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La parlamentare ucraina che ha imbracciato le armi per combattere i russi

Abbiamo intervistato Kira Rudik, deputata ed ex manager di Amazon che ha deciso di aderire alla resistenza ucraina: «Stiamo combattendo solo per la nostra terra e per la nostra libertà»

Foto dal profilo Instagram di Kira Rudik

Quando chiediamo a Kira di parlarci della foto postata sui suoi profili social mentre imbraccia un kalashnikov, lei si prepara a rispondere e allunga una mano sulla scrivania. Ci mostra la sua arma, ne sentiamo il rumore metallico mentre la sposta sul ripiano in legno e la avvicina a sé. Siamo in videochiamata, c’è un’ora di fuso orario tra l’Italia e Kiev. Ci spiega che pochi minuti prima di collegarsi con Rolling Stone ha sentito il suono delle sirene antiaeree: a quel segnale tutti devono raggiungere i rifugi e mettersi al sicuro. Kira Rudik ha 36 anni ed è un membro del Parlamento ucraino.

Forbes l’ha inserita tra le cento donne più influenti del Paese e oggi Kira, dopo una carriera nel settore tech, è la leader del partito “Golos” (Voce), che lei definisce «un’occasione per riportare le persone al centro, perché in politica non può più funzionare la differenza tra nazionalisti e liberali». Se si dà un’occhiata al sito del gruppo politico si legge che, nell’Ucraina che Kira intende costruire con la sua squadra, la figura del militare è fondamentale, perché è capace di «proteggere il paese dalle minacce esterne, creando un ambiente sicuro in cui è possibile crescere». E questa prospettiva assume un peso diverso adesso che la capitale ucraina è una fortezza almeno in parte difesa da un esercito di volontari locali. «Stiamo combattendo contro l’esercito più forte al mondo: sono orgogliosa di quello che stiamo dimostrando. Ci stiamo muovendo bene via terra, ma ora abbiamo bisogno del sostegno dei nostri alleati per rafforzare le difese aeree creando una “no fly zone“ sopra l’Ucraina», dice Kira mentre racconta la sua adesione alla resistenza ucraina. Spiega che le stazioni di reclutamento sono state prese d’assalto da cittadini di tutte le età che si sono iscritti per recuperare armi utili alla lotta.

«Giorni fa pensavo a quando piantavo tulipani e narcisi nel mio giardino. Ora invece mi esercito a sparare con le armi e mi preparo per la prossima notte di attacchi. Proprio io che non avrei mai immaginato di tenere in mano un fucile in vita mia» continua Kira, che descrive la desolazione di Kiev guardando fisso lo schermo che ci separa. Nelle strade silenziose della città di tanto in tanto passa un’auto della polizia o un veicolo militare, imbrattata con vernice gialla, il segno delle forze ucraine. La stazione ferroviaria è al contrario un vortice caotico. Da qui sono partite più di un milione di persone dall’inizio della guerra e per i treni diretti a ovest non sono necessari biglietti. Donne e bambini hanno la priorità, poi i pensionati. I treni diretti verso est partono per lo più vuoti, mentre quelli che arrivano dalla direzione opposta vengono assaliti dalla folla non appena si accostano alla piattaforma. Ciò a cui stiamo assistendo, avvertono le Nazioni Unite, è la più grande crisi di rifugiati dell’ultimo secolo. La maggior parte degli ucraini che stanno lasciando il paese sono diretti verso Polonia, Moldova, Slovacchia, Romania e Ungheria, che hanno aperto i confini a chiunque tenti di fuggire, anche se con il progredire della settimana sono emerse segnalazioni di respingimenti e di discriminazione razziale verso chi non arriva dall’Ucraina. Gli Stati membri dell’Unione Europea hanno annunciato che avrebbero attivato la direttiva sulla protezione temporanea, inutilizzata da quando è stata creata nel 2001, dopo le guerre in Jugoslavia e Kosovo. Conferirà ai rifugiati ucraini il diritto di vivere e lavorare nel territorio comunitario fino a tre anni, senza necessità di un visto. Un emendamento ha modificato poi il testo proposto della direttiva per estendere la protezione solo ai cittadini ucraini invece che a tutti i rifugiati in fuga dalla guerra.

«La reazione dell’Europa alla crisi dei rifugiati è molto positiva finora, anche se spero che gli ucraini siano “rifugiati temporanei” e che possano tornare presto nei posti che sentono di poter chiamare davvero casa», commenta Kira. «Eppure emerge la differenza tra la sua reazione all’arrivo degli ucraini all’arrivo degli iracheni o dei siriani o di altri gruppi di richiedenti asilo alle frontiere europee. Quello a cui stiamo assistendo metterà alla prova la nostra infrastruttura per i rifugiati: dobbiamo essere preparati per ciò che verrà».

Mentre parla, Kira ci tiene a sottolineare che utilizza appositamente il “noi” riferendosi all’Europa, dato che «l’Ucraina si sente parte di questo progetto e sta lottando per farne parte». E questo reciproco cercarsi non è solo retorico o un fatto puramente politico. Risiede piuttosto nelle dimostrazioni della gente che vive le rispettive comunità. Si pensi a ciò che è accaduto lo scorso martedì 1 marzo, quando il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy si è rivolto a una sessione del Parlamento di Bruxelles in collegamento video dal suo bunker. L’interprete che ha riferito le sue parole in inglese si è commossa traducendo la frase: «Stiamo combattendo solo per la nostra terra e per la nostra libertà».

Come fa notare Kira, ormai non si tratta più soltanto di una guerra tra Kiev e Mosca, «ma di una vera e propria scelta tra passato e futuro. Putin ha detto che smetterà di lottare se rinunceremo, tra le altre cose, all’Europa. Ma non ha capito che noi stiamo lottando proprio per far parte di questa famiglia». La guerra tra Russia e Ucraina sta scuotendo gli europei che hanno a lungo creduto nell’impossibilità di una guerra nel continente. E al tempo stesso li rende imbarazzati per il fatto che gli ucraini non debbano solo difendere il loro paese dall’aggressione russa, ma anche proteggere la democrazia, la libertà e il diritto degli Stati di determinare il loro destino. Esattamente gli stessi principi che stanno alla base dell’Unione Europea. «Questa guerra rafforza, con un orribile sussulto, la stessa ragione d’essere dell’Ue come progetto di pace. D’ora in avanti nessuno potrà dire che il motto fondante dell’Europa “Mai più” sia scontato», conclude Kira Rudik. «Noi non andiamo da nessuna parte. Questa è la nostra città, la nostra terra, il nostro suolo. Combatteremo per questo. E presto riuscirò a piantare i miei fiori. Qui».

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