Da dieci giorni il Regno Unito è scosso da un’accesa discussione politica sulla violenza che le donne si trovano ad affrontare quotidianamente e sul ruolo delle forze dell’ordine in questo contesto. A scatenarla è stato un caso di femminicidio: la scomparsa di una donna di 33 anni, Sarah Everard, mentre tornava da una serata tra amiche a Clapham, un quartiere del sud di Londra generalmente ritenuto sicuro in quanto ben illuminato e molto frequentato.
Everard stava rincasando seguendo il percorso più lungo – e il meno isolato – e aveva da poco salutato il compagno al telefono quando è scomparsa. Il suo corpo è stato ritrovato una settimana dopo in un bosco nel Kent: ad essere accusato e arrestato prima per il suo rapimento, poi per il suo omicidio è stato un agente della Polizia Metropolitana di Londra, Wayne Couzens, già accusato di atti osceni in un ristorante da un’altra donna settimane prima.
Come ha ricordato la giornalista Moya Lothian-McLean, Everard si unisce così alla lista delle donne britanniche assassinate in un Paese in cui, negli ultimi 10 anni, una donna viene uccisa da un uomo ogni tre giorni. Il vero nodo portato al pettine da questa drammatica vicenda, sostiene però Lothian-McLean, è un altro: “in Gran Bretagna, coloro che sono incaricati di proteggere le donne dalla violenza sono quelli che la stanno attuando. E la risposta del governo è di dare loro più potere”.
Ad illustrare ciò che intende meglio di mille parole sono state le azioni della polizia londinese, che il 13 marzo ha interrotto violentemente una protesta pacifica organizzata da alcuni movimenti femministi in memoria di Sarah Everard a Clapham Common. Se la manifestazione – organizzata in maniera irregolare, come hanno confermato le attiviste di Reclaim these streets, perché la polizia si era rifiutata di collaborare con loro – contava inizialmente qualche centinaio di partecipanti, la polizia è intervenuta a disperdere la folla che si era unita alla veglia con spintoni e intimidazioni, arrivando a buttare a terra ed ammanettare alcune attiviste.
La ministra dell’Interno Priti Patel ha definito “sconvolgenti” le immagini della repressione delle forze dell’ordine, ma la polizia metropolitana ha continuato a difendere la decisione degli agenti, giustificata secondo l’alta funzionaria Helen Ball dal fatto che ci fosse “un alto rischio di trasmissione del Covid-19” e quindi questa fosse “l’unica azione responsabile possibile”. Le attiviste di Reclaim these streets, movimento nato proprio in risposta alla morte di Everard, sostengono invece che fossero i poliziotti a mettere le manifestanti a rischio di contagio e violenza.
Da allora le proteste non si sono più placate, allargandosi a criticare un controverso e lunghissimo disegno di legge attualmente in discussione presso il Parlamento britannico: il Police Crime, Sentencing and Courts Bill, ovvero 300 pagine di riforma del sistema di giustizia penale. Al loro interno non vengono soltanto introdotte pene più severe per alcuni crimini (tra cui spicca la possibilità di condannare a 10 anni di carcere chi danneggia un monumento commemorativo, come successo l’estate scorsa con la statua del mercante di schiavi Edward Colston o con quella di Winston Churchill) ma vengono anche riscritti i rapporti di forza tra polizia e manifestanti nel caso delle manifestazioni pacifiche.
Secondo la normativa vigente, la polizia britannica può infatti imporre restrizioni a una manifestazione pacifica soltanto dopo aver stabilito che possa provocare gravi disordini pubblici, danni alla proprietà o serie interruzioni della vita della comunità. Con la Police Crime, Sentencing and Courts Bill così com’è scritta ora, le forze dell’ordine avrebbero invece il potere di criminalizzare manifestazioni che possano rappresentare “un fastidio pubblico”, fissando limiti di tempo e di rumore per i raduni. Inoltre, i manifestanti che non seguono restrizioni di cui “dovrebbero” essere a conoscenza, pur non avendo ricevuto ordini diretti da un agente, potrebbero essere sottoposti a procedimenti giudiziari.
“Bisogna trovare un equilibrio tra la libertà di manifestare e quella delle persone che vogliono continuare a svolgere la propria vita quotidiana” è stato il commento della ministra dell’Interno Patel. “Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un cambiamento significativo nelle tattiche di protesta, con i manifestanti che sfruttano le lacune nella legge che hanno portato a quantità sproporzionate di interruzioni”, ha detto Patel, portando ad esempio le tattiche utilizzate dagli attivisti di Extinction Rebellion.
L’opposizione, parlamentare e non, solleva però più di un sopracciglio. Nelle strade, le proteste si sono fatte più accese: a Bristol, il 21 marzo un gruppo di manifestanti si è scontrato con gli agenti, dando alle fiamme alcuni veicoli della polizia. Dentro alle istituzioni continua intanto il dibattito: secondo associazioni apartitiche come la Local Government Association, c’è bisogno quanto meno di più tempo per esaminare in modo più dettagliato il disegno di legge. Altre ci vedono già un pericolo concreto: secondo Gracie Bradley, Direttrice del gruppo di advocacy Liberty, “Parti di questo disegno di legge faciliteranno la discriminazione e mineranno la libertà di protesta, che è la linfa vitale di una sana democrazia. Dovremmo essere tutti in grado di difendere ciò in cui crediamo, ma queste proposte darebbero alla polizia ancora più poteri per reprimere la protesta “.
Il portavoce del partito Laburista David Lammy ha invece affermato che “la tragica morte di Sarah Everard ha istigato una richiesta nazionale di azione per contrastare la violenza contro le donne. Non è il momento di affrettarsi ad adottare misure scarsamente ponderate per imporre controlli sproporzionati sulla libertà di espressione e sul diritto di protestare”.
Il disegno di legge, in effetti, non sembra far molto per affrontare il problema della violenza di genere nel Paese: come sottolinea il New York Times, il testo spende più parole sulla deturpazione delle statue che sui crimini motivati dalla misoginia. Eppure ci si trova di fronte a un fenomeno endemico: secondo un recentissimo sondaggio di UN Women, il 97% delle donne tra i 18 e i 24 anni nel Paese afferma di aver subito molestie sessuali di diversa natura, dallo stupro alla condivisione senza consenso di foto intime. Il 96% di loro, però, dice di non aver denunciato l’abuso. Secondo il 45%, “non avrebbe fatto alcuna differenza”. Interpellato al riguardo, Boris Johnson ha individuato una dubbia soluzione nell’inviare agenti in borghese a pattugliare bar e club per “identificare sospetti criminali e predatori”.
Secondo le manifestanti femministe che stanno alzando la voce dopo la morte di Everard, però, la soluzione va cercata da tutt’altra parte. “La sua morte deve essere vista nel contesto delle strutture di violenza contro le donne in questo Paese. Queste strutture includono la polizia che sabato ha brutalmente maltrattato le donne in lutto, i membri della polizia che l’estate scorsa hanno scattato foto ai cadaveri di due donne nere, Bibaa Henry e Nicole Smallman, e anche i fallimenti di routine della polizia nell’indagare sui casi di stupro o il loro record di abusi domestici contro le donne”, scrivono le attiviste di Sisters Uncut. “Dobbiamo protestare contro queste strutture se vogliamo un vero cambiamento. I diritti che abbiamo ora – il diritto all’aborto, il diritto all’istruzione, il diritto di voto e di amare chi vogliamo – sono stati tutti conquistati con la protesta. Dobbiamo chiederci dove saremo se la nostra capacità di protestare viene tolta. E c’è ancora molto contro cui protestare.”