Per la prima volta nella storia italiana, un malato è riuscito dopo una lunga battaglia a ottenere il via libera per il suicidio medicalmente assistito. A potervi accedere sarà Mario – il nome, di fantasia, è stato scelto per tutelarne la privacy – un paziente tetraplegico di Pesaro immobilizzato da dieci che da oltre un anno chiedeva che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere legalmente a un farmaco letale che mettesse fine alla sua sofferenza.
Dopo il diniego dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche (ASUR), una prima e una seconda decisione definitiva del Tribunale di Ancona e due diffide legali all’ASUR Marche – per un totale di 14 mesi di battaglie – l’uomo ha finalmente ottenuto il parere del Comitato etico, che ha accertato che Mario possiede i requisiti per accedere legalmente al suicidio assistito.
Secondo la legge, infatti, il suicidio medicalmente asstito è possibile quando il paziente è tenuto in vita da trattamento di sostegno vitali, è affetto da una patologia irreversibile che è fonte di sofferenze intollerabili ed ha piena capacità di prendere decisioni consapevoli. La disposizione è piuttosto recente: il diritto è stato riconosciuto nel 2019 con una sentenza della Corte costituzionale dopo il caso di Dj Fabo, che nel 2017 scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera dopo essere rimasto tetraplegico a seguito di un incidente stradale.
Ex autotrasportatore 43enne rimasto immobilizzato dopo un serio incidente stradale, Mario sarà quindi il primo malato a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia. L’ha annunciato l’Associazione Luca Coscioni, impegnata in prima linea per il diritto a prendere le decisioni sul proprio fine vita in libertà, come avviene già in diversi altri Paesi europei.
Ne abbiamo parlato con Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni che da anni si spende per questo diritto, arrivando nel febbraio 2017 ad accompagnare Dj Fabo in Svizzera per ottenere il suicidio assistito.
L’ultima novità sul caso di Mario è da considerarsi un passo in avanti per la libertà a decidere del proprio fine vita in Italia?
Marco Cappato: È stato fatto un grosso passo avanti in Italia per quanto riguarda il diritto di una persona in quelle condizioni di ottenere l’aiuto a morire, ma c’è il rischio che questa trappola burocratica in cui è rimasto chiuso per 14 mesi possa proseguire.
Finalmente è stato accertato che Mario ha diritto ad ottenere l’aiuto medico per morire. La risposta della regione Marche però è l’ennesimo scaricabarile, perché dicono di doversi rivolgere a un tribunale per definire con quale farmaco e in quale quantità effettuare la procedura. Ovviamente non è un tribunale che deve decidere una procedura medica: il tribunale si è già espresso sulla questione e ha già confermato il diritto di Mario, quindi ora le prossime decisioni sono del servizio sanitario della regione Marche.
Come si collega questa notizia al referendum per l’Eutanasia Legale, che andrebbe ad abrogare l’articolo 579 del codice penale?
Il referendum amplia lo sguardo, perché non riguarda solo l’aiuto al suicidio ma anche la cosiddetta eutanasia attiva, cioè la possibilità non solo che il malato si autosomministri un farmaco legale, ma che il medico possa farlo su richiesta del malato. Se in Italia un medico facesse quello che si può fare in Olanda o Spagna, sarebbe condannato a 15 anni di carcere. Il referendum va a toccare questo. Considerato l’immobilismo del parlamento, il referendum è l’unico vero strumento per sbloccare la situazione.
Quali sono i prossimi passi?
La corte costituzionale deve esprimersi sull’ammissibilità del referendum entro febbraio, e poi al voto si andrebbe entro il 15 giugno.
Noi ci stiamo attrezzando sia alla difesa dell’ammissibilità del referendum in corte costituzionale, sia a rispondere alle richieste dei cittadini. Abbiamo attivato un numero bianco a cui rispondono degli operatori volontari sui temi dell’eutanasia, delle cure palliative e del biotestamento: è una grande occasione per chi ne vuole sapere di più su ciò che si può già fare. Quella che vogliamo fare è una grande opera di informazione riguardo al fine vita.
Cosa ha smosso il referendum in termini di discussione pubblica?
È evidente che questo tema, lasciato alla sola azione dei partiti, rimane insabbiato. Sono otto anni che abbiamo depositato la legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia, e non è mai stata discussa. I partiti sono ostaggio delle loro correnti e delle loro paure. L’intervento di 1 milione e 200 mila cittadini è stato determinante per far capire a tutti, anche ai politici, che in ogni caso ci sarà una decisione su questi temi, nei tribunali e con il referendum. Ora è più difficile girare la testa dall’altra parte.
Vi aspettate opposizione?
L’opposizione più insidiosa è quella strisciante di chi punta sulla disinformazione e la rassegnazione delle persone. Chi si oppone a viso aperto, sostenendo posizioni opposte alle nostre, è un avversario a cui riconosciamo quanto meno la convinzione di sostenere qualcosa. Più insidioso è chi si dice a favore ma poi ripete che le priorità sono altre, che non è il momento, che si vedrà. Chi non vuole parlare di questi temi è il vero nemico dei diritti civili nel nostro Paese.