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La vita degli insegnanti è un po’ come la nostra: a settembre torna a fare schifo

Dopo un concorso nazionale totalmente scollegato dalla realtà e all'insegna di criteri di valutazione oscuri e arbitrari, l'Italia si ritrova a corto di insegnanti. Il frutto del solito caos fatto di assegnazioni, supplenze e cattedre scoperte

Foto: Getty Images

I banchi sono al loro solito posto e anche le sedie. La campanella è pronta a suonare ad ogni ricreazione e pure penne e diari nuovi dovrebbero essere ormai negli zaini di milioni di studenti italiani. Tutto sembra in ordine per cominciare, ma la sensazione è che all’appello manchi ancora qualcosa: non ci saremo scordati degli insegnanti, vero? D’altronde non sarebbe la prima volta. Ogni nuovo anno scolastico che inizia – e che per alcuni istituti in realtà è già cominciato – si porta dietro alcuni vecchi soliti problemi, che ormai durano da così tanto che ci sembrano praticamente irrisolvibili.

Anche questa volta, infatti – potremmo dire come da tradizione – gli alunni entreranno in classe con il rischio concreto che dietro la cattedra non ci sia nessuno. Secondo le stime diffuse nelle ultime settimane, mancherebbero ancora tra i 150mila e i 200mila docenti di ruolo, professionisti cioè a tempo indeterminato che hanno vinto un concorso e a cui è stata assegnata una determinata sede per esercitare la professione. E non è colpa del Coronavirus. Queste cifre in realtà hanno nulla (o poco) a che vedere con gli effetti della pandemia. Le assenze erano già molto alte prima ancora dell’arrivo del virus.

Il vuoto che aleggia sulle scuole pesa principalmente su due categorie: la prima, ovviamente, è quella degli studenti. Chi è stato dietro ai banchi di scuola – non importa per quanto tempo – sa che cambiare spesso docente, ad esempio, o imparare a conoscerlo nel bel mezzo dell’anno scolastico, abituarsi al suo metodo di lavoro, può destabilizzare chi gli sta di fronte, o creare confusione e sconforto. Ma c’è una seconda categoria, che non se la passa meglio. È un po’ meno ovvia, probabilmente perché il tipo di società in cui viviamo ci costringe a credere che “va bene tutto, purché si lavori”. Quindi perché dovremmo credere che un supplente se la passi poi così male, se comunque un lavoro ce l’ha? (ed è pure quello che teoricamente gli piace fare?).

I docenti precari, con contratti di supplenza altrettanto precari, hanno invece tutto il diritto di sentirsi, anche loro, confusi e spaesati. D’altronde “funzionano” praticamente da tappabuchi, chiamati di corsa poco prima della campanella d’inizio per evitare di lasciare le classi vacanti e le “cattedre vuote” (un termine che ormai è quasi entrato a far parte del linguaggio comune e che ci risulta piuttosto familiare). Esistono delle specifiche liste provinciali di docenti supplenti (GPS), nate con lo scopo di velocizzare le assegnazioni di cattedre scoperte e da cui gli uffici scolastici attingono per pescare professori a settembre. Ma quando i supplenti non “servono” più, vengono rispediti a casa. Per intenderci: degli ultimi concorsi per le nomine in ruolo, la procedura non si è ancora conclusa. Significa che molti docenti partecipanti non conoscono ancora l’esito della prova. Quelli che risulteranno vincitori, dopo aver fatto i conti con i tempi burocratici (due mesi? Tre? Che si aggiungono ad un percorso che se tutto va bene dura almeno 5 anni) ne verranno a conoscenza quindi a scuola già cominciata.

A quel punto saliranno in cattedra sì, ma prendendo il posto di una parte dei supplenti – molti altri invece serviranno ancora. Anche in questo caso, però, gli intoppi non mancano. «La verifica dei titoli viene fatta all’atto dell’assunzione, per cui se i candidati dichiarano titoli e servizi in più rispetto a quelli reali le graduatorie vengono falsate. Intanto la scuola assume, fa la verifica nella migliore delle ipotesi nei primi 10 giorni di servizio, scopre che il punteggio è sbagliato, licenzia. Insomma, il solito balletto dei docenti che ricomincerà tra un mese quando arriveranno gli aventi diritto dai concorsi» ha riferito Giusy Signoretto, Cgil Scuola.

Il problema principale, si intuisce, è che le procedure per assumere nuovi insegnanti sono molto lente e ingarbugliate, e anche quando il Ministero dell’Istruzione riesce ad organizzare concorsi ordinari e straordinari per aumentare l’organico (con tempi comunque biblici), i bandi risultano insufficienti e il numero di candidati non ammessi troppo alto. Proprio nei mesi scorsi ha ricevuto numerose critiche la novità introdotta nel concorso ordinario di scuola secondaria: la prova scritta è stata sostituita da una serie di domande a risposta multipla, “quiz” che «non tengono conto dei reali programmi scolastici» e che selezionano docenti «con concorsi e abilitazioni a crocette senza preoccuparci di attitudine, capacità ed esperienza».

Il Veneto, ad esempio, avrebbe dovuto assumere circa 9mila insegnanti a tempo indeterminato, ma le nomine effettive alla fine hanno di poco superato i duemila posti. «I concorsi sono stati molto numerosi negli ultimi anni ma non hanno risolto il problema, ci sono stati moltissimi bocciati. Nel concorso ordinario ad esempio le bocciature hanno raggiunto il 75%», ha detto al Corriere Daniela Avanzi, esponente dello SNALS (Sindacato Nazionale Autonomo Lavoratori Scuola) regionale.

In una lettera aperta del Gruppo Docenti A012 (Italiano e storia) Toscana – del concorso ordinario 2020-2022 – che come molte classi ha subito numerose bocciature, gli aspiranti insegnanti scrivevano: «Si badi bene: questa non è una sterile lamentela o una richiesta di abbassamento degli standard. Siamo i primi a desiderare una scuola di qualità, fatta da professionisti qualificati. Siamo stati portati a rivolgerci al pubblico per segnalare una grave ingiustizia. Le azioni e l’atteggiamento della commissione ci fanno sentire sminuiti come docenti, come lavoratori, come persone. La nostra competenza non è stata minimamente tenuta in considerazione. I criteri di valutazione sono stati oscuri e arbitrari».

Stando a quanto pubblicato da Tuttoscuola, che ha messo insieme i dati pubblicati da ogni Ufficio Scolastico Regionale, «rispetto al numero di posti messi a concorso, a settembre ne verrà coperto da vincitori solo il 44%». Per fare un esempio, il concorso ordinario per la scuola secondaria ha assegnato 13.743 posti su 26.871. Di fatto poco più della metà: rimangono vacanti 13.128 posti, più di 6mila dei quali rimarranno effettivamente e definitivamente vuoti perché il numero di vincitori non è riuscito a coprire i posti messi a disposizione.

È intuibile che tentare di diventare insegnanti, e farlo per tutta la vita, è un terno al lotto. A poco sono servite le modifiche che i Governi che si sono susseguiti negli anni hanno apportato all’iter – le ultime risalgono allo scorso aprile – con l’intento di semplificarlo e renderlo più lineare. Anzi, il fatto che ogni esecutivo ci abbia messo del suo ha ulteriormente complicato le cose, aggiunto ritardi e creato incertezza. Sentimenti che rischiano di minare l’entusiasmo di un mestiere che alla base, forse prima ancora della conoscenza, deve essere sostenuto da una forte dose di passione e propensione all’altro. Ad oggi – o dovremmo dire piuttosto alla pubblicazione di questo articolo per via della rapidità con cui le cose cambiano – il decreto prevede che prima di salire in cattedra di ruolo, un docente debba completare tre step: abilitazione, concorso e periodo di prova.

Spiegando la prima fase e semplificandola al massimo, diciamo che essere abilitati significa possedere un titolo che consente a una persona di insegnare. Le semplificazioni finiscono qui, perché le cose già si complicano: l’abilitazione infatti varia a seconda del grado di istruzione – e l’ambito disciplinare – in cui l’individuo vuole lavorare. In alcuni casi potrebbe in concreto non bastare la laurea, che andrebbe invece integrata con ulteriori crediti extra. Senza queste condizioni non si può accedere al concorso. Superare poi quest’ultimo significa completare il secondo step: ma prima di poter ricoprire il posto a tempo indeterminato è necessario affrontare un anno di formazione.
I sindacati sono intervenuti più volte per segnalare che in effetti la via che porta all’insegnamento è troppo lunga, tortuosa e poco comprensibile. «Si entra in classe con migliaia di precari, tante cattedre vuote e tanti posti scoperti», ha detto Francesco Sinopoli della Cgil.

Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi si è comunque mostrato fiducioso, convinto che l’anno scolastico – che per molte regioni si apre oggi – avrà tutti gli insegnanti al loro posto. Lasciamo il beneficio del dubbio, ma la quiete si prospetta molto poco duratura: «Quest’anno si ripetono gli errori degli anni passati. Siamo di fronte a graduatorie sbagliate nella gran parte delle province e quindi sono state fatte nomine in ruolo probabilmente su graduatorie gran parte errate per punteggio, per preferenze, per calcolo dei titoli di studio» ha detto Ivana Barbacci, segretaria generale Cisl Scuola. Insomma: la storia si ripete.

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