L’ultimo DPCM del 24 ottobre scorso ha scatenato una serie di proteste un po’ in tutta Italia, sancendo di fatto la fine dell’idillio tra il popolo italiano e il governo Conte – idillio che durava perlomeno da marzo, ossia dall’inizio dell’emergenza.
La scintilla è stata la grande manifestazione di Napoli, nata per sfidare il lockdown regionale minacciato dal governatore della Campania Vincenzo De Luca e sfociata in scontri con la polizia. Nei giorni seguenti gli scontri hanno raggiunto anche altre città: Roma e Milano, dove però in piazza c’erano poche persone, e soprattutto Torino, dove ieri sera alcuni negozi sono stati saccheggiati. Ma – va detto – ci sono state anche manifestazioni spontanee e pacifiche in diverse altre città. Tutto questo ha fatto sì che questa mattina il trending topic su Twitter fosse l’eloquente #ItaliaSiRibella.
Di fronte a questa esplosione di rabbia popolare, la prima reazione di molti giornali e commentatori è stata quella di cercare colpevoli o infiltrati violenti. Il giorno dopo i fatti di Napoli si è parlato della presenza in piazza del ultras e Camorra – eventualità certamente possibile, ma il fatto che le manifestazioni si siano diffuse così tanto e così rapidamente ci dice che la spiegazione non è così semplice.
Altri le piazze hanno cercato di cavalcarle. Mentre il segretario di Forza Nuova Roberto Fiore si diceva “pronto a scendere in piazza” contro la dittatura sanitaria, l’estrema sinistra provava a formulare parole d’ordine come “tu ci chiudi, tu ci paghi”, cercando di indirizzare le proteste in una direzione che fosse sì a favore di un nuovo lockdown per tutelare la salute pubblica ma solo se abbinato a una richiesta di reddito di base. Entrambi questi tentativi, però, almeno per il momento sembrano ininfluenti sulla composizione reale delle piazze, che paiono animate più che altro da piccoli proprietari – di ristoranti, bar, cinema, palestre e via dicendo – colpiti dal DPCM che chiedono una sola cosa: riaprire e lavorare.
Lo dimostra quanto avvenuto ieri a Napoli durante una manifestazione in piazza Plebiscito. “Tutti sono d’accordo col dire che questo dcpm è insostenibile ed è una mazzata definitiva a un tessuto produttivo già fragile”, ha scritto il giornalista Paolo Mossetti facendone la cronaca. “La vera frattura avviene però quando qualcuno inizia a parlare esplicitamente di ammortizzatori al reddito o risarcimenti in denaro: scoppia il finimondo tra fischi e ‘vaffa’ e il microfono viene coperto da altri slogan: ‘Ma quale soldi, noi vogliamo aprire’, ‘Tu non stai bene con la testa, qua dobbiamo lavorare’. Si scatena quasi una rissa un paio di volte tra la maggioranza, che grida ‘libertà, libertà’ e la minoranza che porta avanti l’ipotesi dello stare a casa con il giusto indennizzo.
C’è una sola cosa, al momento, più chiara delle rivendicazioni delle piazze: la fiducia incondizionata riposta nel governo Conte lo scorso marzo sta cominciando a venire meno. Nell’affrontare la prima fase dell’emergenza, arrivata con grande violenza e in modo improvviso, il governo si era ritrovato con in mano un assegno in bianco che gli aveva consentito di prendere misure drastiche per contenere il virus, mettendo da parte almeno in un primo momento le preoccupazioni per l’economia del Paese. Era questo assegno in bianco che aveva reso possibile il lockdown e che si era concretizzato in quel fenomeno bizzarro a cui avevamo assistito increduli a marzo: il culto di Conte, diventato un sex symbol incensato da pagine come Le bimbe di Giuseppe Conte.
Come tutte le lune di miele anche quella del Paese per un premier trovatosi a vestire quel ruolo in modo quasi casuale doveva finire, e sembra sul punto di finire. Dopo sei mesi di emergenza costante, con una seconda ondata che è arrivata ed è peggio della prima, il governo Conte si trova preso tra due fuochi: da una parte la necessità di fare qualcosa per tutelare la salute, dall’alta la consapevolezza di non avere più la libertà di manovra che aveva a marzo quando poteva imporre lo stop del Paese senza che nessuno si opponesse. Il risultato sono gli ultimi DPCM che, per quanto insipidi, si rivelano amarissimi in bocca agli italiani.
Nelle sue conferenze stampa, Conte continua a ripetere che “il Paese non si può permettere un nuovo lockdown”. A quanto pare, a giudicare dal modo in cui le piazze hanno reagito negli ultimi giorni, il Paese o perlomeno una parte di esso non si può permettere nemmeno la chiusura delle palestre e il coprifuoco dopo le 23. Quel che è peggio è che se da una parte le rivendicazioni delle piazze sono certamente giuste – parliamo di gente che da sei mesi fa fatica a tirare avanti tra chiusure e riaperture a singhiozzo – dall’altra anche le decisioni del governo hanno le loro ragioni, visti gli oltre 20mila casi al giorno, e anzi sembrano ancora del tutto insufficienti a contenere una curva dei contagi in crescita esponenziale. Più che #ItaliaSiRibella, forse l’hashtag corretto dovrebbe essere #ItaliaStaScoppiando.