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Le scuole italiane sono di nuovo un campo di battaglia

Se ne parla poco, ma nelle scuole italiane sta nascendo un movimento di protesta di dimensioni che non si vedevano dai tempi dell'Onda contro la riforma Gelmini durante il quarto governo Berlusconi

Le scuole italiane sono di nuovo un campo di battaglia

Andrea Ronchini/NurPhoto via Getty Images

Per quanto poco se ne parli, a Roma sono state una settantina le scuole occupate in dicembre, prima della pausa per le vacanze di Natale. Una simile mobilitazione non si vedeva da oltre un decennio, dai tempi del movimento dell’Onda contro la riforma Gelmini durante il quarto governo Berlusconi. Tutto è iniziato ad ottobre, poco dopo il ritorno in classe dopo due anni di didattica pandemica. Proprio la DAD ha segnato un punto di non ritorno ed è stata il detonatore delle proteste legate ai tanti problemi ormai strutturali che la scuola italiana non ha mai affrontato, nonostante le riforme imposte dai vari governi.

Ha cominciato il liceo Rossellini, ma il dissenso è forte anche in altre città, come Torino, Firenze, Pisa e Bologna. Non è solo la situazione attuale, correlata all’andamento dei contagi, ad allarmare, ma anche Italia Domani, ossia la riforma che verrà attuata con il PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Plan), ossia i fondi – più di 30 miliardi di euro – messi a disposizione dall’Unione Europea per uscire dalla crisi economica innescata dal Covid-19. Una riforma il cui modello educativo non verrà discusso in Parlamento. I soldi infatti arriveranno e verranno spesi senza consultare in proposito docenti e alunni, che per questo stanno sviluppando una crescente sfiducia rispetto all’operato dei sindacati. A titoli di esempio, dopo anni di critiche ai test Invalsi, la Cisl ha pensato bene di chiedere proprio al direttore di Invalsi Dino Crestanini di fare una sintesi della del PNRR Scuola. Italia Domani prevede sei riforme che riguardano “la riorganizzazione del sistema scolastico, la formazione del personale, le procedure di reclutamento, il sistema di orientamento, il riordino degli istituti tecnici e professionali e degli Istituti Tecnici Superiori”. Questo avverrà attraverso alcunei linee di investimento: nuove scuole, asili nido e scuole dell’infanzia, mense e strutture per lo sport, messa in sicurezza, scuole 4.0 (in riferimento alla transizione digitale), riduzione divari territoriali, Istituti Tecnici Superiori, didattica digitale, nuove competenze, estensione del tempo pieno. Si tratta quindi anche di ripensare l’edilizia scolastica, la formazione del personale e il suo reclutamento. 

Nella lettura degli studenti in stato di agitazione, il Piano mira a produrre più che altro studenti ‘performanti’ – stessa logica dei test Invalsi – e a garantire manodopera ad uso dei privati, cosa cui i ragazzi iniziano a sperimentare con l’Alternanza scuola – lavoro, basata su accordi con grandi aziende come McDonald’s, Zara, Fico, Edison o Autogrill. Analogamente, ai docenti si chiede di essere sempre più al servizio della burocrazia scolastica, e per farlo non è previsto alcun aumento. Ma anche di fronte a un giudizio più benevolo delle riforme in arrivo non si può non vedere la distanza tra gli estensori e chi la scuola la vive ogni giorno. 

A Roma, ad esempio, la pandemia ha portato diversi istituti e cambiare l’orario di ingresso per evitare il sovraffollamento nei mezzi pubblici, ma fissarlo alle 9.40 costringe molti studenti a rientrare a casa anche dopo le 16, complice l’inaffidabile rete dei trasporti della capitale. Di conseguenza, meno tempo per studiare e quindi per diventare come il PNRR li vorrebbe. E senza poter mangiare più di un panino, come aveva sottolineato anche il presidente dell’Associazione nazionale dei presidi Antonello Giannelli già in settembre.

Lo stesso accade quando per garantire il distanziamento e l’aerazione alcune attività devono essere svolte in altre sedi, comportando lo spostamento dell’intera classe. Anche volendo accogliere di buon grado quanto annunciato da Italia Domani, per poter vedere realizzare le nuove opere di edilizia scolastica ci vorranno alcuni anni e dunque gli studenti del 2021 non ne beneficeranno. Non c’è pace nemmeno a ricreazione, perché le misure attuali non permettono di uscire dall’aula. E se la Rete della conoscenza chiede “il 5% del PIL in istruzione, legge quadro nazionale sul diritto allo studio, ampliamento no-tax area verso la gratuità dell’università, riforma di tirocini e PCTO [percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento], coinvolgimento della componente studentesca nei processi di riforma di scuola e università”, ci sono esigenze condivise da tutti, anche da chi non ha un posizionamento politico e non ha ancora letto né i punti di Italia Domani, né la Legge di Bilancio.

Alla scuola del 2021 gli studenti chiedono di essere un luogo di confronto, soprattutto rispetto ai fatti di attualità (spesso si fa riferimento ai processi Cucchi e Lucano), ma anche su salute mentale, alimentazione, sessualità e altri aspetti della vita quotidiana che la pandemia ha trasformato. Agli insegnanti non è vietato accogliere queste richieste degli studenti, ma dovendo rispondere ai criteri di competitività annunciati saranno in pochi a farlo. Eppure ci sono dati che dovrebbero preoccupare. Secondo ActionAid, nel 2020 molti giovani hanno lasciato gli studi prematuramente: circa l’11% al nord e al centro, fino al 19% in Sicilia. Per quanto riguarda l’edilizia, su 53313 edifici scolastici, meno di uno su due dispone del certificato di agibilità (42,1%) e di collaudo statico (47,6%), come rivela l’ultimo Rapporto ecosistema scuola di Legambiente.

Il desiderio di una scuola diversa sembra non essere condiviso da nessuno degli interlocutori della Gen Z romana. Fatta eccezione per l’assessora Claudia Pratelli, che si occupa da anni di istruzione e ha militato sia nella CGIL che in Sinistra Italiana, gli altri incontri voluti dagli studenti non sono serviti a nulla. Alcuni studenti del Liceo Ripetta – e forse vale la pena ribadire che si tratta di minorenni – sono stati caricati mentre cantavano “Via, via la polizia” al momento dello sgombero. Il video è apparso anche in alcuni telegiornali, ma la dirigente scolastica Anna De Santis, oltre ad aver chiesto personalmente l’intervento delle forze dell’ordine, ha poi negato le violenze. 

Qualcosa di simile è successo anche al liceo Argan, i cui studenti hanno denunciato a metà dicembre, oltre alla difficoltà di rispettare gli orari attuali, “doppia fascia, topi in centrale, termosifoni poco funzionanti, classi pollaio, infiltrazioni, ricreazioni troppo brevi, stucco cadente dal soffitto, cavi scoperti, bagni guasti”. Il dirigente scolastico Nicola Armignacca in una circolare ha associato l’occupazione a reati contemplati nel Codice Penale: interruzione di pubblico servizio ed occupazione di edificio pubblico, appunto. Dopodiché ha deciso di chiudere i ragazzi all’interno, inibendo ogni via di fuga.

Al liceo Plauto un altro episodio: studenti spintonati dalla polizia e portati al Commissariato di Spinaceto. Anche istituti frequentati dai più abbienti, come il Tasso e il Visconti, hanno partecipato alla contestazione del Governo Draghi. 

A quel punto il direttore dell’ ufficio scolastico regionale del Lazio, Rocco Pinneri, ha inviato una circolare rivolta ai dirigenti, in cui precisa che non parlerà mai con chi occuopa. “Vi chiedo” – ha scritto – “ove vi troviate in questa situazione, di denunciare formalmente il reato di interruzione del pubblico servizio e di chiedere lo sgombero dell’edificio, avendo cura di identificare, nella denuncia, quanti possiate degli occupanti”. Pinneri fa anche coincidere i ‘vandali’ con gli ‘untori’: “In due scuole le occupazioni hanno condotto a contagi per l’inosservanza delle misure di prevenzione”, scrive.

Se la repressione delle manifestazioni degli universitari è un fatto ricorrente nella storia del nostro paese, quella nei confronti degli studenti medi era, fino a un mese fa, poc documentata: si è avuta ad esempio all’epoca dell’Onda a Roma, nel novembre 2011 a Torino, nel 2015 a Milano e Napoli. E ci sono state personalità politiche, come l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che hanno addirittura utilizzato la propria voce per invocare l’uso della violenza di stato per reprimere questa forma di dissenso. Oggi però quasi nessuno conduce una battaglia al fianco dei giovani e nemmeno si pensa a dedicare loro uno spazio nei talk show, perennemente animati dal dibattito sulla gestione della pandemia, come se non fossero proprio loro a pagare il prezzo più alto da due anni a questa parte. Il dibattito politico, anche in tv, tende ad ignorarli. I ragazzi hanno chiesto un incontro con il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi, economista, in carica da febbraio. Il ministro non si è ancora espresso a riguardo e interviene solo per garantire che il 10 gennaio si rientrerà in classe. Alcuni pensano che dialogare con lui potrebbe servire a qualcosa, mentre altri pensano che non serva a nulla nemmeno occupare. Ma sono tutti accomunati dall’essere invisibili agli occhi degli adulti.