La cosiddetta “variante indiana” del coronavirus – una doppia mutazione del virus a cui è imputata l’impennata dei contagi in India nelle ultime settimane – sembra essere arrivata in Italia. Circa due settimane fa è stata sequenziata per la prima volta a Firenze, e due giorni fa il ministro della Salute Roberto Speranza ha bloccato l’ingresso in Italia per chi proviene dall’India. Eppure, oggi arrivano i primi casi di variante indiana nel nostro Paese.
Due casi accertati riguardano due cittadini indiani residenti a Bassano, in provincia di Vicenza, rientrati da poco dall’India e in isolamento preventivo. A seguito di un tampone, si è scoperto che avevano contratto la variante indiana. Non sono però gli unici casi – anzi. A Latina, nel Lazio, sarebbe scoppiato un focolaio di coronavirus all’interno della comunità sikh, composta in buona parte da braccianti. 262 cittadini indiani sarebbero risultati positivi al Covid-19 dopo essere rientrati dall’India: non si sa ancora se si tratti della variante indiana, ma la provenienza dei malati e l’esplosione dei contagi lo fanno sospettare.
Il problema della variante indiana è che non sappiamo ancora molto della sua virulenza e della sua capacità di rendere inutili i vaccini. Ma il direttore del reparto di Mattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, ha spiegato che le varianti sono un bel problema, prendendo come esempio la variante inglese. “Nella variante inglese ci sono una quantità di mutazioni. Quella più importante è la N501Y, ed è quella attualmente dominante da noi. Fino a poco tempo fa abbiamo sostenuto che non fosse più cattiva della precedente, ma solo più diffusiva. Adesso invece, uno studio recente ha dimostrato un alto eccesso di mortalità. Ha una capacità di trasmissione dal 30 al 50% in più, coinvolge anche i bambini e i ragazzi. È più grave e mortale, soprattutto sugli anziani”.
La variante indiana di mutazioni ne ha due. Ma le particolari condizioni dell’India – un Paese grande, molto popolato e molto povero – rendono difficile paragonare l’incidenza della malattia e della mortalità lì con quella che potrebbe avere qui, dove le condizioni sono diverse.