La crescita economica a doppia cifra della Cina è sicuramente qualcosa che il resto del mondo gli invidia, ma oltre a questa ce n’è un’altra: il rispetto che da questa crescita economica deriva e che la Cina riesce a ottenere dagli altri paesi ogni volta che, a seguito di qualche strafalcione o gaffe di vario genere, si offende ufficialmente.
L’ultimo caso ci riguarda da vicino: il protagonista è Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, che durante una trasmissione su una tv locale del nordest a tema coronavirus ha spiegato che in Veneto i casi di COVID-19 sono solo 116 (di cui, tra l’altro, 63 asintomatici e solo 28 in ospedale) perché, a differenza dei cinesi, i veneti in particolare e gli italiani in generale si lavano.
Buongiorno @AmbCina , il signore che vedete qui in video affermare che i cinesi non si lavano e mangiano topi vivi è il presidente del Veneto Luca Zaia. È giusto che sappiate da dove parte la sinofobia che porta alle aggressioni dei cinesi in Italia.pic.twitter.com/swoHK5iZgD
— Titta Morticani (@ppiersante) February 28, 2020
“L’igiene che ha il nostro popolo, i veneti, i cittadini italiani, si basa su una formazione culturale che ci porta a lavarci, a farci la doccia, a lavare spesso le meni”, ha detto Zaia. “Abbiamo un regime di pulizia personale che è particolare. Anche l’alimentazione, la pulizia, le norme igieniche, il frigorifero, le scadenze degli alimenti c’entrano. La Cina ha pagato un grande conto su questa epidemia che ha avuto perché li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o robe del genere”.
La tesi – giusto un filo razzista – di Zaia è ovviamente diventata virale sui social, finendo persino su Weibo, il social network più diffuso in Cina.
Arrivato su Weibo… #Zaia pic.twitter.com/V86etdhd5W
— Provisional government of The Brands ? (@deidesk) February 29, 2020
Poche ore dopo la diffusione del video, Zaia ha provato a contenere le critiche nei suoi confronti rilasciando un’intervista al Corriere della Sera: “Nella migliore delle ipotesi sono stato frainteso”, ha detto, “nella peggiore strumentalizzato. Qui non è arrivato il virus, ma il virus della Cina. Prova ne sia l’aumento esponenziale della diffidenza nei confronti dei cinesi, creata dai social”. Una pezza peggiore del buco, che non è servita a niente e anzi ha solo aggravato la situazione, costringendo Zaia a scusarsi pubblicamente scrivendo una lettera all’ambasciatore cinese in Italia.
“Le scrivo per non accampare scuse: quando si sbaglia, si sbaglia”, ha scritto Zaia. “Nulla valgono le giustificazioni sulla stanchezza accumulata in questi giorni di grande tensione o sulla frettolosità di esposizione di concetti e di ragionamenti assai più articolati svolti nei giorni precedenti – senza peraltro suscitare polemiche – in molte sedi pubbliche e a molti organi di stampa.”
Già, a nulla valgono le giustificazioni di Zaia, anche perché se proprio vogliamo andare a vedere a mangiare i topi fino a prova contraria non sono solo i cinesi ma anche i veneti – e c’è proprio un vecchio post su Facebook di Zaia a documentarlo.
Il pentimento di Zaia non è il primo caso di politici italiani che si scusano con la Cina dopo aver fatto o detto una cazzata offensiva nei confronti dei cinesi – il che, forse, dovrebbe farci pensare a quanta sinofobia c’è introiettata nella nostra società.
Solo poche settimane fa Massimo Rogora, assessore alla sicurezza del comune di Busto Arsizio aveva scritto un post contro i ristoranti cinesi in cui sosteneva che “i cinesi hanno rubato la nostra economia” e ovviamente era stato richiamato dal suo partito dovendosi scusare. Sempre questo mese Maurizio Esti, sindaco leghista di un paesino vicino a Bergamo, aveva scritto un post su Facebook in cui augurava la morte ai cinesi: “Sti czz di CINESI… mangiano CANI, PIPISTRELLI, INSETTI E SERPENTI e poi si stupiscono se esplodono epidemie… MORISSERO PERLOMENO SOLO LORO!!!!”. Anche lui era stato costretto a scusarsi pubblicamente – su sollecito del suo avvocato – dopo essere stato querelato da un cittadino cinese.
Ma non ci sono soltanto i casi di gaffe di politici – ci sono anche i casi di gaffe politiche fatte da altri soggetti, spesso aziende che sbagliano qualcosa nel modo in cui si rapportano alla Cina. Il CEO di Facebook Mark Zuckerberg lo scorso gennaio si è dovuto scusare per un bug nel servizio di traduzione automatica del social network che traduceva il nome del presidente cinese Xi Jinping come “shithole”. Non è l’unico caso simile. Due anni fa, Mercedes-Benz si era dovuta scusare per avere utilizzato una frase del Dalai Lama – che vorrebbe l’indipendenza del Tibet, che invece Pechino considera parte della Cina – sui social.
Nel mondo della moda, diversi brand sono incorsi nelle ire del governo cinese per errori legati in qualche modo alla politica: come Dior e Gap che hanno pubblicato mappe della Cina che non includevano l’isola di Taiwan – al centro dal 1949 di una contesa geopolitica tra il governo cinese, che la considera parte della Cina, e il governo taiwanese, che si considera unico legittimo rappresentante politico del popolo cinese.
Ma il caso più famoso, anche questo che riguarda l’Italia, è quello di Dolce&Gabbana – che dipende dal mercato cinese per il 25% del fatturato e che l’anno. Due anni fa D&G era finita al centro di un’enorme polemica per uno spot pubblicitario considerato offensivo dal pubblico cinese e la situazione si era risolta solo dopo che i due stilisti avevano pubblicato un video in cui si scusavano in cinese.
“In questi giorni abbiamo ripensato moltissimo, con grande dispiacere, a tutto quello che ci è successo e a quello che abbiamo causato nel vostro paese e ci scusiamo moltissimo”, dicevano contriti nel video. “Le nostre famiglie ci hanno sempre insegnato a rispettare le varie culture di tutto il mondo e per questo vogliamo chiedervi scusa se abbiamo commesso degli errori nell’interpretare la vostra”.