Una vecchia battuta di Daniele Luttazzi – prima del famigerato editto bulgaro di Berlusconi e della sostanziale scomparsa del comico romagnolo dalla scena pubblica – faceva più o meno così: “Cose da non fare a un funerale, numero #: imitare la voce del defunto durante la funzione”. In Italia abbiamo tanti tabù, e altrettanto forte di quello del non scherzare in presenza dei morti, c’è quello secondo cui le istituzioni devono sempre essere seriose, neutrali, depotenziate anche nel linguaggio. Insomma, senza alcun senso dell’umorismo.
Ne abbiamo avuta la prova nei giorni scorsi, in occasione dell’esito delle richieste relative al tanto atteso reddito di cittadinanza – principale elemento della vittoria del M5S alle ultime elezioni politiche. I social media manager della pagina “INPS per la famiglia” sono stati letteralmente presi d’assalto dai cittadini inferociti (giustamente, anche se in molti, tra cui noi, avevano provato a metterli in guardia) per avere ricevuto sussidi molto più bassi del previsto, in molti casi nell’ordine dei 40, 80, 100 euro.
E quindi cosa hanno fatto questi soldati di fanteria del terziario, di fronte a una folla virtuale che spesso si dimostrava aggressiva, incapace di cogliere il punto della questione, e a volte pure un po’ sgrammaticata?
Hanno risposto per le rime, in molti casi rimproverando apertamente gli autori delle domande più surreali e gli interlocutori meno ricettivi, o addirittura facendo notare a chi lo dichiarava allegramente che lavorare in nero in Italia è ancora un reato, non qualcosa da sbandierare sulla pagina di un’istituzione pubblica. I commenti degli admin della pagina sono presto diventati virali, scatenando l’ammirazione di alcuni e l’indignazione di altri, e facendo a loro volta nascere profili fake (come “INPS per le famiglie”) e commenti inopportuni sulla pagina ufficiale da parte degli altri utenti, improvvisatisi in troll per l’occasione. Insomma, il caos.
Oggi gli admin di INPS per le famiglie sono stati costretti a pubblicare un post, in cui colgono “l’occasione per scusarci con quanti possano essersi sentiti toccati od offesi da alcune nostre risposte”.
Quindi noi, ora, dobbiamo scegliere da che parte stare. Vogliamo vedere come positivo il fatto che un’istituzione scelga di utilizzare un linguaggio più vicino al cittadino? La parte di noi più elitista e massimalista gode nel vedere lo scempio di quella colossale presa per il culo che è il reddito di cittadinanza, e spera che tutta la rabbia che è stata fomentata da una certa parte politica ora le si rivolti contro (con tutti i pericoli che questo comporta).
Ma la parte di noi più razionale si rende conto che lo Stato non deve abbassarsi al livello della ggente, e così se il tuo interlocutore ha orecchie da coniglio nella foto del profilo (e risponde a un nome composto da un cartone animato + un inno alla propria squadra), lo Stato deve comunque mantenere un atteggiamento istituzionale.
E la parte di noi più sofisticata vede in questa svolta di tono, in questo sense of humor da parte di un’istituzione tutto tranne che vispa o sexy, come l’Inps, come qualcosa che ci avvicina al modo di intendere la cosa pubblica del mondo anglosassone o del nord Europa.
La verità è che la parte di noi che si ritrova a vivere nell’Italia del 2019 non ci capisce un cazzo. Quello che è successo con il reddito di cittadinanza e con la svolta social dell’Inps è solo l’ennesimo tassello del tangram sbilenco che è la politica (e la società) di questo Paese, oggi. Viviamo in una dimensione in cui tutto è grave, ma niente è più serio.
Una cosa però abbiamo capito. Chiunque fosse dietro i commenti social dell’Inps, che sia un team ben coordinato o una scheggia impazzita, è bravo in quello che fa. Ha una carriera assicurata. Forse non nell’Inps, ok. L’Italia non è ancora pronta.