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La riforma della cittadinanza non può più aspettare

Mentre la società è sempre più multiculturale e a scuola, al lavoro e un po’ ovunque la retorica sui diritti pervade ogni discorso pubblico, la cittadinanza rimane un privilegio. È tempo di un cambiamento epocale

La riforma della cittadinanza non può più aspettare

Foto per gentile concessione di Ada Ugo Abara

Se c’è una riforma da approvare urgentemente in Italia è quella della cittadinanza. Proprio in questi giorni la legge in merito ha compiuto trent’anni, essendo stata approvata il 5 febbraio 1992. “Nuove norme sulla cittadinanza” si chiamava allora, ma il contenuto discriminatorio di quel testo è ancora meno accettabile adesso, perché da 356mila persone penalizzate siamo giunti a un milione e mezzo su 60 milioni.

Ancora oggi, 13 presidenti del Consiglio più tardi, non si è cittadini di fronte alla legge se si è figli di genitori di origine diversa da quella italiana, pur nascendo su suolo italiano, oppure se si nasce altrove e si vive qui stabilmente da meno di dieci anni. Nella maggior parte dei casi, inoltre, se si vuole acquisire questo diritto garantito alla maggior parte dei residenti, la domanda può essere rigettata anche a causa di una permanenza all’estero oppure di un reddito basso.

Così, mentre la società è sempre più multiculturale e a scuola, al lavoro e un po’ ovunque la retorica sui diritti pervade ogni discorso pubblico, la cittadinanza rimane un privilegio. Il Parlamento non si decide a prendere una decisione che avrebbe ricadute esclusivamente positive a livello sociale, con la conseguenza che chi vive qui senza tale riconoscimento resta escluso anche da una serie di attività che per la maggior parte delle persone sono prassi comune per condurre una vita degna, compresa la partecipazione a bandi, selezioni o concorsi che possono comportare una svolta significativa anche dal punto di vista professionale.

L’ultima novità in proposito è la decisione dell’Accademia dei David di Donatello di rendere candidabili ai premi anche i registi privi di cittadinanza, una scelta non comunicata ai media e ‘scoperta’ solo da chi lo scorso ottobre abbia consultato il nuovo regolamento d’iscrizione. Di conseguenza un giorno, con buona pace delle destre, tra le nominations per il miglior film potremmo trovare un regista che a lungo la politica ha considerato non – italiano. Ma se l’arte non ha confini, per molti altri ambiti questo non vale.

Ecco allora che a trent’anni da quella legge ora tanto contestata si è creata una Rete per la riforma della cittadinanza, composta da realtà quali Afroveronesi, ArisingAfricans, Black LivesMatter Bologna, QuestaèRoma, Festival Divercity, SonrisasAndinas, Collettivo Ujamaa, Rete degli studenti medi, Unione degli Studenti (UDS), Unione degli Universitari (UDU), Link, Rete della conoscenza, ActionAid Italia, Rete Saltamuri, Restiamo Umani Brescia, Volare e decine di attiviste e attivisti in tutta Italia. Oltre a una serie di iniziative in diverse città italiane, la Rete ha prodotto materiali utili a comprendere lo stato di avanzamento del dibattito, nella speranza che il trentesimo compleanno possa essere l’ultimo. Avrà forse contato lo spettacolo indegno offerto da molti deputati il giorno dell’affossamento del ddl Zan, quando mostrarono grande soddisfazione per essere riusciti ancora una volta a lasciare il paese privo di una legge che punisca omotransfobia, misoginia e abilismo.

E così la Rete per la riforma della cittadinanza ha scelto strategicamente di accorpare tre proposte di legge presentate nel 2018 (prima firmataria in un caso Laura Boldrini del Partito Democratico, nel secondo caso Renata Polverini di Forza Italia, nel terzo Matteo Orfini, di nuovo PD. Perché come spiega a Rolling Stone la presidente di ArisingAfricans Ada Ugo Abara, una delle associazioni aderenti, l’idea stessa di cittadinanza si è consolidata nel tempo e non ha senso parlare di ius soli o di ius culturae, come è stato fatto per anni.

«Noi parliamo di ius eligendi, e di cittadinanza non come concessione o come premio», come è stato fatto più volte nel caso di atleti con eccezionali meriti sportivi, ma senza porsi il problema del trattamento diseguale che questo significherebbe. Per la Rete creatasi, la cittadinanza deve poter essere una scelta, non deve avere un carattere di eccezionalità da attribuire a chi ha comportamenti che lo Stato considera meritori, oppure arrivare solo dopo il completamento di un ciclo scolastico, anche perché questo può essere condizionato dagli spostamenti della famiglia per ragioni di lavoro e di sopravvivenza.

Il documento di posizionamento della Rete è stato ricevuto dai membri della Commissione affari costituzionali e presto il coordinamento incontrerà la ministra Teresa Bellanova. Dopo anni di battaglie, ciò che lascia increduli è la manipolazione della discussione politica attorno a un diritto tanto elementare, come spiega Ada Ugo Abara: «Ci sono partiti che creano appositamente disinformazione, collegando questo tema alla lotta contro l’immigrazione illegale, ma bisogna invece parlare una volta per tutte di cittadini che hanno un coinvolgimento attivo nella società italiana, e che spesso hanno il contesto italiano come unico contesto di riferimento”.

E anche il glossario tipico andrebbe aggiornato: «Chiamano tutti “seconde generazioni”, anche quando apparteniamo alla terza o alla quarta. Continuare a bollarci come immigrati o figli di immigrati è un modo per segnarci a vita». L’attivista non rinuncia a raccontare come procedono realmente le cose nell’interlocuzione diretta con i parlamentari: «Al di là dell’appartenenza partitica, tutti ci hanno assicurato che si impegneranno per noi senza intestarsi l’eventuale vittoria, perché a breve potrebbero esserci nuove elezioni e una dichiarazione in merito potrebbe condizionare l’elettorato. Probabilmente ci sarà di nuovo chi farà false promesse e chi troverà scuse facili per rimandare la riforma, ma la nostra Rete lo contrasterà. Non nego ci sia disillusione e sospetto».

Il pensiero non può che andare al presidente della Commissione affari costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia, che più volte ha indicato una data entro la quale la commissione avrebbe finalmente dovuto produrre un testo di sintesi, seguendo a parole quanto chiesto anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Una proposta seria: dimmi di sì.

Ma ha sempre procrastinato. «L’ultima volta è stato in settembre, al Meeting Internazionale Antirazzista a Cecina Mare. Siamo in febbraio e ancora non abbiamo quel documento». Nel frattempo la bella campagna social proposta dalla Rete sotto forma di challenge (#ècambiatoQUASItutto, ma la legge sulla cittadinanza NO) è stata rilanciata da influencer e personalità del mondo dello spettacolo, con la possibilità di creare una propria variazione sul tema utilizzando uno schema impostato sull’app Canva. Nella mattina di ieri, lunedì 14 febbraio, giorno di San Valentino, è stato organizzato un flash mob romantico in piazza Santi Apostoli a Roma, seguito da una dichiarazione d’amore e da una proposta di matrimonio (#italiaDIMMIdiSì alla Riforma per la Cittadinanza) «perché ci sentiamo parte di una relazione, ma veniamo continuamente invisibilizzati».

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