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L’elezione di Yoon Suk-yeol segna l’approdo del trumpismo in Corea del Sud

Il neo presidente ha promesso di abolire il ministero delle Pari opportunità e di deregolamentare il mercato immobiliare, e in molti temono che possa alzare il livello della tensione con la Corea del Nord, spingendo Pyongyang a condurre nuovi test missilistici

Foto di Chung Sung-Jun/Getty Images

Mentre l’attenzione mediatica è interamente catalizzata dagli sviluppi dell’invasione russa in Ucraina, la Corea del Sud ha consegnato ai posteri una pagina importante della sua storia recente. Mercoledì il candidato conservatore Yoon Suk-yeol ha vinto le elezioni, imponendosi per una manciata di voti (48,6%) su Lee Jae-myung, candidato del partito di centrosinistra (Minju) – che si è fermato al 47,8%, venendo sconfitto per poche centinaia di migliaia di preferenze. Avvocato 61enne digiuno di esperienza politica, ma con un passato prestigioso nella giustizia coreana – ha ricoperto l’incarico di procuratore generale tra il 2019 e il 2021 – la popolarità di Suk-yeol è cresciuta esponenzialmente grazie agli arresti eccellenti che ha portato a termine negli ultimi anni, tra cui quello di Lee Jae-yong, CEO di Samsung, e dell’ex presidente sudcoreana Park Geun-hye, deposta con un voto di impeachment nel 2017, che gli hanno consentito di balzare agli onori della cronaca come un candidato incorruttibile e “con la schiena dritta”.

L’inizio del mandato di Yoon Suk-yeol coincide con un momento delicatissimo per la repubblica sudcoreana, già titolare del poco invidiabile primato di Stato asiatico con la peggiore disparità di reddito – una realtà drammatica che, nei tempi più recenti, è stata fotografata molto bene da alcune opere di finzione, come Parasite e Squid Game. Anche l’ineguaglianza di genere dal punto di vista salariale rappresenta una problematica di primo piano: il gender pay gap è pari al 34,6%, a fronte di una media OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) del 13,1%, il peggiore tra tutte le nazioni industrializzate.

A queste problematiche di natura sistemica, riflesso di un retroterra culturale ben preciso – il sistema d’istruzione coreano è conosciuto tanto per i suoi standard di assoluta eccellenza, quanto per il suo carattere estremamente rigido, che sfocia in una feroce competizione che investe in prima battuta l’ambito accademico e, successivamente, quello lavorativo – va ad aggiungersi una delle gestioni della pandemia più disastrose al mondo. Ne abbiamo avuto un esempio lo scorso 2 marzo, quando la Corea del Sud ha registrato oltre 200mila nuovi casi di positività, mentre la variante Omicron continua a diffondersi senza soluzione di continuità.

In un contesto del genere, il nuovo presidente sarà chiamato a far fronte a sfide cruciali per il futuro del Paese: la fiducia nei confronti della classe politica è ai minimi storici, e se da un lato l’intervento dello Stato, per forza di cose, rappresenterà la chiave di volta per porre un freno alla crisi, dall’altro le ricette economiche di cui Suk-yeol si è sempre detto un entusiasta sostenitore convincono ben poco – in passato ha citato l’economista Milton Friedman e il suo saggio più celebre, Free to Choose: A Personal Statement, come due delle sue principali fonti d’ispirazione, palesando senza troppi problemi le sue simpatie per il laissez-faire.

Coerentemente a questa visione, da quando ha scelto di partecipare alla corsa presidenziale presentandosi come “il nuovo che avanza”, Suk-yeol ha promesso che assegnerà un nuovo ruolo al governo centrale, distaccandosi dal sentiero tracciato dal predecessore Moon Jae-in; il compito del governo sarà quello di assistere le imprese per facilitarne la crescita, attraverso l’erogazione di 50 trilioni di won (40 miliardi di dollari) che dovrebbero aiutare i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi colpiti dalla pandemia a rimettere in moto la giostra dei consumi. Anche la deregolamentazione del settore immobiliare rappresenterà uno dei fiori all’occhiello del programma del People Power Party: secondo Yoon, le attuali normative sulla proprietà dovranno essere allentate e guidate da «principi di mercato», innescando una corsa al mattone che, nei suoi piani, dovrebbe sfociare nella costruzione di due milioni e mezzo di case nei prossimi cinque anni, di cui 500mila nella sola Seoul.

A preoccupare sono anche i progetti messi in cantiere sul fronte della politica estera: diversi esperti temono che il nuovo presidente possa alzare il livello della tensione con la Corea del Nord, spingendo Pyongyang a condurre nuovi test missilistici e provocando una recrudescenza del conflitto – nel suo primo discorso in diretta nazionale, mandato in onda ieri, Suk-yeol ha affermato di voler mantenere una linea più dura nei confronti delle provocazioni di Kim Jong-un, definite «illecite» e «irragionevoli». Anche su questo punto, Suk-yeol ha voluto marcare sin da subito una netta discontinuità rispetto all’approccio della precedente amministrazione, che ha provato a seguire la strada del dialogo e della riconciliazione pacifica. Ecco perché alcuni analisti temono che le relazioni inter-coreane possano deteriorarsi fino a tornare ai livelli di crisi vissuti nel 2017, quando l’intensificazione dei test e la volontà di riarmo di Pyongyang hanno spinto Stati Uniti e Corea del Sud a mostrare i muscoli – in quell’occasione, Donald Trump minacciò di rispondere alle provocazioni con «fuoco e fiamme».

Il conservatorismo della nuova amministrazione potrebbe trasformarsi nell’anticamera di un ulteriore passo indietro anche sul fronte dell’uguaglianza di genere: Yoon ha a più riprese attaccato i movimenti femministi, accusandoli di essere la causa del basso tasso di natalità del Paese, e ha promesso di abolire il ministero per la Parità di genere, che a sua detta si concentra troppo sui diritti delle donne ed è ormai un dicastero anacronistico; inoltre, ha proposto di aumentare le punizioni per le false accuse di violenza sessuale – un’eventualità che, secondo alcune attiviste, potrebbe dissuadere un numero crescente di donne dal denunciare le molestie.

Sul fronte energetico, Yoon ha intenzione di percorrere in maniera convinta la strada dell’energia nucleare, riprendendo la costruzione, sospesa nel 2017, di due reattori – Shin-Hanul numero 3 e numero 4 – nella contea costiera di Uljin, 330 chilometri a sud-est di Seoul; inoltre, ha promesso di garantire il funzionamento degli attuali reattori, attraverso i quali il Paese manterrà la quota dell’energia nucleare al livello attuale, pari a circa il 30%. Com’è facile intuire, nelle ultime ore diverse fonti hanno sottolineato diversi parallelismi tra l’avvento di Suk-yeol e l’epopea presidenziale di Donald Trump, evidenziando ad esempio la loro estraneità alle trame di palazzo, l’intransigenza sulle politiche migratorie e la tendenza a pronunciare pubblicamente discorsi irricevibili in qualsiasi Stato che voglia definirsi democratico – ad esempio, quando a ottobre ha visitato la città di Busan durante una delle tappe del suo tour elettorale, Yoon ha elogiato l’operato di Chun Doo-hwan, il capo della dittatura militare che tenne in pugno la Corea del Sud dal 1980 al 1988 in seguito a un colpo di Stato, famoso per aver represso nel sangue le proteste di Gwangju senza scusarsi fino alla sua morte, consumatasi nel novembre del 2021, all’età di 90 anni. Che dire: forse il trumpismo ha fatto breccia in Corea del Sud.

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