c’è un numero fermo, stabile, perché il censimento delle cavità a rischio, curato dalla SSI, viene alimentato da costanti segnalazioni. Ma è un numero in aumento: un primo monitoraggio del 2005 aveva censito 34mila grotte e trovato più di 400 discariche abusive. In sostanza, sotto i nostri piedi ci sono discariche agricole, industriali e militari (con tanto di ordigni inesplosi) che sfiorano le falde acquifere da cui proviene l’acqua dei nostri rubinetti.
Come spiega a Rolling Stone Sergio Orsini, presidente della SSI, il materiale trovato finora compone un vero atlante degli orrori. “Automobili, copertoni, scooter, biciclette, vernici con diluenti, bidoni di ferro, scarti ospedalieri, residuati bellici. Cinque anni fa abbiamo scoperto rifiuti tossici sul Carso Triestino”. Il censimento delle cavità a rischio ambientale (CRA), un progetto nato nel 1995 sulla spinta della Federazione Speleologica Veneta e ora in seno alla SSI, cerca di catalogare gli ambienti carsici danneggiati sulla base della tipologia di rischio, per individuare una strategia di risanamento di concerto con le autorità. Ma non sempre è possibile intervenire. “In Puglia, c’è ancora una Fiat 500 sospesa a 140 metri di profondità, in un pozzo di 200 metri” commenta Orsini. È lì, appoggiata ad una sporgenza interna, perché le operazioni di recupero sono molto difficili. In altri casi si è riusciti a fare di più. Come negli anni Novanta in Veneto, quando dalla grotta Spluga della Preta sono stati estratti 840 sacchi di rifiuti per un totale di 21mila kg di immondizia. Per completare la bonifica ci sono voluti quasi cinque anni.
Ai censimenti ufficiali, si aggiungono quelli privati. Gli appunti degli speleologi che perlustrano nel tempo libero le grotte deturpate e diventano gli unici testimoni della situazione. “Pneumatici, pesticidi, vernici, batterie per auto, olio motore, combustibili, medicinali veterinari, biciclette, ombrelli, sedili di auto, stufe, carcasse di cani e daini, montagne di ossa di animali” – questo il desolante inventario compilato da alcuni membri del Gruppo Amici della Montagna di Verona, dopo la recente discesa in una grotta verticale, la Spluga Ca’ dell’Ora, nella provincia veronese, che si sviluppa per quaranta metri sotto terra ed è ricoperta da una stratificazione di rifiuti ormai simile ad una montagna. La discarica abusiva è nota da anni e gli speleologi compiono ricognizioni per organizzare i lavori di pulizia.
Si tratta di veri e propri disastri ecologici nascosti sotto terra – lontano dagli occhi, lontano dal cuore – di cui sono testimoni solo i gruppi di speleologi e appassionati. I loro elenchi e le loro testimonianze restituiscono una situazione desolante: nei territori agricoli le grotte sono riempite di liquami, carcasse di animali, rifiuti domestici. Ci sono fognature di interi condomini che illegalmente convogliano sottoterra. Gli scarti industriali di aziende che smaltiscono così i loro rifiuti. Il buio e il silenzio rendono il sottosuolo il posto ideale per commettere reati ambientali. “Si ha la possibilità di non farsi vedere mentre si smaltisce e non far vedere cosa e dove si smaltisce”, spiega a Rolling Stone Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Non stiamo parlando di lasciare un sacco della spazzatura in una stradina laterale in periferia ma di veri e propri tombamenti di rifiuti. Sono operazioni condotte da soggetti con un profilo organizzato, spesso criminale”.
In Puglia, il Parco dell’Alta Murgia, con le sue 550 grotte nella sola provincia di Bari e le sue spettacolari voragini carsiche dette “inghiottitoi”, in passato è stato più volte utilizzato per eliminare materiale illegale. Lo conferma Francesco Tarantini, presidente del Parco: “Nelle cave di bauxite spesso vengono rinvenute carcasse di camion e auto adoperate per furti. Alcune automobili bruciate sono state trovate anche nei nostri inghiottitoi più importanti, che vanno dai 90 ai 200 metri di profondità. Buttare un’auto rubata lì dentro significa nasconderla per sempre”.
Questo tipo di inquinamento ha ha conseguenze ambientali molto gravi. Il principale problema è quello legato al percolato, il liquido altamente inquinante prodotto dalle sostanze rilasciate dai rifiuti, che dalle grotte arriva facilmente alle falde acquifere sotterranee – ossia all’acqua che utilizziamo quotidianamente. Molti degli acquedotti delle nostre grandi città sono alimentati dai serbatoi naturali che si nascondono nelle grotte, in altra parole: dalle falde che, una volta corrotte, sono danneggiate per sempre. Il grado di vulnerabilità di questi ambienti, da questo punto di vista, è molto alto.
“Tutto ciò che entra nel sottosuolo non esce automaticamente con l’acqua, si deposita sulle rocce e può essere spostato con successive piene” chiarisce a Rolling Stone Leonardo Latella, biospeleologo esperto di biodiversità ed ecologia della fauna cavernicola. Quindi si tratta dell’acqua che beviamo ma anche dell’acqua che berremo in futuro. Una volta alterato, l’ambiente carsico non torna più come prima. “Il suo habitat è estremamente delicato. Un prato si può ripulire, mentre la grotta è un reticolo di fessure dove si muovono gli animali, l’acqua, l’aria. È un po’ come immergere una spugna nel sapone: per tornare ad averla come prima, bisogna continuare a strizzarla ma qualche traccia di sapone rimarrà comunque”.
Nell’ambiente carsico le rocce assorbono tutto: anche rimuovendo le immondizie una ad una, è impossibile ripristinare le condizioni originarie. Acqua e inquinanti scendono in profondità e si perdono in questa rete di pertugi. Nelle cavità, dove l’equilibrio è fragilissimo e può essere intaccato da variazioni minime di temperatura e luce, l’inquinamento dall’esterno crea scompensi enormi: alcune specie di animali presenti solo nel contesto ipogeo possono estinguersi e scomparire del tutto. E così la vita della grotta si spegne fino a diventare sterile. Il danno alla biodiversità è incalcolabile: si interrompe la catena alimentare, con un impatto imprevedibile sull’ecosistema.
Gli speleologi italiani ne sono da tempo consapevoli e per questo portano avanti campagne di recupero nel sottosuolo violato. Weekend regalati alla collettività, corde e bidoni per raccogliere anni di sporcizie e, in collaborazione con i Comuni locali, operare smaltimenti a norma di legge. L’iniziativa, promossa dalla Società Speleologica Italiana, si chiama Puliamo il Buio e si svolge in collaborazione con Puliamo il Mondo, l’appuntamento annuale di Legambiente. Dal 2005 sono stati 171 gli interventi di ripristino in Italia. 163mila kg di spazzatura raccolti in ben 64mila ore di lavoro. L’intento era, ed è, quello di bonificare almeno in parte le discariche abusive, documentando lo stato in cui versano e il grado di pericolosità.
In Sardegna, nel 2019, ci sono voluti 50 speleologi per pulire la Voragine di Tiscali da 152 kg di rifiuti. In Lombardia, nel 2018, sono stati portati via 500 kg di materiale dalle Grotte del Brunino. In Umbria, nel 2006, 28 speleologi hanno prelevato 250 kg di immondizie dalla Grotta di Orlando. Analoghe operazioni sono state svolte in quasi tutto il Paese. Il prossimo intervento è in Campania, per ripulire il canyon del fiume Bussento e l’omonimo inghiottitoio. “In questi anni nelle grotte abbiamo trovato di tutto: quasi un centinaio di automobili, scooter e un numero non quantificabile di copertoni. Si pensava, un tempo, che nascondere la polvere sotto il tappeto, facesse sparire la polvere,” spiega a Rolling Stone Sergio Orsini.
I colpevoli di tutto ciò sono tanti e senza nome. La coscienza ecologica è una conquista recente e il fenomeno dello smaltimento sotterraneo, anche se con un’incidenza minore rispetto al passato, c’è ancora. Ha perso virulenza – sia per via dell’inasprimento delle leggi al riguardo, con l’inserimento dal 2015 dei reati ambientali nel codice penale, sia per un’accresciuta sensibilità ambientalista – ma persiste. Il mondo ipogeo è, peraltro, noto e catalogato solo parzialmente. “Praticamente ogni giorno si possono scoprire grotte” ricorda Orsini. E con esse antichi e nuovi inquinamenti.