Scegliere di non mangiare per provare a influenzare l’agenda politica: Ruggero Romano Reina, attivista di Extinction Rebellion, ha fatto la sua parte con uno sciopero della fame sotto il palazzo della Regione, a Torino. E con la sua protesta qualcosa ha ottenuto: dopo otto giorni di digiuno, il 24 gennaio, la conferenza dei capigruppo ha infatti deciso di convocare un consiglio straordinario – in programma per lunedì prossimo – dove verranno sentite associazioni ed esperti del settore per, si legge, «studiare soluzioni concrete allo stato di emergenza ecoclimatica e raggiungere l’obiettivo Ue della riduzione del 55% delle emissioni climalteranti entro il 2030».
Ruggero è un ragazzo di 27 anni, è laureato in scienze e tecniche psicologiche ed è originario di Catania. Lavora in una comunità psichiatrica, anche se non ci è andato nei giorni dello sciopero della fame, che è iniziato il 16 gennaio. Ogni mattina, imbacuccato dalla testa ai piedi per ripararsi dal freddo, è stato in presidio nel pieno centro di Torino, in piazza Castello. Ha protestato con un cartello in mano che scandiva il numero di giorni in cui non toccava cibo. Una protesta così drastica, imitata anche da altri attivisti in sciopero a Roma davanti al ministero della Transizione ecologica, è sintomo di quanto il movimento, diventato famoso per le azioni di disobbedienza civile nonviolenta, prenda a cuore la causa del clima.
«Non posso rimanere passivo», diceva Ruggero nel pieno della protesta. «Il fatto che io non mangi e che metta a repentaglio il mio corpo è un gesto metaforico: l’inazione dei governi ha effetti su tutti i corpi. Lo sciopero che sto facendo lo mette solo in luce». Della passività della politica sono anche responsabili i media: secondo Ruggero «non se ne parla abbastanza, non c’è consapevolezza che la crisi climatica ed ecologica dev’essere affrontata con la massima urgenza». Un esempio delle ricadute sociali ed economiche, è l’attuale crisi energetica: l’abbandono del fossile è ancora difficile soprattutto per i rilevanti interessi geopolitici. Una crisi che, per Ruggero, «non è conseguenza della transizione, ma è colpa del ritardo nella transizione».
Per il Piemonte, il ritardo è particolarmente critico. Il recente report di Legambiente “Mal’Aria” dimostra che le azioni di Extinction rebellion non sono poi così disancorate dalla realtà. Il documento evidenzia che, nel 2021, Torino e Alessandria hanno fatto parte di una classifica ben poco edificante, ossia quella delle città con la media annuale più alta di polveri sottili PM10. Rispettivamente 36 e 35 microgrammi per metro cubo, a fronte del limite di 40 stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La stessa Legambiente raccomanda, per poter tornare a respirare aria pulita, una riduzione media delle concentrazioni di oltre il 50% per poter rientrare nei parametri fissati dall’OMS. In più, nel novembre 2020 la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia per la scarsa salubrità dell’aria nelle città italiane, che hanno sistematicamente sforato in dieci anni, dal 2008 al 2018, i limiti di PM10.
Per quanto riguarda il Piemonte, l’obiettivo di Ruggero è quello di denunciare apertamente un’operazione di greenwashing politico. Sul sito istituzionale si prende atto dell’emergenza climatica, citando i dati ufficiali diffusi dalll’Ipcc, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. Ma agli intenti sbandierati, secondo l’attivista, «non è seguita nessuna politica concreta. Abbiamo un piano regionale e una strategia regionale sui cambiamenti climatici che dovrebbero implementarlo, ma a tutt’oggi sono solo documenti di indirizzo”. L’obiettivo di riduzione del 55-60% delle emissioni globali, e quindi anche della regione, entro il 2030, non è stato accompagnato da alcuna road map per metterlo in pratica. «Alcuni giornalisti sono venuti a dirmi che il Piemonte è una regione green», racconta a Rolling Stone Ruggero. «Non basta dirlo, non basta piantare due alberi. Sono le politiche che dimostrano che si va verso un’economia sostenibile». L’attivista ricorda anche l’alluvione di fine ottobre a Catania: «i miei genitori si sono ritrovati la casa allagata. Anche la Sicilia sta attraversando le conseguenze della crisi: da anni si parla di desertificazione e delle enormi difficoltà nell’agricoltura».
Lo sciopero di Ruggero ha ricevuto la solidarietà dei partiti di opposizione in consiglio regionale, che hanno fatto pressing per la convocazione della seduta del 21 febbraio, la conditio sine qua non posta da Ruggero per interrompere lo sciopero. Marco Grimaldi, che aveva incontrato l’attivista durante la protesta, ha fatto da tramite per chiedere che l’assemblea fosse aperta, sostenendo che «il momento di agire era già ieri, ma oggi possiamo e dobbiamo dare una risposta». Tra gli esperti che interverranno ci sarà anche il climatologo e divulgatore Luca Mercalli.
Un primo, timido passo verso un’agenda sui cambiamenti climatici condivisa con i cittadini, o un’operazione di facciata? Si vedrà. Ma che nei palazzi entrino movimenti come Extinction rebellion, Fridays For Future, Greenpeace, Legambiente e altre realtà pronte a intervenire, è già una grossa boccata d’ossigeno. Come lo sciopero della fame di Ruggero, che ha il sapore dell’aria nuova e pulita.