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La morte di Lorenzo Parelli riapre una ferita mai rimarginata

Il confronto con l’omicidio di Roberto Franceschi nel 1973, l’eterno dibattito sull’Alternanza scuola-lavoro, il diritto degli studenti che non c’è (o viene calpestato). Il punto dopo una settimana durissima

Foto: Stefano Montesi/Corbis via Getty Images

Lo Stato non insegna: lo Stato mena. Potremmo riassumere così la settimana appena conclusa, in cui studenti e studentesse sono stati feriti dalla polizia con i manganelli a Torino Milano, a Napoli, e a Roma, dove era già successo domenica al Pantheon. Tutto perché protestavano contro il sistema scolastico vigente mentre in Parlamento boomer assetati di potere finivano per rieleggere Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica e garantire una più lunga stagione al governo guidato da Mario Draghi, non prima però di essersi rivelati dei burloni disposti a mettere nero su bianco il nome di Amadeus o di Rocco Siffredi per garantire continuità al gioco delle trattative tra partiti.

Risale a una settimana prima l’evento che ha scatenato le proteste, già nell’aria per la situazione vissuta nel mondo della scuola. Per la prima volta dopo tanto tempo, infatti, la storia di uno studente ha riempito le pagine dei giornali, fatto piuttosto inusuale in Italia. Non succedeva dal 1973, quando morì Roberto Franceschi, che a Milano frequentava l’Università Bocconi e fu colpito negli scontri tra polizia e studenti. Franceschi morì dopo una settimana di coma e la sua storia ha pochi punti in comune con quella di Lorenzo Parelli, il diciottenne rimasto ucciso venerdì scorso in una fabbrica di Udine mentre svolgeva un PCTO (Percorso per le competenze trasversali e per l’orientamento). Una trave di metallo ha ucciso Parelli in un attimo (lesioni cranio encefaliche) e le indagini dovranno spiegare come questo sia potuto succedere. Oltre al datore di lavoro è indagato anche un operaio, tra i primi o forse il primo a soccorrere il ragazzo in quel capannone, e che ora, colpevole o meno, in una frazione che conta meno di mille abitanti vede il proprio nome su tutti i giornali. Pare infatti che il tutor dello studente fosse assente giustificato per malattia ed è probabile che Parelli non abbia avuto dall’azienda le attenzioni che meritava in quanto persona esterna ad essa e senza esperienza professionale. Quindi non un incidente, una fatalità. Non un giallo, come è stato scritto. Ma per molti della generazione di RobertoFranceschi il parallelismo va fatto, perché cinquant’anni fa la morte di un ragazzo non sarebbe stata così facilmente coperta da altre notizie. E insomma la generazione di Lorenzo avrebbe anche questa colpa qui. A rischiare di cancellare l’identità di Lorenzo Parelli è stato anche il modo in cui se n’è parlato. Innanzitutto certi idioti che su Twitter hanno fatto notare a Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, che si può morire anche alle gite dell’Arci o agli scout. Come fosse la stessa cosa. Il giorno dopo il giornalista Paolo Berizzi ha riportato su Repubblica, dove cura una rubrica chiamata Pietre, creata per ricordare come le parole possano essere macigni, quel tweet letto da migliaia di persone. E allora si è iniziato a parlare di come non avrebbe dovuto mettere alla gogna un utente qualsiasi. Improvvisamente tutti hanno riscoperto l’etica, e intanto Lorenzo è sparito due volte.

Contemporaneamente si è fatta strada un’altra polemica, quella sull’uso improprio del termine utilizzato per spiegare perché Parelli sia stato destinato a un’azienda in cui la sicurezza non sembra essere una priorità. È risultato naturale parlare con convinzione di stage, oppure di apprendistato o di Alternanza scuola-lavoro, mentre si diffondeva un appello che chiede di abolirla una volta per tutte. Questa parte della discussione, l’analisi dei termini, lascia il tempo che trova. Capiamoci: l’Alternanza è un percorso reso obbligatorio dal governo Renzi nel 2015, ma erede della Riforma Moratti, che nel 2003 l’ha istituita come adesione spontanea, almeno sulla carta. Quello che Parelli stava facendo in azienda, invece, è un PCTO, un Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento. I PCTO nascono nel 2018 e regolano in 210 ore la propria durata minima triennale negli istituti professionali, come quello in cui studiava Lorenzo, mentre sono 150 nei tecnici e 90 nei licei. A lungo si è discusso di come queste novità degli ultimi anni non facciano che confermare l’idea che al Ministero dell’Istruzione e a quello del Lavoro interessino (come nel caso dei test Invalsi) studenti e insegnanti performanti pronti a immolarsi per la scuola-azienda, più che persone dotate di capacità critica che decidano di formarsi per dare seguito alle proprie inclinazioni e attitudini. A chi poi ha sottolineato che la scuola frequentata da Lorenzo Parelli era diversa dalle altre, ossia più orientata di ogni altra alla costruzione del soggetto-lavoratore, bisognerebbe far notare che questo non sposta assolutamente nulla rispetto alla morte avvenuta: è previsto infatti che lo studente abbia due tutor – uno a scuola e uno in azienda – e che riceva un’adeguata formazione quanto a sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, comportamento in tema di prevenzione, conoscenza dei rischi specifici presenti nel luogo di lavoro e procedure da adottare in caso di emergenza (evacuazione, antincendio, primo soccorso).

Trovandosi in un luogo di lavoro, gli studenti che svolgono determinate mansioni sono assicurati presso l’Inail contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, perciò l’eventuale malattia viene loro pagata. Questo vale anche per chi fa l’Alternanza, nei casi in cui la mansione lo prevede, mentre non c’è tutela per gli infortuni nel tragitto casa-scuola. Con la circolare dell’Inail che lo chiarisce, dunque, già nel novembre 2016 lo Stato ammette di aver esposto minorenni o giovani da poco maggiorenni a dei rischi, ma i PCTO continuano ad essere centrali nell’agenda del Ministero. Nel suo sito infatti non troviamo un solo riferimento al decesso di Parelli, ma troviamo traccia dell’incarico di collaborazione (a titolo gratuito) affidato a un’esperta un mese prima del tragico evento. Comunque la si pensi, quella di cui di cui stiamo discutendo è una morte nel sistema di istruzione e nel luogo di lavoro, eppure nessun ministero si è sentito chiamato in causa e nessun sindacato ha convocato uno sciopero. Se i sindacalisti lo facessero ora, del resto, rischierebbero di prenderle di santa ragione, dal momento che a partire dalla discussione che ha preceduto l’introduzione cosiddetta Buona Scuola renziana le richieste di perseguire tutt’altro modello sono state incessanti, ma non accolte dai sindacati, che non hanno nemmeno saputo imporre un approccio più umano all’Alternanza, ai PCTO, agli stage e a tutte le forme di lavoro non retribuito che hanno inizio a scuola. Il caso di Parelli non è nemmeno il primo in cui in un percorso professionalizzante – chiamiamolo così per non discutere inutilmente dei termini da usare – si verificano degli incidenti: in pochi anni di Buona Scuola ci sono stati almeno sei feriti gravi.

E nel 2021 in Italia i morti per infortunio sul lavoro sono stati 1404, quasi 4 al giorno, perché la sicurezza non è un tema. Già questo dovrebbe bastare per dire che gli studenti non devono trovarsi mai in luoghi ad alto rischio come sono molti dei luoghi in cui si lavora in Italia. L’idea di chiedere in via esplorativa agli studenti in che modo intendano approcciarsi al mondo del lavoro, quali siano le loro aspettative, i dubbi, le informazioni che vogliono acquisire prima di doverlo affrontare sembra non sfiorare nessuno, né tra i politici, né tra i dirigenti scolastici. Del resto, le richieste recenti degli studenti non vengono minimamente ascoltate e lo scorso 10 gennaio, con una situazione endemica ancora in corso, le scuole hanno riaperto senza cambiamenti per quanto riguarda le aule e i trasporti, senza uno screening di massa, senza iniziative per contrastare il malessere psicologico che inevitabilmente due anni di pandemia ha consegnato. E così la scuola è intermittente, ci si va se non ci sono troppi contagiati, ma con regole che fanno impazzire i genitori con figli di età diverse, perché ogni fascia ha la sua condotta e ogni regione pure. Il movimento studentesco, in questo momento forte soprattutto a Roma, sta manifestando da ottobre perché le cose cambino, ottenendo finora solo repressione. Anche qui gli episodi che dovrebbero preoccupare non mancano: come abbiamo già raccontato in un articolo sulle occupazioni, al Liceo Ripetta la dirigente scolastica ha fatto intervenire le forze dell’ordine (video), mentre il direttore dell’ ufficio scolastico regionale del Lazio, Rocco Pinneri, saputo di altre espressioni di dissenso in altri istituti, ha emanato una circolare per invitare i dirigenti a denunciare i ragazzi, che nella maggior parte dei casi sono minorenni. Per questo non sorprende che la prima manifestazione in risposta alla morte di Lorenzo Parelli la scorsa domenica al Pantheon abbia contato tra 300 partecipanti anche diversi feriti, di cui quattro con il volto coperto di sangue. E poi di nuovo venerdì 28 altra violenza repressiva mentre gli studenti gridavano “La vostra scuola uccide” e sindacati discutevano – on line, s’intende – di come per riformare PCTO e Alternanza sarebbe importante pagare il giusto gli insegnanti. Nelle stesse ore in Parlamento la farsa della rielezione di Mattarella, una scusa più che valida per lasciare un’intera generazione senza alcuna risposta.

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