“Noi ce la possiamo fare, il nostro processo non è la cosa più importante. Vorremmo chiedere questo alla gente: agite. Non potete rimanere in silenzio! Cercate un GoFundMe e aiutate gli adolescenti, dobbiamo fermare questo schifo”. Rolling Stone ha parlato con Anna Prus e Joanna Gzyra, le attiviste che insieme a Elżbieta Podleśna hanno diffuso l’immagine della “Madonna arcobaleno” e ora rischiano fino a due anni di carcere per “offesa al sentimento religioso”. Emilia Wisniewska, attivista del movimento Transfuzja, ci ha raccontato invece la situazione della comunità transgender, quella più esposta a discriminazioni e attacchi nel paese più omotransfobico d’Europa.
La Madonna nera di Czestochowa è venerata come una delle protettrici della Polonia. Il suo dipinto, che la leggenda vuole sia opera di san Luca in persona, è custodito nel santuario di Jasna Gora, uno dei centri di pellegrinaggio più importanti per i cattolici polacchi. Nel 2018, la “Rainbow Mary”, la Madonna con bambino ritratta con un’aureola arcobaleno, è diventata il simbolo dell’attivismo LGBT polacco contro l’omofobia della chiesa cattolica e del governo.
La seconda udienza del caso “Rainbow Mary” si è conclusa il 17 febbraio, ma non c’è ancora un verdetto: “La decisione del Tribunale è stata posticipata al 2 marzo alle 10”, ha detto a Rolling Stone ILGA Europe, l’associazione per la tutela dei diritti delle persone LGBT in Europa. Sull’account Twitter di Kampania Przeciw Homofobii (Campagna contro l’omofobia) si leggono le dichiarazioni delle tre imputate. “Non sono d’accordo nel definire l’orientamento sessuale o l’identità di genere di qualcuno un peccato”, ha dichiarato Gzyra. Prus ha dedicato il suo intervento agli adolescenti vittime di discriminazioni: “Per me, gli eroi sono quegli adolescenti LGBT che hanno il coraggio di uscire di casa e talvolta di non tornarci. Mi piacerebbe vivere il momento in cui non dovranno usare questo eroismo in questo modo, perché non ne avranno bisogno”.
La protesta è stata corale ma l’idea della corona arcobaleno è di Anna Prus. Nell’ottobre 2018 Prus decise di partecipare con un’azione politica al “Rainbow Friday”, un’iniziativa che in Polonia coinvolge genitori, studenti e famiglie per sensibilizzare sulle questioni LGBT. “Volevo preparare un’immagine che sarebbe stata un genitore con un bambino e collegarla alla religione cattolica. Stavo cercando immagini di Maria e Gesù per aggiungere una bandiera arcobaleno e diffonderla a Varsavia, di notte. Dopo qualche minuto di ricerca, Google mi ha mostrato l’immagine di una Madonna nera. Ho pensato subito di chiedere a un’amica di cambiare il colore della corona intorno alla testa per aggiungere l’arcobaleno”. Alla fine della prima udienza, a gennaio 2021, le attiviste hanno presentato alla stampa una nuova versione della Madonna nera, con la corona di rosa e azzurro, i colori della bandiera transgender: “Sappiamo che la bandiera arcobaleno è un simbolo per tutti, ma recentemente ci sono cose peggiori che succedono in Polonia e riguardano l’esclusione e l’incitazione all’odio verso le persone transgender”, afferma Prus.
L’azione di protesta è stata scatenata dalle parole di un vescovo che aveva invitato a fermare l’ideologia LGBT nelle scuole, dichiarando “nelle scuole non c’è posto per le ideologie politiche”. L’immagine della Madonna arcobaleno ha continuato a essere distribuita con poster e volantini fino all’arresto di una delle attiviste, Elżbieta Podleśna, nel maggio 2019. L’accusa: blasfemia e infrazione dell’articolo 196 del codice penale polacco che punisce “chiunque offenda il sentimento religioso di altre persone oltraggiando in pubblico un oggetto di culto religioso o un luogo dedicato alla celebrazione in pubblico di riti religiosi”.
Al momento dell’arresto di Podleśna, il ministro dell’Interno polacco Joachim Brudziński twittava: “Grazie alla polizia polacca per l’efficace identificazione e arresto della persona sospettata di dissacrare l’immagine della Madre di Dio che è stata sacra al popolo polacco per secoli. Nessuna favola di libertà e tolleranza dà il diritto di offendere i sentimenti dei credenti”. Secondo ILGA, la Polonia è lo Stato più omofobo d’Europa. La retorica politica e giuridica sulla protezione dei sentimenti religiosi, a scapito delle azioni di protesta, pone la Polonia nella posizione di tutelare le idee e gli oggetti sacri invece dell’integrità fisica e psicologica delle minoranze.
In Polonia la Chiesa cattolica e la politica sono unite in un sodalizio che vede nelle persone LGBT i nuovi capri espiatori: “Dalle proteste del 2019 la situazione è peggiorata”, afferma l’attivista transgender Emilia Wisniewska, “con la pandemia il governo ha scoperto che era possibile ridurre ancora di più le libertà”. A questo si aggiunge un peggioramento delle condizioni di vita delle persone transgender. “Negli anni precedenti l’omofobia in Polonia era rivolta soprattutto agli uomini gay ma da quando siamo visibili siamo diventati un bersaglio politico”.
Il pensiero corre subito a gesti semplici come due persone che camminano mano nella mano, Wisniewska sorride come se non fosse il problema peggiore: “Hai parlato di tenersi le mani in pubblico, ma semplicemente uno zaino arcobaleno o qualsiasi segno che ti rende una persona sospetta LGBT può renderti un bersaglio. Non ha nemmeno senso riportare questi episodi alla polizia”. Perché non agisce? “No, possono rendere la situazione peggiore e unirsi agli aggressori. Io ho pensato di denunciare un vicino di casa che mi ha offeso ma non ero sicura di quello che sarebbe successo. Se lo avessi fatto forse tutti gli altri vicini di casa si sarebbero uniti a chi mi ha attaccato”.
Un’altra testimonianza dell’omotransfobia di stato è la crociata dei comuni polacchi contro la “cospirazione LGBT”, iniziata dopo l’adozione della “Carta dei diritti LGBT” da parte del sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski, candidato perdente alle presidenziali del luglio 2020. Gran parte dei comuni polacchi ha adottato delibere contro le persone LGBT, 34 hanno promosso invece provvedimenti “moderati”, definiti “pro-famiglia”. Secondo il partito conservatore (PiS) del presidente Kaczynski, l’ideologia LGBT sarebbe non in linea con i valori della famiglia e della religione cattolica, pilastri della società polacca. Nel settembre 2020 Ursula von der Leyen, aveva condannato l’iniziativa omotransfobica delle città polacche: “Essere sé stessi non è ideologia, è la tua identità. Quindi voglio essere chiara: le zone LGBTQI-free sono zone senza umanità. E non hanno posto nella nostra Unione”.
Le protesta delle attiviste polacche contro la chiesa e lo stato è l’espressione di un movimento di protesta più ampio che coinvolge la battaglia delle donne polacche per la libertà e i diritti civili. Prus e Gzyra si sono conosciute a Varsavia a una manifestazione pro-aborto: “Pensiamo al femminismo in modi molto simili”, dice Gzyra. L’attivismo di Prus è radicato nella sua storia personale e rivela un forte senso di empatia per tutte le battaglie di libertà. Nel caso dell’azione a favore della comunità LGBT, l’attivista ricorda da cosa sia nata la rabbia e la voglia di cambiare le cose e il mondo: “Da attivista ho sviluppato questo bisogno di reagire quando c’è qualcosa su cui non sono d’accordo. So che posso fare di più di scrivere commenti su internet. Posso agire. A 17 anni ho avuto alcuni problemi con la mia salute mentale, come disturbi alimentari e depressione. Non sono queer ma ho avuto il supporto di amici che mi hanno accettato così come sono”.
Secondo un report di Kampania Przeciw Homofobii, a causa delle pressioni sociali, politiche e delle continue discriminazioni, il 63% degli adolescenti polacchi che si riconoscono non binari, gay, lesbiche, transgender o queer soffrono di depressione e rischiano il suicidio.