Il prolungato lockdown per il coronavirus sta mettendo in sofferenza un po’ tutti, ma un categoria soprattutto: quella dei ristoratori, che dall’inizio di marzo possono fare solo consegne a domicilio. Ora, dopo l’annuncio di questa incerta “fase 2” in cui stiamo per entrare, la categoria ha deciso di farsi sentire con una protesta simbolica.
Questa sera alle 21 in diverse città d’Italia bar e ristoranti accenderanno le loro luci per mezz’ora. L’iniziativa si chiama “Risorgiamo Italia” e in pochi giorni ha raccolto 150mila adesioni in tutto il Paese – da Milano a Roma e a Firenze, dalla Campania alle Marche e alla Sicilia. Oltre al flash mob accendendo e spegnendo le luci dei locali, la protesta prevede anche la consegna simbolica delle chiavi dei locali ai sindaci delle rispettive città.
A organizzare l’iniziativa è stata la federazione M.i.o. (Movimento imprese ospitalità), che raccoglie 75mila imprese di tutta Italia colpite dalle misure contro il coronavirus. L’obiettivo – scrivono gli organizzatori – è richiamare l’attenzione sulle “probabili misure che lo Stato prenderà per l’eventuale riapertura di ristoranti, bar, pizzerie, pasticcerie, discoteche e lidi balneari, misure insostenibili per la gestione ordinaria di un locale e insopportabili economicamente”.
“Simbolicamente vogliamo far capire al governo che con le misure messe in campo una ripresa è praticamente impossibile”, ha spiegato a Repubblica un ristoratore romano che è tra gli organizzatori dell’iniziativa. “Non è possibile sostenere le stesse spese di sempre sapendo che gli incassi diminuiranno comunque del 60%. Visto che avremo meno tavoli a disposizione per garantire comunque il distanziamento e sarà comunque inevitabile un calo della clientela che per paura preferirà restare a casa”.
Quella degli imprenditori non è una richiesta di assistenzialismo. Il punto è che “le misure previste per l’eventuale riapertura di maggio, se non collegate a tutele economiche, quali cassa integrazione fino a dicembre 2020 e moratoria sugli affitti e sulle utenze, ci costringeranno a licenziare, se non a chiudere del tutto le nostre attività. Come possiamo mantenere gli stessi costi di una situazione di normalità sapendo che i nostri locali saranno produttivi al massimo al 30%?”