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“Meglio Legale”, la campagna per far finire l’assurda guerra dell’Italia alla cannabis

Il nostro Paese ha le leggi più repressive d'Europa in materia di droghe, che nell'80-90% dei casi colpiscono la cannabis. Gli imprenditori della cannabis legale sono trattati come spacciatori, i malati che ne hanno diritto devono comprarla per strada. "Meglio Legale" vuole porre fine a tutto ciò

Una manifestazione per la legalizzazione nel 2020. Foto di Andrea Ronchini/NurPhoto via Getty Images

Meglio Legale è una campagna pubblica nazionale per la legalizzazione della cannabis e la decriminalizzazione dell’uso delle altre sostanze che rilancia una stagione di lotte politiche e iniziative civili per ottenere un cambiamento culturale e normativo che superi l’odierno approccio repressivo. Negli ultimi mesi ha supportato, assieme all’Associazione Luca Coscioni, l’appello rivolto da Walter De Benedetto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in cui l’uomo, malato da oltre trent’anni di artrite reumatoide, una dolorosa e incurabile malattia degenerativa, chiedeva che venisse rispettato il suo diritto alle cure, concedendogli la possibilità di coltivare da sé cannabis a scopo terapeutico visto che lo Stato non garantisce la produzione necessaria al fabbisogno dei nostro malati.

Nell’appello, che ha raccolto 20.000 firme depositate in Quirinale il 16 aprile, De Benedetto scrive, “la mia richiesta di aiuto è anche un atto di accusa contro un Paese che viola il mio diritto alla salute, il mio diritto a ricevere cure adeguate per il mio dolore. Che è un diritto garantito dall’articolo 32 della Costituzione”. Rinviato a giudizio lo scorso 23 febbraio con rito abbreviato con l’accusa di coltivazione di cannabis nel giardino della propria abitazione “ai fini di spaccio”, De Benedetto è stato assolto il 27 aprile perché il fatto non sussiste. Una sentenza storica che ci auguriamo possa spingere il Parlamento a legiferare a favore della coltivazione domestica per uso terapeutico.

Abbiamo quindi raggiunto Antonella Soldo, coordinatrice di Meglio Legale, per inquadrare meglio la situazione sulla cannabis in Italia.

Come funziona Meglio Legale e come porta avanti questa sua campagna per la legalizzazione della cannabis?
Noi lavoriamo cercando di coordinare associazioni, operatori del settore, imprenditori, ricercatori, e soprattutto parlamentari. In Italia si è aperto un dibattito sul tema, ma funziona ancora a compartimenti stagni dove le categorie si incontrano esclusivamente tra loro (fanno eccezione i politici che invece non incontrano proprio nessuno!). Noi stiamo cercando di fare da vettore di informazioni e contatti tra questi mondi. La nostra azione tiene insieme le tre macro-aree della cannabis: terapeutica, industriale, libera.

Qual è la percezione sociale e politica sulla cannabis in Italia?
Partiamo da questo: nonostante la cannabis terapeutica e industriale siano legali e normate, subiscono ancora oggi le conseguenze nefaste di un’ideologia punitiva e proibizionista. A quattordici anni dalla legge che legalizza il THC [il principio attivo della cannabis] ad uso medico, ci sono ancora pazienti che per trovarlo devono recarsi per strada, finendo in tribunale o agli arresti domiciliari per aver coltivato una pianta per un prodotto che non trovano in farmacia. Ci sono ancora gli imprenditori che vengono chiamati spacciatori da Salvini o additati come criminali da Giorgia Meloni che, nel suo manifesto contro la droga, chiede di chiudere i cannabis shop quando questi sono gli unici che, sulla cannabis, ci hanno pagato le tasse negli ultimi anni. Parliamo di un settore con 12mila operatori per un’età media di 32 anni. Fanno parte di quei settori (agricoltura, vendita al dettaglio) che diciamo di voler aiutare ma che, nello specifico, non hanno ricevuto nulla in termini di finanziamenti pubblici e sussidi previsti. Anzi, molti di loro hanno ricevuto un’attenzione smodata delle procure come è successo in Sardegna dove c’è ancora un accanimento contro gli agricoltori di cannabis light, quella con una percentuale di THC inferiore allo 0,6% che, ricordiamo, è legale.

Cosa dice ora la legge italiana riguardo alla cannabis?
La legge in vigore è la Iervolino-Vassalli, una legge vecchia di trent’anni. A questa era sopraggiunta la Fini-Giovanardi che per fortuna nel 2014 è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Avere ancora questa legge è grave perché è una legge vecchissima racchiusa nel testo unico sulle droghe (DPR 309/90). In questi anni sono cambiate molte cose: le droghe stesse, le mafie che le spacciano, le abitudini di consumo, i canali di vendita (il darkweb nasce dopo). È una legislazione del tutto inadeguata a contrastare il fenomeno del narcotraffico.

In Italia si fa sempre un gran parlare di guerra alla droga, ma quali sono i risultati di questa propaganda?
In Italia non esiste la guerra alla droga e sono i dati del Ministero dell’Interno a evidenziarlo. Questi dati mostrano come i sequestri di droghe riguardino la cannabis per l’80% dei casi nel 2020 (il 94% nel 2019). Non è quindi guerra alle droghe, ma guerra alla cannabis. Il 35% dei detenuti si trova in carcere per violazione del testo unico sulle droghe. Son tutti narcotrafficanti? No. Su 22mila persone, circa 900 sono dentro per associazione a delinquere e il restante sono piccoli spacciatori o tossicodipendenti. Un detenuto su quattro ha problemi di tossicodipendenza. Questo vuol dire che si trova in una struttura restrittiva quando invece dovrebbe trovarsi in una struttura riabilitativa. Questo non è problema solo della persona singola, ma della società, perché se tu non recuperi quella persona sicuramente tornerà a delinquere. Per non parlare dei consumatori di cannabis di cui, ogni anno, 45mila finiscono segnalati ai prefetti per il solo consumo personale. È un dispendio di risorse statali (interventi delle forze dell’ordine, giudici sommersi dalla burocrazia) oltre ad una limitazione della capacità produttiva di queste persone che si vedono private, ad esempio, della patente, con conseguente possibile marginalizzazione lavorativa. Questo espone i singoli a situazioni critiche.

Eppure continua ad esserci una certa retorica delle destre che chiedono un ulteriore inasprimento delle pene per i reati legati alle droghe.
L’Italia ha le leggi più repressive d’Europa. Non a caso il 35% dei detenuti italiani è in carcere per droga, contro una media europea del 18%. Oltretutto i reati per droga sono puniti più frequentemente di altri, con leggi sproporzionate (per lo spaccio la pena può arrivare a 20 anni, mentre per lo stupro ad un massimo di 12 e per l’omicidio intenzionale di 21). È una sproporzionalità su cui si è espressa anche la Corte costituzionale che, più volte, ha richiamato l’attenzione del legislatore a fare il suo dovere. Nonostante questo, ci sono forze politiche, come la Lega, che vorrebbero inasprire queste leggi. È quello che è successo in Commissione Giustizia con un disegno di legge che porta la prima firma di Riccardo Molinari (Lega) che prevede l’aumento delle pene per spaccio. Come reazione, è stato abbinato un disegno di legge firmato da Riccardo Magi (+Europa) e uno da Caterina Licatini (M5S) che invece prevedono la legalizzazione della coltivazione domestica e la diminuzione delle pene per fatti di lieve entità.

Come sta procedendo la discussione attorno a questi tre disegni di legge?
Nell’ultimo anno sono state redatte varie relazioni di esperti che hanno smantellato e criticato il disegno di legge della Lega esprimendosi a favore di quelli di +Europa e M5S. Ora bisognerà comporre un testo base a partire da queste proposte e mandarlo in aula. La legalizzazione della coltivazione domestica ci viene chiesta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, nel dicembre 2019, hanno emanato una sentenza che chiedeva e invitava il legislatore a normare la coltivazione domestica ritenendo non punibile se ad uso personale. C’è un paradosso nella nostra legislazione: se fumi cannabis, non vai in carcere, ma rischi una sanzione ammistritativa con segnalazione al prefetto e Ser.D, mentre se la coltivi, rischi fino a sei anni di reclusione. È come se il legislatore dicesse: fumati pure le canne, ma non coltivartele da solo, acquista pure dal mercato nero. È un paradosso, è come se si tutelasse il monopolio delle mafie.

Piuttosto che contrastare il fenomeno del narcotraffico si preferisce criminalizzare il consumatore. Secondo te qual è la motivazione dietro questa scelta?
È di certo più semplice, e semplicistico, prendere i cani e andare nelle scuole a cercare qualche cannetta piuttosto di interrogarsi su come contrastare la vendita di droghe sintetiche sul darkweb, ad esempio. È più facile criminalizzare il consumatore di turno piuttosto che andare a scovare un latitante come Matteo Messina Denaro. Il problema è che la criminalizzazione del consumatore distoglie risorse, uomini e mezzi dalla lotta al narcotraffico. Con un progetto chiamato Scuole sicure, i due governi Conte hanno mandato nelle scuole, in un solo anno, 26 mila agenti a perquisire gli zainetti dei ragazzi. Il risultato è stato un ritrovamento pari a 14kg di sostanze. Detto così sembra anche tanto, ma se lo mettiamo in comparazione al totale dei sequestri nazionali annuali, è lo 0,004% del totale. Un enorme dispendio di risorse per un risultato pressoché nullo, se non a scopro puramente propagandistico. Paga di più alimentare le paure delle persone che avere un approccio responsabile e razionale.

La principale criticità di quando si discute attorno a questi temi è la polarizzazione del discorso. Da un lato il cieco proibizionismo delle destre, dall’altro il racconto privo di rischi delle sinistre. Entrambi, a loro modo, celano volontariamente una parte del discorso.
Il problema del dibattito politico è la polarizzazione. Noi di Meglio Legale le evitiamo perché il nostro obiettivo è spiegare e convincere con argomenti ragionevoli i moderati, che magari non hanno ancora un parere chiaro o informazioni necessarie, a valutare questa possibilità. La politica è una domanda sull’uomo, deve gestire la vita delle persone e la loro relazione. L’uso delle sostanze è un tema antico quanto l’uomo, ha fatto parte di ogni civiltà (dagli assiro-babilonesi ad oggi) e pensare di estirparlo reprimendolo è un’utopia regressiva. È semplicemente infattibile. Pensiamo al fallimento di quasi un secolo di proibizionismo occidentale o delle assurde politiche di Duerte nelle Filippine in cui l’esercito ha iniziato a sparare per strada ai consumatori (i dati ‘ufficiali’ parlano di 6600 vittime); nemmeno con soluzioni così violente si è risolto il problema.

Parliamo ora di quello spiacevole fatto di cronaca che è stato il processo a Walter De Benedetto. Perché quella sentenza può essere un risultato importante per il tema della legalizzazione della coltivazione domestica?
Dobbiamo prima farci una domanda: come è stato possibile arrivare a processare un malato che coltiva qualcosa che lo stato gli deve – con tanto di prescrizione medica – e che non gli garantisce? Questa sentenza è importante a livello giuridico proprio perché c’è stata un’inversione del parere dello stesso PM che prima ha chiesto il rinvio a giudizio e dopo, nell’udienza, ha chiesto l’assoluzione. Questo ci fa pensare che il processo poteva essere evitato e archiviato. Il calvario di Walter è stato importante perché è riuscito a riaprire un dibattito pubblico che in questo momento mancava, mostrandoci come questo proibizionismo non vuole vedere la differenza tra cannabis medica, industriale e libera. Il proibizionismo tratta i pazienti come criminali, proprio come fa con i consumatori. Per assurdo i più tutelati restano i narcotrafficanti.

Immagino che il caso di De Benedetto non sia isolato.
Ogni giorno riceviamo segnalazioni di pazienti che non riescono ad ottenere la loro regolare cannabis medica prescritta e questo costringe il malato a far da sé. Ciò significa acquisti nel mercato nero o coltivazioni personali, con una serie di possibili problematiche giuridiche come nel caso di Walter. Oggi in Italia ci sono centomila persone che coltivano la propria cannabis in casa per non dare soldi alle mafie e avere un prodotto più controllato senza sostanza tossiche al suo interno. Ora stiamo seguendo un nuovo caso, in Calabria, di un ragazzo malato di fibromialgia che è stato costretto ad un mese di arresti domiciliari poiché gli sono stato trovate due piante nel box doccia di casa dopo che la farmacia ospedaliera non voleva ricevere la ricetta del suo medico di base. Risultato: processo per direttissima, spese legali, un mese di domiciliari e – soprattutto – tanta sofferenza fisica visto che a questo ragazzo ora non resta che il cortisone per alleviare i dolori tremendi della sua malattia.

C’è quindi una certa ostilità medica e farmaceutica sulla cannabis?
Non parlerei di ostilità, quanto piuttosto di una mancanza di conoscenza tra medici e farmacisti italiani a causa di un’inadeguata l’informazione scientifica. Non c’è formazione in merito, mancano gli informatori scientifici (coloro che presentano i medicinali a farmacisti e medici) perché la produzione non è ancora libera. Lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, a cui lo Stato ha conferito una sorta di monopolio, ne produce circa 150kg su un fabbisogno nazionale stimato di almeno 2000kg.

Ritorniamo al punto: serve un dibattito, un dibattito ampio, sano, intelligente.
Serve parlarne e creare occasioni di dibattito pubblico e istituzionale (a qualsiasi livello, a partire da scuole e università). Come per tutti i grandi dibattiti nazionali, si pensa che se ne possa parlare solo tra addetti ai lavori, ma io credo sia fondamentale che più persone possibile ne vengano a conoscenza; stiamo parlando di un tema sociale di ampia portata. Serve che le istituzioni facciano meno propaganda, ma più responsabilità. E chi è nei posti per poter cambiare le cose, lo faccia davvero.

Quali sarebbe i primi passaggi naturali da compiere per la legalizzazione della cannabis?
Il problema della cannabis medica in Italia è risolvibile in due passaggi molto semplici: aprire la produzione ai privati che ora è inspiegabilmente non consentita e fare informazione a medici e farmacisti. Oltretutto questa seconda azione verrebbe già risolta dalla prima, visto che i privati potrebbe avere gli informatori scientifici necessari che il ministero della salute non ha. Per tutti gli altri consumatori, invece, servirebbe portare in aula la legge sulla legalizzazione della coltivazione domestica, un primo passo – non straordinario – che consenta a chi ne fa uso di coltivarsela a casa senza andare dallo spacciatore. E anche questo si fa in modo semplice: i capigruppo di PD e M5S (Debora Serracchiani e Davide Crippa) chiedano alla conferenza dei capigruppo di calendarizzare questo disegno di legge. È molto più semplice di quello che sembra.

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