Quando hanno messo in carcere sua madre, Mehrangiz Kar, Azadeh Pourzand ha trascorso la maggior parte del tempo in macchina insieme a suo padre. A Teheran. Piangevano entrambi, cercando di trovare un modo per riportarla a casa. Azadeh Pourzand è una giovane donna iraniana. È una ricercatrice e attivista per i diritti umani insieme ad Amnesty International, un esule (vive a Londra con il marito), una dissidente. Nata in una famiglia di giornalisti e attivisti, Azadeh ha visto suo padre Siamak Pourzand, uno dei più importanti dissidenti iraniani, suicidarsi nel 2011, a 80 anni, gettandosi dal sesto piano della casa di Teheran in cui viveva agli arresti domiciliari dal 2006. Da quel giorno, è cambiato tutto. A partire dalla creazione della Siamak Pourzand Foundation (SPF), nata per “promuovere la libertà di espressione per artisti, giornalisti e attivisti che usano mezzi creativi e pacifici per aumentare la consapevolezza. Difendiamo anche le diverse etnie e le minoranze religiose nel Paese”.
Da oltre un mese in Iran, in seguito al caro benzina, sono riprese le proteste. Amnesty International parla di almeno 304 morti nella repressione.
L’Iran è a un difficile punto di svolta. La Repubblica Islamica è nota da decenni per le sue violazioni dei diritti umani. Questa volta le manifestazioni hanno raggiunto più persone in tutte le province. Come accaduto nel dicembre del 2017, i manifestanti provengono prevalentemente dai segmenti meno ricchi e più emarginati della società. Invece di ascoltare le loro richieste e agire in modo responsabile, la Repubblica islamica ha risposto con i proiettili e la forza. Secondo varie stime il numero di detenuti delle proteste raggiunge le migliaia, sarebbero almeno settemila.
L’accesso alle informazioni non è semplice.
Oltre alla solita mancanza di trasparenza, questa volta le autorità hanno chiuso Internet durante le proteste, disconnettendo gli iraniani l’uno dall’altro e dal mondo. In sostanza, hanno disconnesso la nazione e nel frattempo hanno ucciso e imprigionato i manifestanti. Hanno esplicitamente dichiarato che non eviteranno di usare le forme più severe di punizione contro coloro che identificheranno come “leader” delle proteste, sottolineando che in molti casi si tratta di donne. Questo ci preoccupa ancora di più.
At least 304 people were killed in the bloody crackdown on protests in Iran in November. Thousands of others have been arrested and are at risk of torture#IranProtests https://t.co/BEcjPcb9FQ pic.twitter.com/hjl6TfGqjs
— Amnesty Iran (@AmnestyIran) December 16, 2019
Com’è la vita quotidiana di una donna in Iran?
Le donne lottano contro varie forme di discriminazione nella Repubblica islamica. Uno degli esempi più noti, che credo in molti modi sia simbolico del controllo e della repressione dello stato contro le donne, è il velo obbligatorio. Non indossare il velo è considerato un crimine, punibile dalla legge.
Da mesi le donne in Iran protestano contro questa imposizione.
E protestare per il velo obbligatorio può essere un crimine più grande, poiché le libertà di espressione, associazione e assemblea non sono concesse incondizionatamente ai cittadini iraniani. Poi ci sono le leggi sulla famiglia che non considerano le donne e gli uomini uguali. Mentre gli uomini hanno il diritto al divorzio, le donne non possono chiederlo, fatta eccezione per situazioni molto specifiche che sono difficili da dimostrare. Infine il lavoro: per esempio alle donne non è consentito esibirsi come cantanti soliste, se non esclusivamente per donne. Nonostante tutto le donne iraniane hanno fatto molto per difendere i loro diritti, avanzando anche in vari aspetti della vita, tra cui l’istruzione superiore, le arti, la scienza. Hanno dimostrato di essere inarrestabili.
Come attivista e donna, ha paura per la sua vita?
Ho perso la mia casa, la mia tranquillità e il mio paese da adolescente. Abbiamo anche perso molti amici di famiglia a causa di omicidi guidati dallo stato e omicidi di intellettuali sia in Iran che in Europa. Quando ero un po’ più grande, ho perso mio padre e ho visto mia madre soffrire in esilio. Di conseguenza, fatico a sentirmi sicura. A volte, penso di non avere molto altro da perdere. Mi guardo indietro e mi rendo conto che tutto ciò che ho in Iran è la tomba di mio padre che non ho nemmeno potuto visitare a causa dell’incapacità di tornare a casa in sicurezza. Tuttavia, la mia famiglia e i miei amici mi ricordano che c’è sempre qualcosa in più da perdere. E, naturalmente, temo per me.
È stata minacciata?
Spesso le autorità cercano di hackerare gli account di e-mail e social media degli attivisti; ci hanno provato anche con i miei. Da bambina, venivo interrogata da quelli a cui ci siamo abituati a riferirci come “interrogatori di famiglia”. Venivano a casa nostra, ci mostravano documenti d’identità falsi e c’interrogavano, minacciandoci come famiglia per ore. Le prime volte piangevo molto poi è diventata, come tutto il resto, una parte normale della mia vita.
Qual è l’insegnamento più prezioso ricevuto da suo padre?
Direbbe: “La tua voce è la tua dignità; è il tuo potere. Non lasciare che nessuno ti dica diversamente!”.
Come lo ricorda?
Si radeva il viso alcune volte al giorno per mostrare alla Repubblica islamica che non potevano trasformarlo in un uomo barbuto. La barba era considerata un look ideale per gli uomini che aderivano alla Repubblica islamica. Indossava la cravatta anche quando scendeva a mettere la spazzatura fuori, perché la Repubblica islamica non voleva la cravatta. Si scusava con me ogni volta che indossavo il mio velo obbligatorio di fronte a lui. “Mi dispiace che tu debba passare questo. Mi dispiace di non poter evitarlo a te e alle tue amiche”, diceva quasi ogni mattina.
Oggi cosa direbbe a una giovane iraniana?
Sei potente. Le tue ricerche per l’uguaglianza di genere, la fine della discriminazione, della giustizia e della libertà sono legittime. Il mondo ammira il tuo coraggio. Non lasciare che ti facciano pensare diversamente. Non sei sola.