Da giorni si discute moltissimo delle azioni radicali che Just Stop Oil – movimento per il clima nato da una scissione di Extinction Rebellion – sta compiendo per protestare contro le scelte del nuovo governo conservatore guidato da Liz Truss.
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Il più eclatante e discusso è il lancio dell’ormai iconica zuppa di pomodoro contro I Girasoli, dipinto di Van Gogh esposto nella National Gallery di Londra; il gesto, però, va inserito in un contesto più grande: gli attivisti, infatti, stanno facendo di tutto per catalizzare l’attenzione mediatica: ad esempio, venerdì (poche ore dopo i fatti della National Gallery) hanno spruzzato della vernice arancione sul quartier generale della polizia metropolitana di Londra; il giorno dopo, alcuni manifestanti affiliati al gruppo hanno bloccato una strada a Shoreditch (vi ricorda qualcosa?).
Le iniziative di Just Stop Oil hanno aperto un dibattito polarizzante: da un lato, c’è chi parla apertamente di “genialità”, lodando l’operato del gruppo e sottolinenando la necessità di azioni eclatanti per dare risalto all’esigenza di accelerare il processo di decarbonizzazione; dall’altro, c’è chi ritiene che questo genere di azioni non sia soltanto inutile ma addirittura nocivo, dato che non farebbe altro che accrescere l’antipatia e il sospetto dell’opinione pubblica nei confronti della mobilitazione ambientalista e, non dovesse bastare, creerebbe i presupposti per delle spaccature tali da frammentare il movimento stesso.
Non a caso, diversi utenti su TikTok e Twitter hanno iniziato (per la verità, con un fare un pelino complottista) a suggerire che la protesta della National Gallery non fosse altro che una false flag, uno specchietto per le allodole sapientemente congegnato dai nemici dell’industria petrolifera allo scopo di mettere in ridicolo gli sforzi che gli attivisti per il clima hanno compiuto negli ultimi anni.
Ovviamente, si tratta di una semplificazione dovuta ad alcuni dubbi che altre anime del movimento ambientalista nutrono nei confronti di Just Stop Oil. Il gruppo, infatti, è finanziato dal Climate Emergency Fund, organizzazione americana fondata da Aileen Getty (nipote del più celebre Jean Paul, filantropo e, notoriamente, magnate del petrolio).
La circostanza che la battaglia contro i combustibili fossili possa essere combattuta in prima linea dalla ricca ereditiera di un petroliere, se slegata da ogni contesto, può generare qualche (legittima) perplessità; tuttavia, è sufficiente un approfondimento minimo per apprendere, ad esempio, che la famiglia Getty è più coinvolta nell’industria petrolifera da decenni; peraltro, in un editoriale congiunto scritto con la collega ereditiera Rebecca Rockefeller Lambert sul Guardian, Aileeen non ha nascosto in alcun modo l’ambito d’affari della sua famiglia: «Le nostre storie personali ci obbligano a riconoscere pubblicamente ciò che sappiamo da molti anni: l’estrazione e la combustione di combustibili fossili sta uccidendo la vita sul nostro pianeta (…) Noi due siamo profondamente consapevoli che il petrolio ci ha concesso un privilegio straordinario. Grazie a quel privilegio, abbiamo l’opportunità di contribuire a un mondo in cui tutti hanno la possibilità di prosperare».
Al netto di questa precisazione, però, rimane un interrogativo da sciogliere: lanciare della zuppa addosso a un dipinto (protetto da una teca e con tutte le accortezze del caso, siamo d’accordo) può avere un qualche tipo di significato politico? Si tratta di un messaggio che, in qualche modo, potrebbe giovare alla causa ambientalista nel suo complesso?
La risposta breve è, per forza di cose, “no”: se l’obiettivo era quello di sensibilizzare quella (grande) porzione di opinione pubblica ancora lontana dalle istanze dei movimenti per il clima, be’, mission failed. Chi provava già in partenza una certa antipatia verso alcune modalità impiegate dai vari movimenti ecologisti, ora è più insospettito e galvanizzato che mai; dall’altro lato della barricata, il campo “amico” (quello che vuole diffondere il più possibile l’urgenza di porre fine alle emissioni climalteranti) rischia di uscirne più scollato e disunito.
Certo, il gesto può avere un qualche tipo di valenza se considerato nel suo situazionismo istrionico, valutando prettamente il lato artistico della performance; se, però, l’analisi passa dal particolare al generale, il discorso cambia: è un’azione isolata e incapace di sensibilizzare chi è ancora poco consapevole, per il semplice fatto che nessuno ha la possibilità di immedesimarsi nell’operato delle due attiviste. Come ha scritto Ferdinando Cotugno su Rivista Studio, «La disperazione dell’attacco a I Girasoli è inaccessibile, è impossibile da rendere collettiva, non apre ad alleanze, non allarga il fronte, non costruisce consenso ed è inutilizzabile in democrazia. È un buono spunto di conversazione, ma quella conversazione sarà su come sia giusto o non giusto protestare, non su quanto sia grave l’emergenza climatica o su cosa si possa fare per risolverla. Ed è autoreferenziale: la principale idea promossa da quei due minuti di video che abbiamo visto tutti è il brand Just Stop Oil, serve più per la competizione interna tra le organizzazioni per che per quella generale tra le urgenze». Il pomodoro verrà rimosso e, a ben guardare, l’unico risvolto possibile sarà quello di indurre la security della National Gallery a controllare un po’ più a fondo le borse prima dell’ingresso.
È un po’ quel che accade quando si sceglie di bloccare una strada, creando un disagio a migliaia di persone e credendo (falsamente) di far passare un certo tipo di messaggio. Il risultato? Ingorghi, aumento della possibilità di incidenti, rallentamento dei mezzi di soccorso, attivisti malmenati o trascinati come sacchi a pelo da lavoratori (totalmente incolpevoli) che schiumano di rabbia e titoloni a caratteri cubitali regalati a quei giornali che avversano in tutti i modi la causa.
Protesta Ultima Generazione : Rabbia per blocco sul Gra #UltimaGenerazione #Roma #Gra #localteam pic.twitter.com/ldkPvlncLL
— Local Team (@localteamtv) October 17, 2022