Nel giro di un mese tre conflitti che sembravano congelati, in tre diverse aree del mondo, si sono surriscaldati fino a sfociare nello scontro armato.
Prima il Nagorno-Karabakh, territorio conteso tra Azerbaijan e Armenia, dove è scoppiata una guerra a tutti gli effetti e che negli ultimi giorni sembra essersi conclusa o quasi: è stato firmato un cessate il fuoco con la mediazione della Russia e l’offensiva azera ha raggiunto i suoi obiettivi – ovvero, la riconquista definitiva del territorio, che per il diritto internazionale fa parte dell’Azerbaijan ma è abitato da armeni ed era amministrato da un governo armeno con il nome di Repubblica di Artsakh.
Il modo in cui è precipitata la situazione in Nagorno-Karabakh, che fino a poco tempo fa era uno dei più noti “conflitti congelati” del mondo, è indicativo perché non è già più un caso isolato ma è già diventato una tendenza geopolitica.
Negli ultimi giorni, infatti, senza grande attenzione internazionale, si è avuta un’esclation militare anche in Etiopia, nella regione del Tigrè: qui il conflitto, oltre ad avere basi etniche, è scoppiato per dissidi interni alla coalizione di governo e ora vede le forze etiopi impegnate in una campagna militare contro il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, partito che amministra la regione.
L’operazione militare nel Tigrè è cominciata lo scorso 4 novembre, dopo mesi di tensioni tra il governo e il FPLT e dopo un attacco compiuto dai ribelli contro i soldati dell’esercito regolare a Macallè. Non è facile capire come stia andando l’offensiva o cosa stia succedendo esattamente nella regione – le comunicazioni sono interrotte e internet è stato bloccato dal governo – ma per Amnesty International ci sarebbe già stato un massacro di “centianaia” di civili.
#Ethiopia ?? MAP: the *APPROXIMATE* situation in the #Tigray region as of 10/11/2020. Heavy fighting continues as #ENDF forces are advancing towards Humera, yet major cities like #Mekelle and Adigrat remain firmly under #TPLF control pic.twitter.com/n2aOD6AGcw
— Thomas van Linge (@ThomasVLinge) November 10, 2020
Il terzo conflitto che sembrava congelato ma che invece si è riacceso è sempre in Africa, ma dall’altra parte del continente: nel Sahara occidentale. Si tratta di una zona desertica ex colonia spagnola oggi amministrata dal governo marocchino dove da decenni opera il Fronte POLISARIO, un gruppo armato indipendentista, che però controlla soltanto l’inospitale regione desertica interna, mentre il governo marocchino ha il controllo di tutta la costa.
Nel 1991, dopo 16 anni di guerra, Marocco e Fronte POLISARIO avevano firmato un cessate il fuoco sotto l’egida dell’ONU che prevedeva un referendum sull’indipendenza del territorio, referendum che però il governo marocchino ha sempre rinviato. Oggi, come riporta Middle East Eye, l’esercito marocchino ha lanciato un’operazione militare nella regione, dove si trova una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite: ufficialmente l’operazione mira a rispondere alle “provocazioni” del Fronte Polisario che starebbe bloccando il transito commericale tra Marocco e Mauritania.
“Le forze di occupazione marocchine hanno cominciato questa notte a spostare un gran numero di polizia e forze di sicurezza nella regione”, ha detto lunedì scorso un portavoce dei ribelli, aggiungendo che le operazioni marocchine vorranno dire “la fine del cessate il fuoco e l’inizio di una nuova guerra nella regione”.
Il comunicato stampa del Fronte Polisario briefing sulla situazione a #Guerguerat nel Sahara occidentale. #Wesatimes pic.twitter.com/VOLsZuKx2G
— Notizie_Wesatimes (@wesatimes) November 9, 2020
Insomma, si sta affermando sempre più chiaramente una tendenza che è una conseguenza imprevista della pandemia: tensioni e conflitti che sembravano fermi da anni e destinati per inerzia ad andare verso una risoluzione pacifica si stanno riaccendendo in tutto il mondo.
Mentre la pandemia continua, i singoli governi sono concentrati ciascuno nella gestione dei suoi affari interni – sul contenimento non solo del virus ma anche della rabbia sociale che sta montando sempre di più dopo un anno di stato d’eccezione e misure speciali – e si stanno indirizzando verso lo sciovinismo e l’irredentismo, come metodi per tenere buona la popolazione facendola sfogare su un nemico esterno. Allo stesso tempo, con gli occhi del mondo fissi sugli sviluppi della pandemia, le pressioni internazionali che in tempi normali sarebbero seguite a questo tipo di comportamenti non ci sono. In Nagorno-Karabakh, nel Tigrè o nel Sahara Occidentale, per i governi è un buon momento per risolvere con la forza i conti politici in sospeso.