Esistono ancora i disabili? La domanda che si fa oggi, 3 dicembre, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità è meno provocatoria di quel che sembra.
Le persone con disabilità sono scomparse dal dibattito pubblico prima della pandemia in corso. L’arrivo del Covid-19 ha solo sottolineato, semmai che ne fosse bisogno, la cancellazione del 7% della popolazione che quotidianamente deve fare i conti con dei problemi che per il restante 93% sono tali solo da oggi.
Ad esempio chi in questi giorni si spende, con una certa veemenza, per vivere le piste da sci non vede le barriere architettoniche del nostro Paese, tra gli ultimi in Europa quando si parla di turismo accessibile, che impediscono da sempre la settimana bianca ad almeno 4 milioni di italiani.
I disabili, se si prende in considerazione lo storytelling televisivo – ancora e nonostante tutto centrale – esistono ma non si vedono. La loro rappresentazione mediatica, almeno nel mainstream, è da tempo ascrivibile alla sola squalifica del concorrente del Grande Fratello che usa impropriamente la parola “down”. La difesa dei disabili, fatta così, serve solo a pulirsi la coscienza. Per chi, ogni giorno, deve fare i conti con barriere invisibili è inutile.
Questo paradosso è così radicato da presentarsi nei contesti più disparati. Secondo un recente sondaggio commissionato da Paul Polman, per dieci anni CEO di Unilever, il 98% delle aziende americane ritiene che l’inclusione sia importante. Nonostante ciò il tema non è mai stato affrontato, nemmeno una volta, dal 54% dei consigli di amministrazione statunitensi. L’altra faccia della medaglia, invece, è che i disabili esistono se smettono di essere cittadini e iniziano ad essere dei consumatori.
Ellie Goldstein, classe 2002, è diventata in poco tempo la testimonial di un mercato che non esisteva prima della sua nascita: dopo esser stata scelta come la modella da un’importante agenzia di moda la ragazza, affetta da sindrome di down, è diventata la testimonial di Nike, Vodafone e un famosissimo franchising inglese incentrato sul benessere. La sua consacrazione è arrivata nei mesi scorsi con l’ingaggio di Gucci che l’ha scelta per la sua linea beauty. L’esempio di Goldstein dimostra che il fashion business sta facendo proprio un trend che si è già registrato in altri settori.
Secondo una stima fatta da Vita, il portale della sostenibilità sociale, il turismo accessibile in tempi normali può generare un fatturato che supera i 27 miliardi di euro. La cifra non tiene conto di tutto l’indotto generato dai brand che ruotano attorno ai travel blogger con disabilità: la più rilevante in Italia, in questo momento, è Giulia Lamarca che come le sue colleghe senza handicap presta il proprio account IG alle campagne di influencer marketing mainstream. L’ultima, in ordine di tempo, che c’è nel suo feed è stata realizzata con il supporto di Disney+.
Ma non è del tutto un male: questo allargamento degli orizzonti, sul lungo periodo, ha anche effetti positivi. È il caso di MySecretCase, brand specializzato nel piacere sessuale, che di recente ha avviato una collaborazione con Max Ulivieri, fondatore di Love Giver. L’esperienza maturata in questi anni dall’uomo affetto dalla CMT1A – una malattia neuropatica che colpisce i nervi periferici e di conseguenza, i muscoli – è servita agli utenti della community del brand per esplorare nuovi bisogni che all’atto pratico si trasformano in nuove esperienze da fare con i prodotti dell’azienda.
Insomma, anche se le persone con disabilità tendono a essere ignorate dalle autorità politiche, la società come al solito è più avanti. E mentre le prime si limitano a istituire giornate in loro onore per poi dimenticarsene, la seconda tramite la forza dell’innovazione e dell’iniziativa individuale va a cercare soluzioni inclusive.